Con Climax Gaspar Noé continua il suo gioco di equilibrio tra l’indubbia bellezza estetica delle immagini e la volontà di sconvolgere il pubblico sempre e comunque. Il risultato, stavolta, pende forse troppo su quest’ultimo versante, con il rischio di apparire come una provocazione un po’ fine a se stessa.
La (non) narrazione di Climax
“QUESTO È UN FILM FRANCESE E NE È ORGOGLIOSO”. Inizia così, con una sonora presa per il culo a qualsiasi idea di sovranismo, l’ultima provocazione di Gaspar Noé. Perché l’elemento provocatorio è, prima ancora che pietra angolare di tutto il cinema del regista franco-argentino, un vessillo di cui andare fieri, anche a costo di scarnificare gli ultimi brandelli residui di linearità narrativa. E Climax, in tal senso, rifugge da qualsiasi idea di struttura, al punto da iniziare dalla propria fine. Letteralmente, dai titoli di coda. Poi il film si apre su uno schermo televisivo sul quale vediamo scorrere una serie di interviste utili a presentare al pubblico i venti giovani protagonisti di questa (non) storia.
I punti di riferimento
Ma, come spesso accade, il senso del cinema di Noé lo si trova nei dettagli – così come anche il diavolo – e, più di preciso, ai lati di quello stesso schermo, dove troviamo, in bella vista, le coordinate stilistiche e concettuali di Climax con, sulla destra, una pila di VHS (il film è ambientato nel 1996) e, a sinistra, dei libri. Si va dal Dario Argento di Suspiria – ovvio riferimento per chiunque voglia concentrare nella stessa opera danza e orrore – a Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini e La maman et la putain di Jean Eustache passando per Querelle de Brest, ai volumi di Bataille, Emil Cioran, Bakunin e al saggio di Stefan Zweig su Nietzsche. Il medesimo senso di programmaticità viene, immediatamente dopo, trasferito nell’unità di luogo che non abbandoneremo più fino all’epilogo del film.
La storia
Siamo infatti nella palestra di un collegio in disuso dove un corpo di ballo festeggia la fine di tre intensi giorni di prove. Ovvio che siano tutti brilli e un po’ su di giri. Ma l’euforia iniziale lascia ben presto spazio a un senso di follia che sfocia nel panico quando i ragazzi si rendono conto che qualcuno ha versato massicce dosi di LSD nella sangria che stanno bevendo in grande quantità. A quel punto tutti si trovano ad oscillare tra paradiso e inferno e basterà un nonnulla perché le pulsioni più violente esplodano incontrollate lasciando emergere i lati più oscuri di molti dei giovani ballerini. Ma la trama, è poco più di un pretesto per esprimere un senso di pessimismo cosmico da sempre presente nelle opere di Noé, oltre che una mai celata forma di narcisismo di natura squisitamente tecnica.
La summa della poetica di Gaspar Noé
E, in tal senso, Climax rappresenta la summa e, al tempo stesso, il punto di non ritorno di una poetica per immagini che, partendo da una riflessione mai banale sul corpo, sfocia spesso in una ultraviolenza pericolosamente in bilico tra suggestioni videoartistiche e puro sfoggio di virtuosismi ai limiti del masturbatorio. Perché, se la bravura del regista con la macchina da presa è indubbia – basta vedere cosa è capace di fare nei dodici minuti di piano sequenza iniziale – l’impressione che emerge forte, durante la visione, è quella di un invito al voyeurismo talmente urlato nelle forme da non consentire allo spettatore alcuna possibilità di scelta. Anzi, se applicassimo al cinema una qualche scala di valore morale – cosa che è bene in ogni caso non fare mai – il meccanismo che sottende a questo Climax potrebbe addirittura definirsi ricattatorio.
Il merito di Climax è anche il suo maggior difetto?
In altre parole il merito maggiore di Gaspar Noé, ossia quello di costruire un flusso di coscienza visivo (nonché musicale, se si considera una colonna sonora che mette in fila, senza soluzione di continuità, Patrick Hernandez, i Daft Punk e i Rolling Stones) che comunque non annoia né spinge mai a distogliere lo sguardo, diventa in qualche modo anche il suo maggior difetto. Perché, in maniera non dissimile dal Lars Von Trier più maturo, anche qui l’indiscutibile valore estetico si trova, a un certo punto, a fare i conti con i limiti del rappresentabile. È evidente, ad esempio, nei due momenti volutamente più disturbanti del film, ossia la scena che vede una delle ragazze presa a calci in pancia dal branco ormai in pieno bad trip, subito dopo aver ammesso di essere incinta e quella in cui l’unico bambino ammesso alle prove – perché figlio della coreografa – viene chiuso a chiave in una stanza dove si sa già che troverà morte sicura.
In conclusione
A quel punto anche il virtuosismo, fino ad allora chirurgico, di Noé sembra venire meno. I movimenti di macchina si fanno via via più convulsi e l’unico elemento di interesse di chi guarda diventa capire fino a che punto – e soprattutto in quali forme – quella assurda violenza arriverà a manifestarsi. Quale sarà, in buona sostanza, il climax di Climax? Ed è proprio in quel momento che tutto si fa chiaro e quella che inizialmente poteva apparire come una versione in acido di Dieci piccoli indiani emerge per ciò che è in realtà. E non ha nulla a che vedere con chi è colpevole di aver drogato la sangria né, tanto meno, di come si posizionino i singoli personaggi all’interno di una possibile dicotomia tra buoni e cattivi. Tutto si riduce a un guanto di sfida lanciato da Gaspar Noé allo spettatore, il cui senso è, in fondo, sintetizzabile in una sola e semplice domanda. Fino a dove siete disposti a vedere?
Climax, diretto da Gaspar Noé e interpretato da Sofia Boutella, Romain Guillermic, Souheila Yacoub, Kiddy Smile e Claude Gajan Maude, sarà in sala da giovedì 13 giugno, distribuito da Europictures in collaborazione con Mial Vision.