La recensione de Il processo ai Chicago 7, il film scritto e diretto da Aaron Sorkin con un cast solido e un’attenzione maniacale per i più piccoli dettagli estetici
I Chicago 7
Un gruppo di attivisti contro la guerra del Vietnam organizza una protesta pacifica in occasione della convention del Partito Democratico avvenuta il 28 agosto 1968 a Chicago. Le cose tuttavia non vanno come previsto e lo scontro tra manifestanti e Guardia Nazionale diventa violento. I sette leader (più il capo delle Pantere Nere, ingiustamente coinvolto dal procedimento) vengono accusati di associazione a delinquere, istigazione alla sommossa e altri reati relativi agli scontri. Inizia così uno dei processi più famosi e più seguiti della storia d’America, giudicato a posteriori un processo farsa a causa della collisione con movimento controculturale, razzismo, discriminazione e negazione dei diritti umani da parte del giudice Julius Hoffman (interpretato da Frank Langella).
Un film affascinante
Il processo ai Chicago 7 emana fascino da ogni centimetro di bobina. Nonostante il tema sia assolutamente serio (oltre che ispirato ad un fatto realmente accaduto), è evidente che la scelta operata dal regista e sceneggiatore Aaron Sorkin sia quella di aggirarsi intorno ai toni della commedia. Ciò non significa che i fatti vengano affrontati con superficialità. Semmai, è l’involucro esterno a voler apparire accattivante, divertente, patinato. Lo si capisce dalla maggior parte dei dialoghi – in primis gli interventi di Abbie Hoffman (Sacha Baron Cohen) e Jerry Rubin (Jeremy Strong), mattatori sia dentro che fuori il tribunale – ma anche da un montaggio alternato che fa avanti indietro nel tempo, nonché dalla colonna sonora glamour tipicamente anni ’60.
Cura estetica e cast corale
Il cast (costato 11 milioni di dollari, su un budget totale di 35 milioni spesi per la realizzazione del film) segue questa linea, puntando su nomi particolarmente in voga a Hollywood. Oltre ai nomi sopracitati, basta fare una piccola e parziale lista per capirlo: Eddie Redmayne, Michael Keaton, Mark Rylance, Joseph Gordon-Levitt. La coralità, soprattutto quando è data dalla somma di buone interpretazioni personali come in questo caso, non può che portare ad un risultato complessivamente ottimale. Insomma, difficile trovare pecche o punti deboli in una pellicola che è stata curata sin nei minimi dettagli estetici. Da apprezzare il fatto che il film riesca a raccontare efficacemente una storia ricca di ideali senza voltare mai le spalle ad una scrittura fresca ed empatica.
Otto personaggi, otto ideali
Ammirevole la caratterizzazione dei personaggi, che raccontano un fatto storico ma anche un’intera epoca. Nonostante siano sotto processo, è davvero impossibile considerare colpevoli o “cattivi” questi Chicago Seven (o Eight). È così che si riesce ad osservare un periodo in cui le rivendicazioni contro il governo oppressivo erano all’ordine del giorno, in cui le Pantere Nere guidate da Bobby Seale (Yahya Abdul-Mateen II) si battevano – anche con la violenza e travalicando i limiti della Legge – per i diritti delle minoranze, in cui si tentavano resistenze armate e ci si opponeva al massacro dei giovani soldati spediti loro malgrado a combattere la Guerra del Vietnam. Il processo di Chicago 7 affronta tutto questo in modo leggero, soprassedendo sugli aspetti meramente storici e insistendo invece su quelli ideologici. Una piccola licenza artistica che potrebbe far storcere il naso al pubblico più rigoroso ma che per gli stessi motivi riuscirà ad ammaliare la più vasta delle platee.
Dopo alcuni brevi passaggi nelle sale cinematografiche interrotti a causa del Covid-19, Il processo ai Chicago 7 è stato distribuito in streaming su Netflix dal 16 ottobre 2020. Nel c cast anche John Carroll Lynch, Alex Sharp e Kelvin Harrison Jr.