Tori e Lokita, i fratelli Dardenne a Roma presentano il loro nuovo film: ecco cos’hanno raccontato

Tori e Lokita - conferenza stampa
Tori e Lokita - conferenza stampa

Tori e Lokita, l’ultimo film dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne è stato presentato stamattina a Roma alla presenza dei due maestri del cinema belga: ecco cosa hanno raccontato sulla storia di due giovani immigrati

I due fratelli registi Jean-Pierre e Luc Dardenne, autori del bellissimo La promessa e di Due giorni, una notte, hanno presentato a Roma il loro nuovo film, già premiato a Cannes, Tori e Lokita. Una storia di forte umanità dai contorni tragici, che racconta le peripezie di due giovani immigrati dall’Africa che devono sopravvivere alla crudeltà e alla mancanza di empatia di un angolo d’Europa mentre aspettano che uno dei due possa ricevere i documenti per poter essere regolarizzato.

In questo Tori e Lokita si racconta di un rapporto molto particolare che si instaura tra i due protagonisti del film, un rapporto fraterno anche se i due fingono solo di avere un legame di sangue. Come avete scelto i protagonisti del film?

JPD: Li abbiamo scelti tramite un classico processo di casting, dato che nessuno di loro aveva mai partecipato ad un film, e ci sono sembrati da subito i più adatti al ruolo. Noi non siamo abituati a velare parti della sceneggiatura ai nostri attori, quindi i due ragazzi hanno appreso man mano cosa avrebbero dovuto fare e come avrebbero dovuto farlo. Abbiamo anche notato come l’attrice che interpreta Lokita venisse sul set con una parrucca che poi toglieva appena prima delle riprese, proprio per marcare la grande distanza che c’era tra lei e il personaggio. Mentre il piccolino, l’attore che interpreta Tori, l’ha presa molto più come un gioco, sul set rideva e giocava con tutti gli altri attori e anche se sicuramente quando crescerà si renderà molto più conto di cosa ha fatto e del tipo di film che ha girato, non ha mai smesso di far prevalere il suo lato più fanciullesco e innocente sul set. Prendeva anche “in giro” la sua sorella fittizia, perché sapeva che i due avrebbero avuto un destino molto diverso nel film e quindi questa cosa in qualche modo lo divertiva e divertiva anche noi.

C’è stato un caso di cronaca particolare che vi ha suggestionati nello scrivere il film?

LD: Non siamo partiti da un fatto di cronaca nello scrivere il film, almeno inizialmente. Poi due o tre anni fa ci ha colpito leggere le storie dei cosiddetti MENA, cioè dei minori non accompagnati che arrivano in Europa dall’Africa o dal Medio Oriente e che ad un certo punto scompaiono nel nulla. E allora ci siamo detti che non fosse normale in una società come la nostra, poiché parliamo anche di bambini molto piccoli. Per questo abbiamo deciso di mettere al centro del nostro film l’amicizia tra questi due ragazzi.

Tori e Lokita - i fratelli Dardenne
Tori e Lokita – i fratelli Dardenne

Come può un bambino vivere l’esperienza congiunta di spacciatore e scolaro? E come può la convenzione di Ginevra essere ancora rilevante nel momento in cui questi profughi sembrano essere abbandonati a sé stessi, non potendo entrare ai piani alti che non li considerano poiché non facevano parte del piano originale per il quale la convenzione è stata stipulata?

JPD: Nella convenzione di Ginevra c’è questo aspetto molto importante che riguarda la tutela dell’infanzia, una tutela che dovrebbe essere estesa e andare oltre i 18 anni. Questi ragazzi non possono integrarsi nella società completamente finché non sarà data loro la possibilità di poter rimanere dopo aver appreso un mestiere o aver frequentato la scuola dell’obbligo. Per quanto riguarda il personaggio di Tori, nella sua mente di bambino, lui vede la droga come  un mezzo per un fine e cioè quello di sopravvivere e di far sopravvivere Lokita. Non vede la droga ovviamente come la vedremmo noi adulti.

Questa storia parla di umiliazione ed emarginazione, elementi che emergono in maniera prepotente. Dal punto di vista del vostro stile come mai state scegliendo storie che siano sempre più semplici e più immediate? Volete avvicinarvi ad un pubblico più vasto magari? 

LD: Nei nostri film la nostra ossessione è sempre stata quella di dare vita a persone, non personaggi. In Tori e Lokita abbiamo voluto spingere il pubblico fuori dalla sua comfort zone, provare a scuoterlo anche da un punto di vista emotivo oltre che intellettuale e per questo abbiamo pensato che questa storia, proprio perché più semplice, potesse in qualche modo servire meglio il nostro scopo. Meno c’è intrigo e più c’è verità, perché i personaggi non possono nascondersi dietro alla storia.

