Conferenza stampa di presentazione del film Il vizio della speranza, di Edoardo De Angelis, che riflette sul tema della nascita, con Pina Turco, Maria Confalone, Cristina Donadio, Massimiliano Rossi.
Il vizio della speranza è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma, film fortemente crudo e drammatico è diretto da Edoardo De Angelis, con Pina Turco, Massimiliano Rossi, Marina Confalone, Cristina Donadio uscirà nei cinema il 22 novembre 2018 distribuito da Medusa Film. Il film racconta la storia di Maria, donna rassegnata e senza più speranze che un giorno viene colta dalla notizia inaspettata di essere incinta; portare avanti questa gravidanza, tra difficoltà e ostacoli, le cambierà la vita per sempre.
Come è nata l’idea del film?
Edoardo De Angelis: Il centro del film è uno solo e cioè che vince chi resiste all’inverno, chi decide di fare qualcosa per cambiare il proprio destino. Questo visto da vari punti di vista, l’inverno non è solo una condizione climatica nel film. Una storia su chi si ribella all’imperativo categorico del servire e basta, del lasciarsi vivere in un certo senso e decide invece di fare qualcosa, di reagire e cambiare la propria vita.
Solitamente quando fai i tuoi film, sembra che racconti sempre una realtà cruda e feroce. In questo caso però c’è anche una forte tenerezza e dolcezza. Come fai a mostrare sempre qualcosa di più?
De Angelis: La tentazione di rifare qualcosa che è venuta bene, che mi ha soddisfatto, è sempre tanta. Ma avere nella propria vita una moglie e un produttore folli, mi consente di andare verso un certo tipo di progetti. Mi spingono sempre a sperimentare, a battere nuove strade. Questo è doveroso per chi racconta storie, usando nuove forme di linguaggio.

Vorrei chiede a Enzo Avitabile una riflessione sull’importanza della musica nel film.
Enzo Avitabile: con Edoardo la musica diventa un elemento particolarmente importante. Ci sono tre volontà che noi abbiamo sentito fortemente, innanzitutto la possibilità di non avere un tema conduttore che sia più importante di un altro, quindi ogni tema vive di luce propria, nella fattispecie di suono proprio e nessuno è più importante dell’altro. Così come, utilizzando una formula molto semplice, fondamentale, la musica non è, oltre ogni definizione, per contratto, ma è una necessità dell’anima del film, dove il suono diventa immagine e viceversa, la parola diventa suono e il suono diventa parola. Parola che racconta. Noi non abbiamo ragionato con la testa, ma con il cuore, pensando a più possibilità. Siamo partiti da un tema tipico, che è questa voce di un soprano, il così detto contro-tenore: un uomo che canta con il sottofondo di un clavicembalo, ripercorrendo le note, secondo me, nella nostra immaginazione e volontà, dell’inventore della musica sacra popolare. Si tratta anche del primo cantautore in lingua dialettale che si propone in una sorta di devozione laica, e queste musiche vogliono passare da una devozione laica a un canto più randagio. Però l’obiettivo è sempre quello di uscire da qualsiasi definizione. L’altro elemento che abbiamo seguito è stato quello di avere dei temi senza un registro fisso: c’è la canzone, c’è la musica strumentale, oserei dire quasi cameristica, minimalista, ci sono elementi anche orchestrali e, principalmente, ci sono canzoni, suoni, suoni che accompagnano scene. Tutto questo è stato fatto per dare alla musica libertà da questa regola che dice che debba accompagnare sempre tutti a tutti costi, che sia solo d’accompagnamento. La musica si fa in modo molto semplice, ognuno è ciò che sente e noi abbiamo usato una musica che sentiva esattamente ciò che succedeva nel film.
