chiamatemiFRAN, intervista Come va, il suo nuovo singolo

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Scopriamo insieme il progetto di chiamatemiFRAN e il suo nuovo singolo Come va, di cui ci racconta meglio nella seguente intervista

Ciao, Come va è il tuo nuovo singolo. Cosa ti ha spinto a scriverlo e cosa pensi possa colpire di più chi l’ascolta?

Ciao, e grazie per l’opportunità. “Come va?” è un brano che ho approcciato come scommessa. Fa parte di un percorso durato un anno in cui ho cercato di mettermi in gioco a livello di scrittura e di messaggi lanciati. Ho sempre avuto, per ascolti, ispirazioni, e gusti artistici inclini ad un determinato mondo emotivo, la tendenza a decriptare le mie emozioni in musiche con impasti malinconici, grigi, spesso lenti e pesanti. Un mondo emotivo, dicevo, che è quello verso cui mi rifugio quando ascolto musica. Mi sono quindi chiesto
come sarebbero i miei messaggi se fossero bagnati da un approccio sentimentale diverso, più vigoroso e con un po’ più di “luce”. Da qui è nata “Come va?”, una canzone scritta con melodie banali, comuni, un giro d’accordi semplice, ma con un testo che mi rispecchia a fondo e di cui vado molto orgoglioso. Perché è nel testo, la chiave del messaggio. Andare al di là delle apparenze (una canzone felice, un viso sorridente) e scavare a fondo per capire il nucleo di chi (o di cosa) si ha davanti, sia appunto questi una persona che amiamo, un estraneo, o un’opera d’arte. “Come va?” è un invito a chi l’ascolta di dare peso, importanza ed accortezza a ciò che abbiamo davanti. A non dare per scontato nulla, nemmeno le emozioni più evidenti. Un sorriso, molto spesso, non è che una cicatrice ben nascosta.

Raccontaci la scelta della copertina e del videoclip

Seguendo la falsariga del messaggio nascosto nel testo della canzone, e nel suo arrangiamento, il video si costruisce dopo un lungo dialogo durato circa un mese tra me e Gianmaria Palombo, il regista del video. L’idea dietro le immagini è quella di rappresentare un’anima (in questo caso rappresentata da Serena Specchi, che colgo l’occasione per ringraziare per essersi prestata al progetto) che vaga tra paesaggi diversi, i quali rappresentano diversi stati emotivi che tutti noi passiamo: la gioia, la spensieratezza, la malinconia, la paura, la tristezza, la compassione. E in ogni paesaggio in cui l’anima va, si affaccia, lascia un “seme”, un sassolino su cui disegna appunto lo stato emotivo in cui si trova in quel momento. L’idea è quella di “Pollicino” che lascia briciole al suo passaggio per non perdere la via di casa. E qual è la via di casa? La compassione, l’empatia, rappresentata nelle scene finali dal rapporto quasi madre-figlia tra l’anima in viaggio e la saggezza della donna che dipinge sul sassolino finale. Per quanto riguarda la copertina, invece, è semplicemente il frame finale del video – la chiave di lettura, l’empatia impressa su pietra. La grafica l’ho curata io, partendo dal frame di una scena girata da Gianmaria.

Il duetto dei tuoi sogni e per chi vorresti scrivere

Questa è una domanda che mi sono spesso fatto, e nella mia vita ho tre artisti cardine con cui sarei onorato di esibirmi, scrivere e cantare: Damien Rice, Thom Yorke, e Concato. Questi, sarebbero duetti per cui sarei disposto a tutto e che risultano essere utopici, ma motivo di gioia anche solo al pensiero. Per quanto riguarda lo scrivere per qualcun altro, uno degli artisti per i quali sarei onorato di scrivere sarebbe Marco Mengoni, oltre che immaginare costruzioni melodiche e parole da cucire addosso a voci iconiche come
quella di Fiorella Mannoia. Sarebbe un onore scrivere per loro, si.