Tori e Lokita - Jean-Pierre e Luc Dardenne
Tori e Lokita – Jean-Pierre e Luc Dardenne

In questo periodo storico sentiamo come il cinema voglia rivendicare una funzione di sollievo rispetto al mondo attuale, alla pandemia, alle guerre in corso. È più difficile che un cinema come il vostro, che invece è meno accomodante, possa trovare un suo spazio o è ancora possibile?

JPD: Certo che è ancora possibile, altrimenti non saremmo qui. Le persone ora sono molto preoccupate a causa della guerra, dell’aumento dei prezzi di tanti servizi essenziali e in generale a causa di un futuro ancora incerto, però credo che ci sia tantissima gente che voglia ancora una società migliore. Una società più accogliente e aperta, e noi come registi dobbiamo avere sempre fiducia e regalare sempre speranze alle persone che vengono a vedere un nostro film. Certo, magari questo Tori e Lokita verrà visto da meno persone o incasserà meno ma questa è la vita. Per fortuna in Europa le cose non sono cambiate poi molto per quanto riguarda l’accesso ai finanziamenti pubblici, ma nel Regno Unito dopo la Brexit si fa molta più fatica e questo lo sappiamo perché ne abbiamo parlato personalmente con un nostro caro amico, che è Ken Loach.

Come nasce la scelta della canzone di Branduardi “Alla fiera dell’est” che apre e chiude il film?

LD: In verità in sceneggiatura non era prevista che ci fosse una canzone italiana e in particolare questa canzone di Branduardi, ma poi ci è capitato di parlare con un nostro amico italiano di terza generazione che vive in Belgio e che ha insegnato ai due protagonisti a cantare in italiano. Lui ci ha raccontato che quando aveva otto o nove anni i suoi genitori lo mandarono a lezione di italiano, e che la prima canzone che ha appreso è proprio questa canzone di Branduardi. Quindi ci è sembrato bello che ci fosse questo gesto bellissimo di questa donna che in Italia insegna a Tori e Lokita questa canzone in italiano prima di vederli partire, e che in qualche modo la canzone fosse un felice connubio tra il tono del film e la nostra intenzione di voler preservare quell’innocenza nei nostri personaggi.

Tori e Lokita - conferenza stampa coi fratelli Dardenne
Tori e Lokita – conferenza stampa coi fratelli Dardenne

In questi giorni in italia il ministro dell’Interno italiano si è riferito ai migranti bloccati su una nave al largo del Mediterraneo come “carico residuale”. Dato che voi lavorate sul linguaggio sia visivo che per quanto riguarda le parole, quanto è importante per voi la scelta del linguaggio?

JPD: Sono sicuramente state parole terribili quelle del vostro primo ministro. Proprio per questo abbiamo deciso che fosse importante raccontare la storia di due ragazzi che vogliono vivere con noi, non contro di noi. Sono due persone che cercano di farcela, di vivere nella legalità, di affrontare un mondo che a loro è alieno. Dobbiamo insistere sul fatto di supportare queste persone, questa comunità che a noi fa così tanta paura. Il cinema deve spezzare il pregiudizio, il luogo comune ed è soltanto in questo modo che possiamo resistere alle sirene delle parole che il vostro primo ministro ha pronunciato.

LD: Il cinema in qualche modo deve permetterci di farci prendere una pausa per pensare, per riflettere, per stabilire una connessione con queste persone, una connessione che sia sociale, umana e che possa davvero aiutarci e aiutarle a creare una società migliore.

Truffaut sosteneva che un film si giri contro la sceneggiatura e che si monti contro le riprese. Guardando al pudore, alla grazia e alla sensibilità con cui non mostrate ma fate intendere la violenza e le azioni più riprovevoli, e che quando sottolinea uno studio e un’intenzione precisa, quanto c’è di vero secondo voi in questa affermazione di Truffaut?

JPD: C’è sembrato che il riprendere questa violenza non avesse molto senso per l’economia del film, e quindi abbiamo sempre mostrato la violenza dal lato della vittima come nella scena dello strip-tease di Lokita o quella in cui viene picchiata. Le immagini possono essere molto violente anche senza mostrare perché basta l’intenzione, e soprattutto il simpatizzare sempre e comunque con la vittima relegando l’aggressore di lato come se non avesse importanza.

LD: In Tori e Lokita come ha giustamente detto mio fratello volevamo mostrare la vittima, e non il boia. Poi la violenza e la forza delle immagine sono ancora maggiori perché lì c’è anche Tori che assiste a tutto, ed è quello che non si mostra a rendere quella scena ancora più forte e paradossalmente più violenta. Non volevamo essere dei voyeur, ma piuttosto far imprimere nello spettatore l’idea terribile di sopraffazione a cui Tori e Lokita sono costretti durante gran parte del film.

Tori e Lokita. Regia dei fratelli Dardenne con Mbundu Joely, Pablo Schils, Marc Zinga, Claire Bodson e Baptiste Sornin in uscita nelle sale il 24 novembre distribuito da Lucky Red.

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