Io ho due domande per la protagonista, volevo chiederti intanto l’importanza di interpretare il ruolo di protagonista e quindi di essere in scena dall’inizio alla fine che è un senso di responsabilità o comunque una grande gioia e una grande emozione. Invece a Maria volevo chiedere: il vizio della speranza è uno dei vizi migliori che si possano avere e lei all’inizio non ha questa speranza, ha bisogno di una motivazione che, in questo caso, è la gravidanza, il diventare madre, condizione con cui tu hai avuto a che fare. E quindi volevo sapere da Maria… per sperare e andare avanti quanto è necessaria la motivazione e quanto lo è anche per te per cambiare strada?
Pina Turco: allora grazie, grazie per questa domanda così articolata, così semplice, ma anche così complessa. Credo che il seme sia il vizio più bello di tutti, il punto di partenza di ogni rivoluzione, la speranza diventa fiducia e la fiducia diventa fede e con la fede si può cambiare qualunque cosa, anche con la fede in se stessi si può cambiare qualunque cosa e scrivere il proprio destino… ed è quello che accade alla protagonista. Nulla ci sembrava più semplice e al tempo stesso più meraviglioso della nascita di un bambino, un qualcosa di primordiale che accade da sempre, ma che rimane comunque miracolosa. La responsabilità di un ruolo così importante e soprattutto lo scetticismo con il quale mio marito mi ha tratta fino all’ultimo, perché pensava che io non fossi pronta… assolutamente, che non fossi, probabilmente, neanche in grado. Ma questa sfiducia è diventata il mio vizio della speranza, l’ho coltivata e ho tentato di esprimere in maniera onesta e reale un personaggio che è meraviglioso, che mangiava la polvere, ma veramente la mangiava, non è una metafora… io l’ho mangiata… e mi è piaciuta, anzi l’ho amata e ringraziata. Lei diventa l’emblema di tutti gli uomini e di tutte le donne sulla Terra.

Io vorrei chiedere a Maria Confalone con quale stato d’animo si è accostata ad un personaggio così spietato?
Maria Confalone: beh devo dire che normalmente io sono una persona che fa tutto da sola, però a volte, come questa, conoscendo Edoardo, ho capito che dovevo fidarmi e fare tutto ciò che mi chiedeva, ed è sicuramente qualcosa che mi ha arricchito, rispetto ad un territorio che conoscevo, che mi era più familiare. Per cui gli devo moltissimo perché lui mi ha controllato sempre e io ho sentito questa cura affettuosissima. Questo personaggio infatti rischiava di essere una cattiva forse… troppo dichiarata, invece lui mi avvicinava sempre a Pina, muoveva i miei affetti, anche quelli che può avere un personaggio così orribile che vive sulle disgrazie altrui, sola in questo suo mondo orribile, un personaggio squallido che ha bisogno dell’eroina per tirarsi fuori da questo squallore. Tutto ciò è accaduto su un set dove ogni cosa funzionava, era organizzato, dolce, c’era un atmosfera rilassata e per me è importante che ci sia questa armonia, e in quest’armonia io ho cercato di fare del mio meglio.
Apprezzo la poetica di questo sotto-mondo della Campania dove gli autori hanno trovato tenerezza oltre che violenza. Più che una domanda mi viene da rilevare tre autori, De Angelis alla regia, Contarello alla sceneggiatura e Avitabile per le musiche, tre uomini per un film popolato quasi solo esclusivamente da donne.
