La recensione dell’intera prima stagione di The Good Mothers, la serie Disney + vincitrice al Festival di Berlino sulle donne che hanno sfidato la Ndrangheta con Micaela Ramazzotti, Valentina Bellè e Barbara Chichiarelli
Dopo la recensione dei primi due episodi, concludiamo il nostro viaggio nel mondo delle donne imperfette, ferite ma coraggiose di The Good Mothers, la serie evento di Disney Plus già presentata a Berlino dove si è aggiudicata il prestigioso Berlinale Series Award.
Entrare nell’oscurità
Se le prime due ore di The Good Mothers erano servite ad introdurre i quattro archi narrativi principali lungo cui tutta la serie si muove, nelle successive quattro or assistiamo ad un vero e proprio ingresso all’interno dell’oscurità che circonda Denise, Giuseppina, Concetta e il magistrato Colace. Un’oscurità che si fa man mano sempre più fitta, poiché tutte loro devono avere a che vedere con quella piovra dai lunghi tentacoli della cultura ndranghetista. Una cultura fortemente patriarcale e soffocante nei confronti delle donne, come si era già detto in precedenza, ma anche nei confronti degli uomini stessi, schiavi di una mentalità prima ancora che di un modus vivendi da cui è impossibile uscire, o almeno farlo senza strascichi. Nel terzo e nel quarto episodio, in particolare, questa discesa si fa ancora più soffocante perché la violenza fisica sembra quasi diradarsi (ma non scompare) mentre quella psicologica diventa preponderante all’insegna del ricatto prima morale, poi sociale e infine familiare. Ed è ancora più sconvolgente che le prime artefici di questo ricatto siano alcune delle donne stesse, diventate carnefici e vittime allo stesso tempo in una spirale che sembra non avere mai fine.

La forza del dubbio
Ciò che rende autentiche le donne di The Good Mothers, e di conseguenza più vicine allo spettatore, è la loro capacità di mettere in discussione se stesse dopo aver messo in discussione il mondo che le ha cresciute. Intendiamoci, non è un processo automatico e richiede un lungo arco di trasformazione che The Good Mothers ci mostra nella sua interezza (o quasi), ma tutti gli archi narrativi della serie tendono in qualche modo a costringere queste donne valorose ad interrogarsi sul loro stesso coraggio, senza però arrivare a rinnegarlo mai. Anche lo steso magistrato Colace, l’unica tra loro dalla parte della legge fin dall’inizio, è costretta a cedere al dubbio non rispetto al cosa o al perché, ma al come. In fondo lei stessa utilizza l’arma del ricatto morale per forzare l’aiuto di Giuseppina,e in questo modo sporca anche se solo parzialmente la sua integrità di donna della Legge e dello Stato. Quelle di The Good Mothers non sono in fondo donne infallibili, né delle eroine ma donne che cercano la verità in un mondo di menzogne, di sotterfugi, di inganni, di legami creati non dall’amore ma dalla coercizione. Sono donne che scelgono la libertà, che poi è anche la libertà di poter dubitare.

Madri e figlie
The Good Mothers è però anche una serie che esplora il lato oscuro dei rapporti familiari e dei legami di sangue, poiché è da quelli che questo male viene nutrito. Sono rapporti ovviamente tossici, morbosi e malati ma che nascono da un retaggio culturale preciso e antichissimo, aspro e ferino proprio come le terre che lo hanno generato. Quella diretta da Elisa Amoruso e Julian Jarrold è quindi anche una serie che racconta della rottura di questo sacco amniotico, attraverso delle figlie che scelgono di ribellarsi alla propria madre (la Ndrangheta), alle proprie madri e alla propria terra e di farlo proprio per amore nei confronti delle ultime due. Soprattutto però, e questo è chiaro nel rapporto tra Lea e Denise, scelgono di proteggere le loro figlie e i loro figli da un futuro che non potrà portare altro che morte e sofferenza. Quello ndranghetista è un mondo che toglie valore all’innocenza dell’infanzia, che lancia via persino i giocattoli perché inzuzzuti (cioè pieni di cimici), che non dà il minimo valore ai figli se non come futuri affiliati. E allora sono le buoni madri del titolo a doversi far carico di questa spaccatura, di questo allontanamento certamente non facile ma necessario alla loro sopravvivenza e a quella dei propri figli; per dare loro vita The Good Mothers utilizza l’arma di un racconto morbido, mai morboso, persino delicato e gentile ma al contempo spietato. Un racconto che lascia la violenza fisica quasi sempre sullo sfondo non per pudore ma per forza espressiva, sapendo coniugare le necessità del racconto drammaturgico con la sensibilità di uno sguardo che indaga senza forzare, che racconta senza giudicare.

Una storia di donne
La grande riuscita di The Good Mothers è soprattutto da attribuire ad un cast incredibilmente ispirato in cui ognuna delle interpreti dona sfumature e toni diversi a dei personaggi certamente non semplici a cui dare vita, sia dal punto di vista puramente tecnico che umano. Se Micaela Ramazzotti fa risplendere la sua Lea nelle poche scene in cui viene chiamata in causa, e alla quale dona la sua caratteristica fragilità che accoglie dentro sé una grande forza d’animo, Barbara Chichiarelli è colei alla quale viene affidato forse il personaggio paradossalmente più “scomodo” di tutti, proprio per via della sua appartenenza ad un sistema di valori totalmente opposto e lontano da quello centrale nella narrazione. E poi ci sono Denise, Concetta e Giuseppina. Tre donne nate e cresciute sotto l’ombra di ndrangheta ma in modi completamente diversi, poiché la prima è riuscita a conoscere un altro mondo, quello che sta fuori da quei paeselli arroccati, quello fatto di modernità, di apertura, di legalità, di speranza. Ecco, The Good Mothers diventa nel finale commovente e liberatorio un inno alla speranza. Di ribellarsi, di fuggire, di ricominciare. Di vivere.
The Good Mothers. Regia di Elisa Amoruso e Julian Jarrold con Micaela Ramazzotti, Valentina Bellè, Barbara Chichiarelli, Monica Guerritore, Francesco Colella, Gaia Cirace e Simona Distefano, disponibile in esclusiva su Disney+ da mercoledì 5 Aprile.
Quattro stelle