Parere sul mercato discografico odierno

Il mercato discografico è un mercato, appunto. E nel mercato c’è tutto ciò che vende, o che può essere venduto. Nel mercato, però, c’è un rischio: omologare le emozioni, farne un prodotto, costruire personaggi da proporre al grande schermo e ai grandi ascolti. La corsa all’impatto visivo, piuttosto che all’impatto emotivo. Il mercato discografico l’ho sempre vissuto in maniera contrastante, perché è un mondo che ho notato cambiare dagli anni 60/70 ad oggi. Un tempo, a mio avviso, il mercato si adattava ai bisogni della società, ai movimenti culturali e politici che c’erano in giro, nel paese di riferimento – oggi è quasi il
contrario, è il mercato che modella la società, è il mercato che decide cosa deve farti ascoltare. Poche proposte, tutte uguali, senza messaggi veramente rivoluzionari, veramente politici, veramente radicali. Non c’è denuncia. Le grandi canzoni, oggi, durano il tempo di un giro in classifica, parlano sempre d’amore o della fine di un amore, e giocano molto lontanamente con i temi trend sui social – e non nel paese. Non c’è più chi investe nel messaggio, quanto nel “già visto” perché ciò che è “già visto” è già stato venduto e
quindi venderà. Il mercato discografico odierno andrebbe restaurato, strappato dai monopoli di pochi e dato nelle mani di più enti, di più associazioni, e soprattutto andrebbe governato da chi la musica l’ha fatta davvero, l’ha vissuta davvero e sa di cosa si parli. Bisognerebbe investire nelle realtà locali, come a Napoli dove la culla cantautoriale è fortissima, i musicisti emergenti che ci sono proliferano tantissimo e hanno messaggi fortissimi, sia di denuncia che di riscatto. Eppure nulla passa, nel filtro di chi dovrebbe fare per mestiere questo: trovare talenti, insegnargli a vendere, veicolarli al pubblico. No, oggi c’è bisogno del pacchetto completo prima ancora di poter avere un’opportunità: prima ti formi, prima crei visualizzazioni e ascolti, prima produci canzoni, e solo dopo vieni preso sotto l’ala – per poco, e di tasca tua – di una Major. O almeno, questo è il punto di vista di chi ha avuto la mia esperienza e in base alla mia esperienza mi approccio alle cose. Ci saranno casi che confutano le mie opinioni? Lo spero con tutto il cuore.

Parere sul cast del Festival di Sanremo

Sanremo è un sogno per tutti coloro che scrivono musica, in Italia – o per la gran parte. Fuori da ogni ipocrisia, farne parte sarebbe un onore immenso. Ma quello che noto, è quello che ho notato in tutti i settori della nostra società. Devi rispecchiare un target. Sanremo è un manifesto più politico, che musicale. E questo, a lungo andare, ha creato un festival basato sulle opinioni piuttosto che sugli ascolti. E questo risulta essere vincente, assolutamente, ma a lungo termine non lascia segni, a mio avviso. Sanremo è il riflesso di questa Italia: ci si appoggia alla grandezza del passato, ci si adagia su un presente piatto, e non viene dato spazio al futuro – quello vero, quello reale, quello fatto di artisti che sono in grado anche di riempire locali, teatri, club, stadi. C’è un motivo se artisti del calibro di Caparezza, ad esempio, una delle penne più belle d’Italia degli ultimi trent’anni, non salgono su quel palco. È un messaggio chiaro: lì, la musica non è al centro. Lì, l’apparenza è al centro. Ci sarebbe da parlare per ore di Sanremo, sarebbe bello avere un dialogo a tu per tu con chi lo dirige, con chi detiene le redini della Musica Italiana e dell’Industria,
per chiedere loro se hanno davvero in mano il polso della società. Perché fateci caso, i ragazzi – così come le persone più adulte – si rifugiano sempre nei grandi del passato, da De Andrè a Concato, da Battisti a Tenco. Se sentono De Andrè dicono “eeeeh, non ci sono più artisti così” – questo cosa vuol dire, in termini pratici? Che c’è, banalmente, domanda. Che c’è domanda per un’offerta basata sullo spessore del messaggio, sullo spessore artistico e di pensiero critico. C’è domanda di artisti che denuncino, che sputino in faccia al disagio, che mordano il potere come faceva Gaber. Non so se riesco a far passare il messaggio, ma per vendere di più in un momento di crisi, pragmaticamente, basterebbe dare spazio e investire su chi ha davvero il coraggio di dire qualcosa.

Cosa dobbiamo aspettarci da te dopo questo pezzo?

Il futuro è fluido, si diversifica a seconda dei momenti storici e dei bisogni emotivi. La musica, è e sarà la costante della mia vita. Cosa aspettarsi da me? Altra musica, altri messaggi, parole. Alla fine questo siamo, noi tutti che cerchiamo di definirci “autori”, “cantautori”, o “artisti” – parole, segni d’interpunzione, melodie che hanno la durata di 4 minuti massimo in cui spesso, e volentieri, ci mettiamo a nudo per niente e, nella migliore delle ipotesi, facciamo sì che qualcuno di coloro che ci ascoltano si possa sentire davvero a
casa, capito, non più solo. Il futuro si disegna e ridisegna costantemente. Vivere di musica è uno degli obiettivi cardine, ma la vita che vorrei non si fonda solo nell’idea di far musica quanto più di ogni altra cosa creare una comunità, un punto, un luogo, in cui la musica possa essere veicolata, creata e rispettata. Sarebbe bello avere un mio locale, un mio “posto”, in cui coltivare arte in ogni sua forma. Fino ad allora, lavoro e costruisco la mia persona perché il modo migliore per fare musica e scrivere testi è vivere. Se non viviamo, difficilmente abbiamo cose da raccontare, emozioni da tramandare.

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