Diretto da Andrea Adriatico e interpretato da un incantevole Nicola Di Benedetto, Gli anni amari è un intenso mosaico sulla vita e personalità di Mario Mieli, leggendario fondatore del movimento di liberazione omosessuale italiano, ma anche un viaggio nell’Italia degli anni ’70, tra contraddizioni e stille di cambiamento.
Gli anni amari, ritratto queer
È stato presentato in pre-apertura alla 14ª edizione della Festa del Cinema di Roma Gli anni amari, il film di Andrea Adriatico sulla vita di Mario Mieli, figura leggendaria del mondo LGBTQ+ italiano (e internazionale) e tra i fondatori del movimento di liberazione omosessuale del nostro Paese. Attivista, performer, intellettuale, artista, scrittore, teorico: è difficile trovare una definizione stabile ed esaustiva che incarni a pieno l’attività e la ricerca di Mieli, come è impossibile trovare parole che possano racchiudere una volta per tutte la sua geniale personalità, così complessa e sfaccettata. Una fluidità e inafferrabilità di fondo, una repulsione per ogni etichetta e rappresentazione rassicurante, una vocazione naturale alla provocazione e alla decostruzione e distruzione delle norme – tutte, l’uso del proprio corpo come agente di rivoluzione e disturbo: ecco cos’era Mario, o Maria, se preferite.
Un’attenta ricostruzione
Tutto questo è trasfuso nell’intenso ritratto firmato da Andrea Adriatico, che ha lavorato anche alla sceneggiatura insieme a Grazia Verasani e Stefano Casi. Grazie anche alla convincente e accurata interpretazione di Nicola Di Benedetto, Gli anni amari riesce a dare corpo e anima alla tragica figura di uno dei protagonisti più colpevolmente accantonati della storia politica e culturale del nostro Paese. Dall’adolescenza milanese ai primi contatti con il Gay Liberation Front di Londra; dalla militanza col Fuori! alle prime manifestazioni in Italia; dagli amori al travagliato rapporto con la famiglia; dall’attività intellettuale alla malattia mentale, fino al tragico suicidio nel 1983, ad appena trent’anni, il film ripercorre le tappe principali della vita dell’autore di Elementi di critica omosessuale (uno dei testi fondamentali degli studi di genere), grazie anche ad un attento e accurato lavoro di ricostruzione e ricerca che emerge anche nell’esattezza della rievocazione storica e sociale di quegli anni di lotte ed euforie, in cui il mondo sembrava finalmente sull’orlo di un’inevitabile stravolgimento di ogni regola e imposizione.

L’insopportabile scandalo del corpo queer
Di Benedetto regala una performance commovente e delicata di Mario Mieli, lavorando su gestualità, espressività e fisicità. Ciò non solo rende l’interpretazione degna di nota, ma restituisce potenza e verità a quella che fu in fondo la quintessenza della ricerca – politica, esistenziale, estetica – di Mario, il suo nucleo fondante: il corpo queer come mezzo in sé di rottura e rivoluzione, un corpo androgino, difforme e in continua “mutazione”, in grado di farsi agente di cambiamento, autodeterminazione e riscatto, liberatoria provocazione, scandalo “insopportabile” che invoca ed anzi esige reazione e fastidio. È tutta qui la grandezza e radicalità di Mieli: nella sua pretesa di libertà senza se e senza ma e non semplicemente di tolleranza e “accettazione”; nella sua indisponibilità a lasciarsi incasellare, che sia dalla società borghese o dalla sinistra dei movimenti, anche’essa regno dominato ancora dal maschio etero.
