Con La casa di Jack Lars Von Trier scava nella psiche di un serial killer, analizzando sensazioni e stati d’animo, in un’estetica da mockumentary che lascia senza fiato.
Raggiungere la perfezione
Il regista più geniale e controverso del cinema mondiale, Lars Von Trier, rivisita una delle storie più affascinati e macabre dei nostri tempi, quella di Jack Lo Squartatore. Siamo negli Stati Uniti, 1970, Jack (Matt Dillon) è un ingegnere psicopatico con tendenze ossessivo-compulsive che dopo aver ammazzato una donna che gli aveva chiesto soccorso per strada, si convince di dover continuare ad uccidere per raggiungere la perfezione. Ogni suo omicidio deve essere un’opera d’arte, sempre più complessa e ingegnosa. Inizia così una partita a scacchi con la polizia, lunga dodici anni, condotta dal più astuto e spietato omicida seriale.
L’estetica della morte
La casa di Jack è un lavoro ambizioso ed estremo, che mostra come uno dei registi più controversi degli ultimi anni abbia raggiunto una maturità e una maestria lodevoli nel svuotare ogni concezione moralistica e nel trattare temi scomodi come il sesso, la religione e la morte. L’estetica dietro questo lavoro si sofferma sulle situazioni come fosse un agente presente sulla scena, l’uomo che vede l’oscurità da troppo vicino e da cui non riesce a fuggirne, perché incantato dal fascino e dal mistero che gli crea. Da ciò emerge un approccio che va oltre il concetto di bene e male, acquistando significato dal concetto stesso di opera d’arte e mostrando, come dietro il folle e insaziabile desiderio di Jack si celi qualcosa che vada oltre la violenza, approdando in una raffinatezza tipica di un’artista. L’arte è libera e priva di dogmi e costrizioni morali, questo Lars Von Trier lo sa bene tant’è che specialmente in questo film esaspera questo concetto fino a concettualizzarlo nella vita di un serial killer che trasforma i suoi omicidi in opera d’arte cariche di significato capaci di trascendere la morte.
Dentro l’oscurità
Citando una frase del film notiamo come Jack abbia accettato il suo lato oscuro, lui è un serial-killer, di questo ne è consapevole e non lo nasconde a se stesso o agli altri, ma anzi prova un senso di sollievo quando uccide qualcuno, poiché annulla quel senso di dolore esistenziale e opprimenza che attanaglia ogni uomo; l’omicidio diventa una cura per la solitudine, in un circolo infernale che non ha fine e richiede sempre più sacrifici fino a sprofondare nell’abisso. Matt Dillon riesce a dare al personaggio una carica emotiva forte che esalta il personaggio in un conflitto interiore e strutturato; Jack prova un senso di empatia verso le persone che uccide, stabilendo un legame profondo e intimo che disturba e inquieta lo spettatore. La freddezza con cui viene trattata la morte è uno dei punti più riusciti del film, tant’è che i numerosi cadaveri lasciati da Jack lungo il percorso vengono percepiti dallo spettatore come tappe obbligate per un’ascensione finale verso un’autorealizzazione.
La discesa verso l’illuminazione
La casa di Jack combina più registri visivi e narrativi in un’ottica che riprende lo stile del mockumentary, per caricare di realismo un film prepotentemente surreale che riesce nell’intento di scandalizzare lo spettatore, non tanto per la violenza o il tema quanto per la capacità di Lars Von Trier di mostrare un personaggio crudele e sensibile allo stesso tempo. Attraverso un’attenta riflessione sull’arte e l’architettura la vicenda si carica di simbolismo, in un contesto meta-testuale in cui la metafora diventa il punto chiave di lettura per comprendere e apprezzare tutto il film. Jack, in un’analisi priva di moralismi si pone come Dante nella sua discesa verso l’illuminazione e Verge, la voce narrante che interagisce con Jack, può essere visto come un Virgilio onnipresente, una coscienza che lo ascolta e interroga senza mai giudicarlo poiché è il wyrd (destino) a decidere la sorte di ogni creatura, incommensurabilmente legata ad un principio reciproco di sensuale fatalità.
10 punti per Lars Von Trier
Lars Von Trier è uno dei registi più controversi del nuovo millennio, i suoi film sono sempre carichi di temi esasperati fino al punto estremo che risultano molto spesso indigesti alla maggior parte del pubblico. Con La casa di Jack si compie un ulteriore passo avanti verso uno stile aggressivo che vuole colpire lo spettatore attraverso sensazioni inquietanti e angoscianti, capaci di sviscerare il male umano attraverso personaggi sfaccettati ed estremamente reali; un microcosmo che fa riferimento al dolore e alla solitudine per un macrocosmo di alienazione e incomunicabilità in cui la violenza è arte e l’arte è il motore del mondo.
La casa di Jack uscirà il 28 gennaio al cinema, distribuito da Videa. Diretto da Lars Von Trier con Matt Dillon, Uma Thurman e Bruno Ganz.