RoFF17: A Cooler Climate, recensione del documentario autobiografico di James Ivory

A cooler climate - James Ivory (foto di The Bureau Sales)
A cooler climate - James Ivory (foto di The Bureau Sales)

La nostra recensione di A Cooler Climate, nuovo film del maestro del period drama James Ivory che torna con un documentario autobiografico, tra le proiezioni speciali della 17ª Festa del Cinema di Roma

A metà tra racconto intimista in forma di autobiografia e documentario sull’Afghanistan dei primi anni ’60 (ma con puntate anche a New York e Venezia), A Cooler Climate di James Ivory ha aperto la sezione delle proiezioni speciali della Festa del Cinema di Roma, dove il regista riceverà anche il Premio alla Carriera.

Una vita dietro la macchina da presa

Alla veneranda età di 94 anni James Ivory, maestro del period drama e vincitore dell’Oscar alla migliore sceneggiatore originale nel 2018 per Call Me By Your Name, ha finalmente deciso di aprirsi un po’ di più con il suo pubblico e di raccontarsi senza (troppi) filtri davanti e dietro la macchina da presa. Si parte con un suo viaggio durato diversi mesi nell’Afghanistan del 1960, dove avrebbe dovuo girare un film poi mai realizzato, un viaggio in cui per la prima volta ha sperimentato la paura del sesso e quella dell’amore verso un giovane ragazzo afghano, si prosegue con il racconto della sua infanzia in una piccola città dell’Oregon, delle prime esperienze nel cinema, dei viaggi in Italia e in India e infine dell’incontro con il grande amore della sua vita, il produttore indiano Ismail Merchant mancato prematuramente nel 2005.

A cooler climate - scena del film (foto di The Bureau Sales)
A cooler climate – scena del film (foto di The Bureau Sales)

Una terra lontana

È proprio l’Afghanistan la prima meta del nostro (non troppo lungo) viaggio in A cooler climate. Un paese che all’inizio degli anni ’60 era ancora lontano dal subire l’invasione russa degli anni ’80, quella americana post 11 settembre e la repressione sociale dei talebani. Un paese in cui si respirava quasi un’aria, se non proprio di libertà o progressismo, quantomeno di moderata tolleranza nei confronti degli occidentali e dei loro valori, pur rimanendo sempre ancorato a rigidi dettami sociali e religiosi. Non proprio il luogo giusto per sperimentare apertamente la propria sessualità, ma neanche la cloaca di morte e terrore destinato a diventare col tempo. L’Afghanistan rappresenta per Ivory un mondo di inesplorate possibilità, selvaggio e accattivante allo stesso tempo, un po’ come per l’imperatore indiano Babur che viene citato più volte nel corso dell’opera e che amava infinitamente Kabul e la sua gente.  Lo sguardo di Ivory ci mostra l’Afghanistan del tempo, tra filmati di archivio recuperati dopo 60 anni e ricordi personali, come quando si ritrovò a viaggiare con due ragazzi del luogo chiedendosi se l’avrebbero violentato e cosa avrebbe provato nel caso lo avessero fatto. In questa parte del documentario Ivory si lascia andare molto più volentieri ai ricordi e alle confidenze, cercando l’ascolto dello spettatore che non può fare altro che accompagnarlo.

A cooler climate - scena del film (foto di The Bureau Sales)
A cooler climate – scena del film (foto di The Bureau Sales)

Un piccolo paese dell’Oregon

Ivory però non si limita alle parentesi più “esotiche”, ma sceglie di tornare una volta per tutte a casa per farci partecipi della sua lotta interiore di bambino diverso, quello che per Natale desiderava una casa delle bambole da arredare e decorare con tutti i crismi del caso. La scoperta della sua omosessualità viene raccontata solo d’accenno, in un piccolo sussurro, ma quello dell’accettazione dell’identità è un po’ il trait d’union tematico di A Cooler Climate. Ivory suggerisce, raramente si espone troppo e lavora in alcuni casi di sottotesto, come quando accenna alla sua relazione amorosa con Merchant. Il bambino che andava al cinema ogni sabato pomeriggio e che accompagnava il padre, fornitore di legname per le major dell’epoca, a visitare i più grandi studios e di tanto in tanto incontrava qualche stella di allora è lo stesso bambino che ogni tanto fa capolino in una foto, in un ricordo, in un sorriso. E che in un piccolo paese dell’Oregon, tra foreste e montagne, sognava di poter vedere il mondo e di poterlo raccontare.

Ivory si spoglia un po’ di sé, ma non del tutto

Nonostante gli aneddoti (alcuni anche molto personali) e le immagini della propria vita la sensazione che permane è che Ivory non ci abbia proprio raccontato tutto di sé. Certamente la durata esigua di A Cooler Climate (75 minuti) non aiuta lo sguardo a dipanarsi, però Ivory non entra mai in profondità, si tiene sulla superficie, sia quando ci parla della propria vita che quando ritrae l’Afghanistan o l’Italia degli anni ’50. È un film che in fondo racconta un mondo che non esiste più, come quando Ivory ci mostra una statua del Buddha vecchia di duemila anni e poi distrutta dai Talebani. È un film sulla conservazione dei ricordi e su come questi plasmino e definiscano la nostra identità. Però, purtroppo, è anche un film che finisce in maniera troppo netta, che lascia troppe briciole dietro di sé e che non contribuisce a risolvere totalmente il puzzle di un artista che in sessant’anni di cinema si è sempre nascosto dietro le sue storie senza mai mostrare nulla della sua di storia. Fino ad ora.

A cooler climate - scena dal film (foto di The Bureau Sales)
A cooler climate – scena dal film (foto di The Bureau Sales)

A cooler climate. Regia di James Ivory in uscita prossimamente nelle sale distribuito da The Bureau Sales.

VOTO:

Tre stelle e mezzo

 

 

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