Umberto Contarello: onestamente credo che dipenda anche da altri registi con cui ho lavorato e cito Carlo Mazzacurati a cui va sempre il mio pensiero. La capacità lirica che ha questo film nel sollevale l’esistenze concrete dal materiale concreto che assedia le vite è una cosa molto complessa. Qui Edoardo ha fatto una cosa molto difficile, che era anche un po’ il sogno che in fondo nutrivamo. Io in particolare nutrivo quello di riuscire a scrivere, a girare e a realizzare un film fortemente lirico immerso in qualcosa che di per sé è, non solo opposto, ma è nemico della lirica. Questo per dire che è un lavoro di grandissima qualità e anche dalla mia piccola esperienza, è un lavoro molto difficile. Per quanto riguarda poi… volevo aggiungere una cosa, il film nasce da un’idea e i bei film fanno viaggi tortuosi, sono come dei fiumi carsici che si inabissano e poi… risalgono, ma ha un’origine precisa. Io ricordo che quando Edoardo mi chiamò, mi disse io voglio fare un film che abbia un tema, chiamiamolo, a seconda delle percezioni, spirituale, mistico, religioso e, si potrebbe anche dire, cristiano. Volevo far notare come, questa mattina sono andato a vedere il film per essere fresco nella percezione e mi è sembrato lampante come l’andamento della storia assomigli proprio, non volendolo, ad una parabola, cioè quella che è… la partitura del racconto assomiglia ad una partitura parabolica. Penso che Edoardo abbia fatto una parabola. Poi la seconda cosa è che questo film, questa parabola, come tutte le parabole, hanno un cuore antichissimo, quasi arcaico, perché per essere universale devi attingere all’arcaico. Se attingi all’attualità non sei mai universale, ma sei come imprigionato. Questo film al contrario della vulgata mitologica che ormai attraversa tutti i sistemi mediatici, diciamo, alla moda, riporta al centro il fatto che fare un bambino non dipende dalle condizioni che si reputano adeguate a farlo. Oggi c’è una, a mio personalissimo avviso, volgarissima banalizzazione e una perdita di questo concetto di fondo che un figlio nasce quando ha la culla pronta, invece questo film dice che è il figlio che costruisce la culla.

Ho una domanda per Cristina Donadio: in Gomorra lei aveva detto che per interpretare il personaggio di Scianel era partita e aveva lavorato basandosi su una donna boss della periferia di Napoli e quindi volevo sapere per interpretare questa madre che tipo di lavoro c’è stato?
Cristina Donadio: beh io effettivamente per interpretare Scianel ero partita da un archetipo, un archetipo del male. In questo caso sono grata a Edoardo che mi ha regalato Alba, che è un personaggio tremendo, forse più tremendo di Scianel. È inconsapevole dell’orrore che mette nel rapporto con la figlia, ed è un personaggio affetto da una sorta di catatonia esistenziale, si fa scivolare la vita addosso… è stato quindi tutto un gioco di sottrazione ed Edoardo mi ha aiutato in questo perché mi ha spinto a sottrarre sempre di più… Fare Il vizio della speranza, entrare in questa meravigliosa storia, parabola ed è giusto chiamarla così, mi ha fatto ricordare, che cos’è il vizio della speranza? C’era qualcuno che aveva detto a proposito di un film di Rosi, Le mani sulla città, che ogni volta che si narra qualcosa che nasce da una ferita profonda, come è il caso del nostro film, tutto quello che si racconta e viene fuori è un monito e un incantamento e quindi anche nell’orrore di Alba, c’è un monito e un incantamento come in ogni personaggio di questo microcosmo di anime perse.
Massimiliano Rossi invece per te che esperienza è stata quella di questo personaggio?