Gli anni ’70, tra euforie e contraddizioni
Gli anni amari mostra perciò tutte le contraddizioni dell’Italia degli anni ’70, tra nuove esigenze, stille di cambiamento e “reflussi” che poi si attesteranno nella decade successiva. Anni turbolenti, di rottura e speranza, ben ricostruiti dal film, grazie a rapidi tocchi, dettagli, ambientazioni ed una colonna sonora che spazia dalle hit italiane – Raffaella Carrà, Ivano Fossato, Banco del Mutuo Soccorso – ai grandi successi internazionali. Bene anche la ricostruzione dell’atmosfera “rivoluzionaria”, di cui sono messi in luce anche i limiti e le ambiguità. Gli omosessuali, ghettizzati dalla società eteropatriarcale e spesso anche dagli stessi movimenti di sinistra che allora predicavano uguaglianza e giustizia, divengono così gli alleati naturali di donne e femministe, lesbiche, travestiti/e e persone transgender, accomunati dalla lotta alla Norma imposta dall’educastrazione, come la definiva Mieli, e dalla liberazione dal dominio maschile.

Il personale è politico
L’identità di Mieli incarna tutto ciò e si fa eredità di una lotta che dal corpo parte per ricordare che «il personale è politico» e che spesso non serve nemmeno scrivere o urlare slogan per “fare rivoluzione”, perché è l’esistenza stessa della soggettività differente e difforme, la sua presenza nello spazio e nel tempo, a “essere rivoluzione”. Un’intuizione che non è pratica intellettuale o prassi politica nel senso comune del termine, ma discende dalla stessa identità di Mario/Maria, da una ricerca della verità sul sé e sul mondo e un bisogno di autenticità tanto urgente da non fare sconti né premesse né lasciare spazio a rassicurazioni o certezze. La fluidità come stato naturale dell’essere, il recupero e l’affermazione del femminile occultato dall’io e dalla società, la “perversione” come strumento di autoaffermazione e decostruzione della sessualità etero, il desiderio come forza motrice del tutto.
Il suicidio
Mario Mieli nacque e visse in un tempo che non era ancora pronto ad accogliere tutto questo. Gli anni amari è il racconto di una rivoluzione in potenza destinata al fallimento, di una giovane vita, stretta tra genio e follia, che precipita vorticosamente verso un suicidio che appare a tratti inevitabile, come a voler lasciare in eredità una ferita non rimarginabile inferta nelle pagine della storia recente. Una promessa di gioia e libertà tradita dalla lentezza con cui sempre la realtà pare adeguarsi al cambiamento e a nuovi modi di essere e stare al mondo. C’è chi ha scritto che il corpo morto di Mario/Maria torna a camminare oggi fra noi come una mummia, rievocata ora per infliggerle ancora disprezzo, ora per tentare di riproporne la verità, non sempre riuscendoci.
La gioia di vivere
Il film di Adriatico rappresenta un’ottima prova in questo senso, un tentativo poetico, drammatico e ben ragionato di restituire al nostro Paese occasione per conoscere e approfondire una delle figure più importanti e controverse non solo del mondo omosessuale italiano, ma di tutta la nostra storia politica e culturale. Oggi che si parla di queerness e gender, oggi che forse Mario avrebbe trovato il suo posto, oggi che forse avrebbe potuto rispecchiarsi in altri/e corpi e volti, senza rinunciare alla ricerca di quella gioia di vivere reclamata e rincorsa per tutta la sua breve vita.
La vera ribellione è un’altra, è il mio corpo che diventa poesia. Non è necessario scrivere poesia per essere ribelli… basta essere. Basta essere favolose. Io credo nel movimento. E nella gioia. Vivre la joie!
Gli anni amari è un film di Andrea Adriatico, prodotto da Cinemare con Rai Cinema, in collaborazione con Pavarotti International 23 srl, con il sostegno del MiBAC Direzione Cinema e con il contributo di Emilia Romagna Film Commission e Apulia Film Commission. Regia di Adriatico, che firma anche la sceneggiatura insieme a Grazia Verasan e Stefano Casi. Con Nicola Di Benedetto (Mario), Sandra Ceccarelli (Liderica, la madre), Antonio Catania (Walter, il padre), Tobia De Angelis (Umberto Pasti), Lorenzo Balducci (Giulio, uno dei fratelli), Giovanni Cordì (Piero Fassoni), Francesco Martino (Corrado Levi), Davide Merlini (Ivan Cattaneo). L’uscita in sala è prevista per la primavera 2020.
Qui trovate la nostra video intervista al regista Andrea Adriatico e a Nicola Di Benedetto.
