La nostra recensione di Jeong Sun, dramma coreano diretto da Jihye Jeong e in concorso nella sezione Progressive Cinema della Festa del Cinema di Roma, che prova a ragionare di cyberbullismo ma non solo
Alla 17ª Festa del Cinema di Roma sbarca Jeong Sun di Jihye Jeong: il dramma del cyberbullismo nella Corea contemporanea, ma anche la storia di un riavvicinamento tra una madre e una figlia. Peccato per un’esplosione del conflitto centrale troppo tardiva e per un eccessivo attendismo.
Un video che cambia tutto
Jeong Sun (Kim Guem-Soon) è una donna di mezz’età che lavora come operaia in una fabbrica di prodotti alimentari. Il suo capo è arrogante e presuntuoso e le dà continuamente il tormento, il rapporto con la figlia non è dei migliori nonostante il matrimonio imminente di quest’ultima e, come se non bastasse, si è innamorata di un collega arrivato da poco di nome Yeong Su (Cho Hyun-Woo). Inoltre nella fabbrica in cui lavorano è in corso una diatriba tra gli operai più anziani e i giovani appena arrivati, poiché questi ultimi vengono accusati di ottenere lavori migliori dai capi in cambio di sesso occasionale. Questa faida interna provoca dei continui chiacchiericci tra le donne più anziane amiche di Jeong-Sun intente a sparlare delle ragazze, finché un giorno Jeong Sun stessa diventa vittima di queste dicerie. Succede perché c’è un video di lei che canta una popolare canzone coreana in reggiseno mentre Yeong-Su la sta riprendendo, solo che quest’ultimo lo condivide sui social all’insaputa di Jeong Sun stessa. La situazione diventerà sempre più pesante, finché Jeong Sun non capirà che dovrà reagire per evitare le continue vessazioni a cui viene sottoposta.

Imparare a reagire
Nella parabola sempre più discendente di Jeong Sun, il conflitto iniziale con l’autorità costituita man mano cede il passo ad un conflitto che si abbassa e si livella a quella che è la sua di condizione o di chi le stava sotto. Ora è diventata, infatti, anche lo zimbello di coloro con i quali, fino a quel momento, scherzava e di coloro i quali prendeva in giro. Nel momento in cui lei diventa una “star” del web, suo malgrado, paradossalmente sembra aumentare di pari grado la sua consapevolezza di non voler rappresentare più un prodotto usa e getta. Come nella dinamica in cui il nuovo fa lentamente spazio al vecchio (e in questo senso la lotta tra le operaie anziane e quelle più giovani è una metafora neanche troppo sottile), l’anima di Jeong-Sun comincia a togliersi di dosso tutti quei pesi e tutte quelle frustrazioni mai sopite che la stavano divorando dentro da anni. Il video incriminato è quindi solo la punta dell’iceberg di un problema che è molto più profondo, molto più sottile. Quello del non avere il controllo su ciò che gli altri scelgono al posto nostro, dell’essere impotenti di fronte a delle scelte imposteci per cui non siamo preparati o alle quali siamo vulnerabili. Ma per affrontare e (forse) sconfiggere queste vulnerabilità è necessario imparare a reagire, come tenta di fare Jeong Sun anche se a modo suo.

Avere la propria voce
Anche se, a prima vista, questo Jeong Sun potrebbe sembrare un film che ha fulcro tematico quello del bullismo, in realtà il suo discorso tocca il bullismo (la sua variante cibernetica come in questo caso) ma finisce per parlare di voce. Non però la voce che Jeong Sun utilizza per cantare la canzone del video, ma quella che utilizza o meglio non utilizza nel momento in cui deve confrontarsi con chi le ha causato tanto dolore. Il suo confronto con Yeong Su, suo amante e aguzzino, è asciutto e terribile e rappresenta il momento più elevato del film. Sono i suoi non detti, gli sguardi pregni di dolore, i il linguaggio del corpo che esprime la sua fiducia andata in pezzi a comunicare quello che le parole non possono riuscire a comunicare. In un certo senso, seppur lateralmente, questo Jeong Sun è anche un film sulla condizione in cui le donne si trovano ancora nel dover subire, nel dover stare zitte, nel non avere una voce. Oltre che sui bulli che sono dappertutto, quelli che si muovono fra noi come ombre e che vogliono zittirci, farci sentire nulli, toglierci la nostra voce.
L’importanza del conflitto
È paradossale come un film come Jeong Sun impieghi così tanto tempo prima di far detonare il conflitto. Per poco più di 40 minuti sui 90 di durata seguiamo il personaggio di Sun imparandola conoscere in tutti gli aspetti della sua vita, ma questa lunga introduzione ha il difetto di allontanarci dalla storia vera e propria perché non ci sono eventi rilevanti prima che il video venga girato. Certo, c’è tanto (forse troppo) planting e c’è la voglia di rappresentare un microcosmo come quello della condizione di lavoro nelle medie industrie coreane comunque lodevole, ma il film ci mette troppo ad arrivare a quello che dovrebbe essere il suo cuore, il suo fulcro. Nel suo continuo voler tergiversare il film resta con troppo da dire e poco tempo rimasto per farlo, e il risultato è un arco di trasformazione della protagonista giusto sulla carta ma troppo repentino nella messa in scena. Questo fa purtroppo sì che il film non riesca a respirare come dovrebbe, nonostante il ritmo non proprio sincopato, perché anche la questione giudiziaria esterna al video viene trattata con troppa superficialità e senza il giusto graffio che avrebbe meritato.
Jeong Sun è un film che affronta un tema e degli argomenti non certamente comodi, facendolo anche con una certa onestà nello sguardo e nella scrittura e con un finale per certi versi ruvidissimo e incendiario. Però fa tutto senza i giusti tempi, rallentando quando dovrebbe accelerare e accelerando quando invece dovrebbe far rifiatare la storia e i personaggi. Una mezza occasione persa, ma il coraggio non si discute.

Jeong Sun. Regia di Jihye Jeongcon Kim Guem-Soone Cho Hyun-Woo, in uscita prossimamente nelle sale.
Due stelle e mezzo