Massimiliano Rossi: come sempre quando ho affrontato i personaggi di e con Edoardo, quello che penso di provare è il fatto che questi personaggi diventano davvero reali, però resta per me una non conoscenza di fondo. Questa cosa mia piace molto, perché non ci avviciniamo mai, credo, allo stereotipo. C’è sempre un qualcosa di non conosciuto che insieme ad Edoardo, pian piano, cerchiamo di scoprire, anche quando finiscono questi film i personaggi restano molto concreti, però anche molto ineffabili… e io credo che sia giusto così, non bisogna dare forma a qualcosa che esiste nel pensiero, bisogna cercare, tentare, di avvicinarsi a quell’umanità. Sono d’accordissimo con quello che diceva Marina… Edoardo è un regista che, almeno per quanto mi riguarda, ti pone sempre dei problemi, mai una soluzione, è sempre un gioco di contrasto. Forse questo rende il mio personaggio, anche quando finisce il film, ribadisco, molto concreto. Pengue è un uomo buono, forse è una sorta di specchio più piccolo della protagonista, cioè che sono due personaggi che in qualche modo è come se aspettassero che qualcosa succeda, e forse nel mio personaggio, per Carlo Pengue ancor di più, sono entrambi psicologicamente esseri umani un po’ pericolosi, perché nella vita a volte l’attesa può essere fuorviante, come attendere per tutta la vita. Pengue attende e poi qualcosa succede, evidentemente c’è questo legame ancestrale per cui questi destini si incontrano di nuovo. Poi certamente il mio personaggio può essere fastidioso perché si autoesclude, però lui questa scintilla della vita, di non fermarsi a quello che si è, in qualche modo la cerca nell’aria, ed evidentemente quando poi il destino gliela ripresenta lui la afferra. Credo che nel film Edoardo infondo, volesse dire questo, il concetto della nascita, ed io sono del tutto d’accordo con il maestro, perché c’è qualcosa di distorto nella nostra nuova psicologia sociale secondo cui i figli vanno fatti quando ci sentiamo pronti, preparati, quando abbiamo ottenuto qualcosa e invece i figli arrivano.

Per fortuna Il vizio della speranza contagia anche produttori e distributori, quindi se avete voglia di raccontarci la vostra speranza.
Giampaolo Letta: buongiorno a tutti. È un folle distributore che parla, volevo intanto ringraziare Antonio Monda, Alessandra Fontemagi e il gruppo dei selezionatori che senza indugio, subito dopo aver visto il film, l’hanno voluto invitare alla Festa del Cinema di Roma, ed è per questo che siamo qui. Volevo dire che non è stata follia la nostra, ma una profonda consapevolezza del talento di Edoardo e dei suoi collaboratori che condivido, che condividiamo, Medusa e i suoi produttori, Attilio De Razza e Pier Paolo Verga. Quindi ci sono due parole per te Edoardo: consapevolezza e stupore perché tu ogni volta che ci racconti una storia ci stupisci e anche in questo caso, ci hai stupito e ci hai fatto innamorare di una storia dove con un contesto così difficile, un contesto che è vero, perché siamo venuti spesso a trovarti… e purtroppo è una realtà esistente, a volta anche più crudo di ciò che abbiamo visto, anche se sembra difficile da credere. Quello che davvero ci ha colpito di questa storia è stato il contrasto tra un contesto così duro, di miseria e degrado con l’amore e la nascita, che è un qualcosa di forte e meraviglioso.
Antonio De Piazza: ho avuto e ho il piacere di lavorare con Edoardo che mi ha portato in un mondo di professionalità che non conoscevo, dinnanzi a degli attori che, considerando i budget di questi film che non sono mai sufficienti, lui è riuscito a trovare e a farmi conoscere quindi delle professionalità importantissime… e perciò lo ringrazio per avermi catapultato in questo mondo, venendo io dalla commedia… e ne sono felice.
Pierpaolo Verga: io sono un produttore fortunato, questo è il terzo film che faccio con Edoardo ed è un percorso coerente e in evoluzione; sono un produttore fortunato perché c’è un distributore che non è folle, ma è un distributore lungimirante. Va riconosciuto il talento… di Edoardo e di tutte quelle persone che contribuiscono insieme a lui per la realizzazione del film. Questa storia, per riagganciarmi a ciò che ha detto il signore prima, è sì un film fatto da tre uomini, ma è il film più femminile che io abbia mai visto, non possiamo fare un film sulla nascita senza fare un film che sia assolutamente femminile, fluido nel fiume si arriva ad una nascita nel mare. Il 90% dei personaggi di questo film sono donne e non poteva che essere così ed è stato un onore per noi fare un film così femminile.