Tori e Lokita, recensione: i fratelli Dardenne raccontano il dramma dell’integrazione

Tori e Lokita - Pablo Schils e Joely Mbundu (foto Lucky Red)
Tori e Lokita - Pablo Schils e Joely Mbundu (foto Lucky Red)

La recensione di Tori e Lokita, il nuovo film dei fratelli Dardenne vincitore del Premio Speciale per il 75° Festival di Cannes: un dramma sull’integrazione raccontato attraverso un’amicizia speciale

Dopo essere passati con successo all’ultimo festival di Cannes i fratelli Dardenne approdano nelle sale con il loro nuovo film, Tori e Lokita. Una pellicola che racconta di integrazione ma anche di futuro, attraverso la storia di un’amicizia speciale e quasi fraterna tra Lokita, una giovane ragazza camerunense, e Tori, un bambino beninese.

Una favola nera nel bel mezzo dell’Europa

Tori (Pablo Schils) e Lokita (Joely Mbundu) sono due immigrati africani che vivono di espedienti giorno per giorno, mentre cercano di integrarsi nella comunità di una piccola città belga. I due lavorano per Betim (Alban Ukaj), un cuoco che in realtà gestisce lo spaccio di cocaina maggiore della zona e che di tanto in tanto paga Lokita in cambio di rapporti sessuali. Mentre Lokita cerca di ottenere il visto per poter rimanere legalmente nel paese e mantenere così Tori, deve anche vedersela con Firmin (Marc Zinga) e Justine (Nadège Ouédraogo), due trafficanti di esseri umani grazie ai quali ha potuto lasciare l’Africa e con cui ha perciò contratto un debito che va saldato con gli interessi. Una nuova opportunità lavorativa potrebbe rappresentare la fine dei problemi economici di Tori e Lokita, ma le persone con cui avranno a che fare saranno molto più pericolose e spietate di un paio di trafficanti.

Tori e Lokita - Pablo Schils, Nadège Ouédraogo e Marc Zinga (foto Lucky Red)
Tori e Lokita – Pablo Schils, Nadège Ouédraogo e Marc Zinga (foto Lucky Red)

Rumore e furia

I fratelli Dardenne, ormai da diversi anni a questa parte, stanno sperimentando un cinema sempre più legato al dinamismo e allo scorrere del tempo (come nel bellissimo Due giorni, una notte), ma in questo Tori e Lokita subentra un’altra componente non troppo inaspettata: quella fisica.  Sì, perché questo è un film in cui si corre, si picchia e si viene picchiati, ci si nasconde e si arriva addirittura ad uccidere. Un film decisamente più sanguigno anche se un po’ meno frenetico di altri loro lavori, nonostante la violenza venga spesso lasciata fuori campo e soltanto accennata, come se i Dardenne volessero dare molta più importanza alle vittime che ai carnefici. In questo continuo correre e in questa ricerca spasmodica di un senso al quale legare la propria esistenza, i personaggi però rischiano un po’ troppo di spomparsi, arrivando al traguardo scarichi e senza molto da dire. Quella di Tori e Lokita è una corsa continua alla ricerca di un infinito filmico che sembrano trovare però solo a tratti, di pennellata in pennellata. Parafrasando un certo Shakespeare, molto rumore e molta furia ma poco significato.

Tori e Lokita - Joely Mbundu e Pablo Schils (foto Lucky Red)
Tori e Lokita – Joely Mbundu e Pablo Schils (foto Lucky Red)

Il dramma dell’integrazione

Se il fulcro tematico del film ha a che vedere con la ricerca di un’identità da parte di entrambi i protagonisti, un’identità grazie alla quale poter finalmente avviare quel processo di integrazione necessario per farsi accettare e per sentirsi finalmente a casa, Tori e Lokita finisce invece per girare intorno ad una caccia all’uomo, o in questo caso ai piccoli protagonisti, come un cane che si morde la coda all’infinito. Il problema di questa scelta è però la totale mancanza di tensione o di svolte diegetiche che possano in qualche modo sorprendere lo spettatore, e l’attaccamento emotivo ai personaggi avviene più per quello che subiscono durante il corso del film che per il modo in cui sono stati costruiti, per quello che dicono o che sentono. Di loro conosciamo solo il desiderio ma mai il bisogno, perché lo sguardo dei Dardenne è paradossalmente troppo distaccato e prudente. Anche la scelta di non mostrare la violenza, a questo punto, appare come una scelta non dettata da una particolare sensibilità ma da un’incapacità di voler andare a fondo. Di scavare nel fango, di sporcarsi le mani. Ma per raccontare il dramma dell’integrazione quelle mani non possono rimanere intonse: servono le lacrime, serve il sangue, serve rimboccarsi le maniche e tirare fuori il marcio.

Tori e Lokita - Joely Mbundu (foto Lucky Red)
Tori e Lokita – Joely Mbundu (foto Lucky Red)

Fratelli non di sangue

Il rapporto tra Tori e Lokita è ovviamente centrale all’interno della narrazione, e i fratelli Dardenne provano ad ancorare il racconto su di loro per permetterci di seguirli passo dopo passo, empatizzare con loro, tifare per loro. Nonostante questo attaccamento ai personaggi quasi morboso e che lascia ben poco respiro al resto, il film funziona nel suo intento almeno fino al midpoint. Quando poi Lokita trova un nuovo lavoro e di conseguenza è impossibilitata ad interagire con Tori come prima, dovendosene staccare in maniera piuttosto repentina, il film sembra perdere quella scintilla di calore e di racconto davvero umano che fino a quel momento aveva portato più o meno avanti. La loro relazione di fratellanza, che fratellanza vera poi non è, rimane l’unico appiglio emotivo per lo spettatore di fronte ad mondo ai margini, fatto di sfruttamento, violenza, confini morali labilissimi e deprecabili, un mondo diviso da una barriera profondissima e invalicabile rispetto alla città, al paese e alla società che lo ospita.

Di questo Tori e Lokita si possono certamente apprezzare alcune cose: l’amore che i Dardenne provano per questi due “reietti” alla ricerca di un qualche futuro, la confezione mai troppo patinata e dotata di una certa scorza ruvida, la volontà di trascendere il dramma puro per farne una storia di inseguiti e inseguitori, di prede e di cacciatori. Però il loro è uno sguardo che rimane in superficie, troppo pudico in alcuni frangenti, troppo avvezzo nel voler rispettare una certa formalità stilistica che non macchiasse mai il racconto o i suoi protagonisti. Serviva certamente più coraggio, o forse un approccio meno laterale. O magari, più semplicemente, serviva ricordarsi che nel cinema va bene mostrare la tragedia di tanto in tanto e con la sensibilità giusta; il difficile è tutto lì.

Tori e Lokita. Regia di Jean-Pierre e Luc Dardenne con Pablo Schils, Joely Mbundu, Alban Ukaj, Marc Zinga e Nadège Ouédraogo, in uscita nelle sale il 24 Novembre distribuito da Lucky Red.

VOTO:

Due stelle e mezzo

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