Prodotto da Leonardo DiCaprio e Jonah Hill e ispirato a fatti realmente accaduti, Richard Jewell è uno dei migliori Clint Eastwood degli ultimi anni. Un saggio di attualità impressionante sul potere dei media e sui pregiudizi di chi antepone la ricerca di un colpevole a tutti i costi alla verità.
Il senso di Eastwood per i dettagli
Il cinema di Clint Eastwood trova spesso il suo senso più profondo all’interno di dettagli solo apparentemente insignificanti. E, a dimostrazione di questa tesi, c’è una scena, quasi alla fine di Richard Jewell, che ne racchiude e sintetizza alla perfezione il significato. Quando, dopo la lunga odissea che vede il protagonista passare, nel giro di una manciata di ore, da eroe del giorno a principale sospettato di un attentato terroristico, gli uomini dell’FBI restituiscono alla madre gli oggetti confiscati in precedenza per essere etichettati come possibili prove. La donna (una straordinaria Kathy Bathes) prende in mano uno dei suoi amati tupperware e nota, sul coperchio, un numero di catalogazione scritto con un pennarello. Prova a cancellarlo passandoci sopra la mano, ma si rende conto che molto probabilmente è indelebile. Come l’ombra del sospetto sulla reputazione di suo figlio.
L’eroismo dell’uomo comune
L’autore ottantanovenne utilizza il più comune degli oggetti di uso domestico per tirare le somme su un racconto che porta avanti la sua amara riflessione, iniziata con il bellissimo e dolente Sully, su un’America che ormai non crede più a niente, men che meno ai suoi eroi. Visto in quest’ottica non stupisce affatto l’accoglienza, a dir poco tiepida, del film negli Stati Uniti, ché a nessuno piace essere descritto così nel profondo e, soprattutto, così in negativo. Ma, rispetto al succitato Sully, Richard Jewell porta in dote un’intuizione geniale, ovvero la scelta, per descrivere l’eroismo dell’uomo comune, di un protagonista del tutto privo di un’immediata riconoscibilità – e quindi di qualsiasi alone di divismo residuo – che la presenza dell’ottimo Tom Hanks, in quel caso, portava ancora con sé.

La trama
Il trentottesimo film da regista di Eastwood prende il titolo dal nome della guardia giurata che nel 1996, durante i giochi olimpici di Atlanta, salvò moltissime vite umane, scoprendo per primo la bomba piazzata nel Centennial Park e facendo evacuare rapidamente le persone presenti nel celebre parco della città della Georgia. Bastarono però pochi giorni per trasformare Jewell da eroe a sospettato numero uno dell’FBI, che stava indagando sul fallito attentato. Diffamato dalla stampa e vilipeso dall’opinione pubblica, la vita dell’uomo andò letteralmente in frantumi. Per dimostrare la sua innocenza, Richard Jewell (Paul Walter Hauser) decise di rivolgersi a Watson Bryant (Sam Rockwell) avvocato anti-establishment, il quale si ritrovò ad affrontare una causa al di sopra delle sue possibilità, ma deciso a ripulire il nome del suo cliente a ogni costo.
I personaggi
La caratterizzazione del protagonista, un omone ossessionato dalla voglia di essere percepito come membro delle forze dell’ordine al punto da rasentare la mitomania, è così sfaccettata e complessa da richiedere una scelta radicale, ed esattamente opposta, per tutti gli altri personaggi, descritti invece come figure ai limiti dell’archetipo, a partire dal cane sciolto meravigliosamente interpretato da Rockwell che sembra uscito da un plot del Sidney Lumet più anni 70 o dal rigido manicheismo dell’agente dell’FBI, affidato alla granitica fissità di Jon Hamm. È, a suo modo, uno stereotipo anche la reporter d’assalto Kathy Scruggs (Olivia Wilde) che, infatti, si è attirata le facili critiche di chiunque non accetti che, in pieno #metoo, si possa raccontare una donna che arriva ad usare la propria sessualità in cambio di informazioni riservate.

Le facili critiche al film
Appare piuttosto ovvio che un’opera che pone sotto la lente di ingrandimento gli errori di un’Intelligence che il cinema è abituata a descrivere come infallibile e non si premura di adattare la propria visione della donna – per essere più precisi, di una donna – ai moderni dettami del politically correct declinato al femminile non abbia fatto impazzire gli americani. Che, molto evidentemente, non hanno colto la modernità di un autore che, per ambientare un film nel 1996, decide di girarlo come se fosse realmente il 1996, assumendosi tutti i rischi del caso. Il risultato è un saggio di attualità impressionante sul potere dei media e sui pregiudizi di chi antepone la ricerca di un colpevole a tutti i costi alla verità.
In conclusione
Prodotto da Leonardo DiCaprio e Jonah Hill – che, in un primo momento, avrebbero dovuto anche interpretarlo – Richard Jewell è uno dei migliori Clint Eastwood degli ultimi anni, superiore anche all’ottimo Il corriere – The Mule, con il quale condivide la stessa feroce critica a un’America costruita su quegli stessi stereotipi dai quali, però, poi odia vedersi rappresentata. Al punto di rigettare anche il concetto che sta alla base di quasi tutta l’epica a stelle e strisce. L’eroismo.
Richard Jewell, diretto da Clint Eastwood e interpretato da Paul Walter Hauser, Sam Rockwell, Kathy Bates, Olivia Wilde e Jon Hamm, sarà in sala fa giovedì 16 gennaio, distribuito da Warner Bros Italia.