Lana Del Rey, recensione dell’ispirato album Norman Fucking Rockwell!

Lana Del Rey

Lana Del Rey torna con l’atteso nuovo album Norman Fucking Rockwell! e stupisce con un’ora di musica che scorre in maniera coesa, con brani che hanno una loro anima, molte ballate struggenti e una maturità raggiunta che la consacra come una delle cantautrici più rappresentative del panorama americano attuale.

Lana Del Rey torna con l’atteso nuovo album Norman Fucking Rockwell! (clicca qui per acquistarlo su Amazon a prezzo speciale) e stupisce con un’ora di musica che scorre in maniera coesa, con brani che hanno una loro anima, molte ballate struggenti e una maturità raggiunta che la consacra come una delle cantautrici più rappresentative del panorama americano attuale. Nell’immaginario evocativo alla quale aveva abituato il suo pubblico è tangibile una coerenza con i suoi dischi precedenti, così come si denota lo sperimentalismo nel raccontare la nostalgia adolescenziale e l’amore nelle sue diverse sfaccettature.

Il disco si apre con la titletrack, un intro quasi da colonna sonora Disney con il violino e il piano che subentra ad accompagnare la sua voce, sembra a fuoco e ben dosata, senza voler strafare o urlare come molte sue colleghe. Sicuramente un particolare degno di nota e marchio di fabbrica del suo stile. In Mariners Apartment Complex le strofe sono più parlate, con cori prima del ritornello e sinth nella parte finale, in una progressione vocale che colpisce già dal primo ascolto. Venice Beach è il capolavoro del disco, uno dei singoli promozionali che dura quasi 10 minuti e in cui domina un sound folk con influenze psichedeliche nell’uso della chitarra elettrica e la nostalgia che la fa da padrona, confermandosi una delle linee tematiche della produzione di Lana.

Fuck i love you colpisce per la voce vellulata di Lana, con falsetti nel ripetere il titolo del brano nel ritornello, accompagnati dal drum accennato. Il testo invita a vivere insieme un giorno di serenità: Dream a little dream of me / Make me into something sweet / Turn the radio on  / Dancing to a pop song. Doin’ time è il brano più radiofonico dell’album con un ritornello che rimane in testa, la batteria che la fa da padrone mentre il piano accompagna la linea melodica. Nel video Lana è la protagonista di un film proiettato in un parcheggio, scena ricorrente dei film americani adolescenziali della passata generazione. Love song è un pezzo tutto piano e voce, parla di sentimenti scaturiti da un primo incontro, dal sentirsi complici con la persona amata: Would like to think that you would stick around / You know that / I’d just die to make you proud / The taste, the touch, the way we love / It all comes down to make the sound of our love song. Cinnamon song riprende gli argomenti della canzone precedenti ma con un arrangiamento più ritmato e una voce meno soffusa.

How to disappear è un racconto formato canzone di un amore adolescenziale nei confronti di un tale Joe e pone al centro la lotta tra i sentimenti e gli obblighi della vita, che spesso prevalgono e impediscono i lieti fini: I watch the guys getting high as they fight / For the things that they hold dear / To forget the things they fear. The next best american record è un analisi critica nei confronti della ricerca sfrenata del successo, che spesso prevale sulla qualità del prodotto artistico realizzato. California è una ballad, il cui canto evoca tutte le emozioni relativa alla perdita di un amore, con il conseguente desiderio del suo ritorno misto alla consapevolezza che non potrà accadere. The greatest ha un arrangiamento molto curato con molti strumenti presenti in alternanza, tutti volti a risaltare le qualità vocali che emergono prepotenti nel pezzo.

Il disco si conclude con tre ballate piano e voce, c’è il rischio che delle canzoni simili provochino un effetto di monotonia ma, anche se l’universo sonoro sembra lo stesso, ogni brano ha la sua fisionomia. Bartender è una cover dal piglio ritmato, urla l’arrivo della stagione estiva estate ma ti infonde tristezza. Happiness is a butterfly ha un testo molto toccante che riflette sull’effimera durata dell’esistenza: Happiness is a butterfly/ Try to catch it, like, every night / It escapes from my hands into moonlight / Every day is a lullaby
/ Hum it on the phone, like, every night / Sing it for my babies on the tour life. Il pezzo finale dell’album è Hope is a Dangerous thing for a woman like me to have – but i have it, un titolo chilometrico ma esemplificativo della mentalità della talentuosa cantautrice che attinge dai ricordi per mantenere attiva la speranza del futuro. E da ascoltatori di musica viene naturale sperare che il suo futuro artistico continui a toccare le vette raggiunte da questo ispirato lavoro discografico.

VOTO:

1 commento

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci qui il tuo nome