La nostra recensione de Il signore delle formiche di Gianni Amelio, in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2022 con protagonisti Luigi Lo Cascio ed Elio Germano: il caso Braibanti in un film d’impronta televisiva con una scrittura poco incisiva
Con Il signore delle formiche Gianni Amelio prosegue sulla strada del biopic, dopo Hammamet sulla figura di Craxi, scegliendo di raccontare la storia di Aldo Braibanti. Per farlo si affida per la prima volta in carriera a Luigi Lo Cascio, ritrovando l’Elio Germano de La tenerezza.
L’uomo che guardava alle formiche
Alla fine del 1968, a Roma, si svolge il processo a carico di Aldo Braibanti (Luigi Lo Cascio), un intellettuale esperto in teatro, letteratura e nello studio delle formiche accusato di aver plagiato, cioè di aver sottomesso fisicamente e psicologicamente, un suo pupillo di trent’anni più giovane di nome Ettore (Leonardo Maltese). L’accusa, in realtà, è solo un pretesto per condannare la relazione omosessuale che Aldo ha portato avanti con Ettore nel corso di quasi dieci anni. Una relazione che, agli occhi di un’Italia puritana non ancora pronta alla rivoluzione sessuale ormai in atto, ha creato scandalo e scompiglio nel piccolo paese emiliano da cui entrambi provengono. Un giornalista di nome Marcello (Elio Germano) decide di documentare il processo, cercando di rompere la patina d’ipocrisia e moralismo che permea la società italiana di quel tempo mentre sua cugina Graziella (Sara Serraiocco) si unisce alla proteste di coloro che trovano questo processo ingiusto e pericoloso.

Una narrazione incerta per raccontare un amore segreto
Dopo aver raccontato la figura di Craxi e la disgregazione di un intero sistema politico in Hammamet, Gianni Amelio volge lo sguardo verso quella di Braibanti e il fallimento della morale pubblica a causa del pregiudizio. Nel farlo adotta però uno stile di racconto troppo affine a quello di una fiction televisiva e che ha poco a che vedere col cinema, scegliendo di infarcire i molti dialoghi di una retorica insopportabile e costruendo un mondo in cui non esistono sfumature. Se da una parte si lotta contro l’ipocrisia e la discriminazione e in favore di una maggior liberalizzazione del costume e del pensiero intellettuale, dall’altra abbiamo personaggi sin troppo gretti e chiusi nelle loro convinzioni poiché incapaci di vedere o accettare il cambiamento.

Né dei primi e né, soprattutto, dei secondi si riesce a cogliere contraddizioni o complessità perché la sceneggiatura di Amelio, coadiuvato da Federico Fava ed Edoardo Petti, sceglie di rappresentarli nel loro bigottismo senza mai metterli in discussione né esplorare le ragioni di questa mentalità così reazionaria. Ed è abbastanza paradossale, visto il tema del pregiudizio che il film affronta, che l’amore tra Aldo ed Ettore venga raccontato in una bolla in cui la passione e il sesso non sono quasi mai presenti, se non nelle domande che il pubblico ministero rivolge ad Ettore durante l’udienza, quasi come se Amelio avesse sin troppo pudore nel mostrarli.

Un cast di serie A intrappolato in personaggi monodimensionali
A fare le spese di questa monodimensionalità di scrittura dei personaggi è soprattutto il cast, capitanato da un Luigi Lo Cascio che non riesce del tutto a smarcarsi da una recitazione impostata, di stampo teatrale e un poco enfatica in alcuni passaggi. Va un po’ meglio Elio Germano, che riesce a donare al suo Marcello un filo di spessore e di ambiguità in più, probabilmente dovuta all’omosessualità appena suggerita del personaggio; sarebbe stato interessante insistere di più su quest’ultimo aspetto, magari amplificandone il conflitto interiore che per forza di cose deve esplodere nel momento in cui decide di lottare per l’assoluzione di Braibanti. Il migliore del lotto è probabilmente l’Ettore di Leonardo Maltese, aiutato anche da alcune scene di forte impatto emotivo come quelle dell’elettroshock subito in ospedale o del confronto con la madre bigotta, mentre la pur brava Sara Serraiocco si limita a comparire in maniera sporadica con un personaggio, quello di Graziella, che subisce un’evoluzione troppo repentina passando da timida cameriera a fervente attivista nel giro di poche scene.

Un’occasione sprecata per Amelio
Come già anticipato all’inizio, la regia monocorde e televisiva (e non della televisione migliore) di Amelio è sicuramente uno dei maggiori punti deboli de Il signore delle formiche. Il film si limita ad una costruzione quasi scolastica delle inquadrature, ad una serie di campi e controcampi intervallati qua e là da qualche carrellata e ad un ritmo compassato che procede quasi per inerzia. La fotografia ampollosa di Luan Amelio e il montaggio non particolarmente incalzante di Simona Paggi contribuiscono alla poca riuscita di un film incerto non tanto sul cosa voglia raccontare, ma piuttosto sul come.

Una storia che avrebbe meritato un film migliore
Insomma, nonostante l’indubbia volontà e il coraggio di Amelio e del cast tutto di portare in scena una vergognosa pagina poco ricordata dell’Italia del boom economico, Il signore delle formiche non riesce mai a trovare la quadratura del cerchio, risultando spesso un film fuori dal tempo e ancorato ad un’idea di messa in scena e scrittura vecchia e reazionaria quanto la mentalità che vorrebbe condannare. Ed è questo il vero peccato, non certo l’amore libero tra due uomini liberi.
Il signore delle formiche. Regia di Gianni Amelio, con Luigi Lo Cascio, Elio Germano, Leonardo Maltese e Sara Serraiocco, è nelle sale dall’8 Settembre distribuito da 01 Distribution.
Due stelle