Suzume, recensione: Makoto Shinkai riflette sul rapporto con l’ambiente e l’elaborazione del lutto

Suzume - La protagonista Suzume in una scena del film (Credits Sony Pictures Italia)
Suzume - La protagonista Suzume in una scena del film (Credits Sony Pictures Italia)

La recensione di Suzume, il nuovo film del maestro dell’animazione giapponese Makoto Shinkai: una storia delicata e potente, anche se non sempre a fuoco, sul rapporto con l’ambiente e sull’elaborazione del lutto

Dopo il bellissimo Your Name e il più sperimentale Weathering With You torna al cinema Makoto Shinkai, uno dei maestri assoluti dell’animazione giapponese, che sembra non conoscere momenti di stanca a seguito del ritiro di Hayao Miyazaki. Suzume è un film che non si discosta molto da alcuni degli stilemi tipici dell’animazione orientale, compresa l’assenza di un vero e proprio villain, ma che riesce a raccontare una storia di accettazione del dolore che in alcuni momenti si rivela potentissima, senza dimenticare il rapporto tra esseri umani e natura.

Non aprite quella porta

Suzume è una normale ragazza liceale che, dopo la morte dei genitori, si è trasferita a vivere con sua zia Tamaki nella tranquilla cittadina di Kyushu, situata nel Giappone sudoccidentale. Un giorno incontra casualmente Souta, un ragazzo il cui comportamento bizzarro la porta a seguirlo; Suzume scopre che Souta è un chiuditore di porte tra regni interdimensionali. Questi ultimi sono minacciati da un enorme verme che porta con sé morte e distruzione ogni volta che attraversa una porta, indi per cui tutte le porte devono restare chiuse. Comincia così un lungo viaggio che porterà Suzume a vivere un’avventura incredibile, un’avventura che la farà innamorare sempre più di Souta ma che al contempo le permetterà di chiudere una volta per tutte il conto col dolore per la morte della propria madre. Nonostante tutti gli ostacoli incontrati, Suzume terrà viva la speranza per le lotte contro i momenti più difficili, l’ansia e le costrizioni che fanno parte della vita quotidiana.

Suzume - Una scena del film (Credits Sony Pictures Italia) 2
Suzume – Una scena del film (Credits Sony Pictures Italia) 

Caos ed equilibrio

Come accade nella maggior parte delle produzioni di animazione orientale, giapponese ma non solo, anche in Suzume un vero e proprio antagonista è assente perché è il Caos stesso l’antagonista. Caos non necessariamente inteso come disordine, bensì come forza che si oppone all’equilibrio naturale delle cose, che vuole forzare il cambiamento piuttosto che accompagnarlo in maniera graduale e organica, che spinge gli uomini all’odio e alla violenza. In questo caso è un enorme verme interdimensionale l’agente del Caos che porta il Giappone sull’orlo del baratro, ma in realtà tutto il simbolismo nascosto dietro al verme è quello di una natura che semplicemente fa ciò che deve fare. I terremoti, infatti, sono manifestazioni inevitabili e necessarie affinchè quello stesso equilibrio permanga, ma il loro carico di morte disegna un rapporto tra i giapponesi e la struttura geologica del loro paese a dir poco complicato. Come uscirne allora? Suzume non ci dà una risposta definitiva, ma quello che ci dice è che forse sta proprio nel modo in cui si ama la terra e tutto ciò che produce (nel bene) e in cui la si rispetta e la si comprende per quello che ci toglie (nel male) l’unica chiave possibile. E quando Madre Natura si trasforma in matrigna, bisogna aiutarsi, starsi accanto, difendersi a vicenda, in nome di qualcosa che è ancora più alto e importante dell’amore stesso: la solidarietà.

Suzume - Il co-protagonista Souta in una scena del film (Credits Sony Pictures Italia)
Suzume – Il co-protagonista Souta in una scena del film (Credits Sony Pictures Italia)

Andare avanti

È il personaggio di Suzume il motore del film, un personaggio dilaniato da un dolore sottile che non è ancora riuscito del tutto ad elaborare. La morte della madre, a cui era legatissima, è infatti il vero demone di Suzume, un vuoto oscuro che neanche l’amore di sua zia Tamaki è mai riuscito completamente a colmare. Nel raccontare la sua evoluzione Makoto Shinkai decide di sacrificare tutte le altre figure del film (eccetto, forse, Tamaki stessa), concentrandosi solo sulla sua protagonista. La forza di Suzume sia come pellicola e sia come protagonista sta proprio nella sua capacità di andare sempre avanti, di utilizzare il dolore come spinta propulsiva e non come limite, di riuscire infine ad accettare il cambiamento – anche quello negativo – perché parte di quel puzzle complesso e indecifrabile che è la vita. Anche l’azione stessa del chiudere le porte è un elemento che vuole simboleggiare il tagliare con il passato, con ciò che è stato e che siamo stati, per trovare la speranza nel futuro e la forza nel presente. Però, per chiudere definitivamente i conti con il passato, è necessario tornarci e affrontarlo un’ultima volta ed è proprio ciò che Suzume dovrà fare per fermare l’Apocalisse imminente una volta per tutte. Un’Apocalisse ancora più devastante di quella che smuove le montagne, provoca tsunami o rade al suolo intere città; qui è la nostra stessa anima lacerata la posta in gioco.

Suzume - Una scena del film (Credits Sony Pictures Italia)
Suzume – Una scena del film (Credits Sony Pictures Italia)

Il Giappone di Shinkai

Pur rimanendo debitore di alcuni dei temi e delle suggestioni di Miyazaki, Makoto Shinkai ci conduce in un viaggio sorprendente attraverso il Giappone assieme a Suzume e a Souta, perché il Giappone che ci mostra è solo in parte quello che siamo abituati a vedere o che credevamo di conoscere. L’espediente del road movie permette infatti a Shinkai di lavorare sull’ambientazione con una precisione certosina, permettendo al film di rappresentare alcuni aspetti della cultura e del popolo giapponesi integrandoli perfettamente nella storia. Si pensi ad esempio alla figura protettrice del Namazu o a quella dell’Altrove, un luogo oltre il tempo e lo spazio in cui la luce violacea del cielo si scontra con il verde accecante dei prati e il chiarore di stelle lontanissime. L’utilizzo dei colori e degli spazi, oltre che i numerosi cambi di location che vanno dalla campagna disabitata alla Tokyo brulicante di esseri umani, rendono Suzume un viaggio di grande fascino visivo oltre che di grande impatto emotivo. Shinkai lavora sull’umanità dei suoi personaggi e anche se di tanto in tanto il film cede un po’ di ritmo o si incarta su sé stesso, ci pensa un finale incredibilmente potente a riportare la storia sui binari giusti. Un finale che celebra la nostra imperfetta e fragile umanità, ma soprattutto la nostra voglia di vivere sempre e comunque; a dispetto del dolore e delle avversità, inseguendo la magia dell’amore.

Suzume. Regia di Makoto Shinkai in uscita oggi 27 aprile al cinema distribuito da Sony Pictures Italia. 

VOTO:

Tre stelle e mezzo

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