Spider-Man: Across the Spider-Verse, recensione: Miles Morales si addentra ancor più nel Multiverso

Spider-Man: Across the Spider-Verse - una scena del film
Spider-Man: Across the Spider-Verse - una scena del film

La recensione di Spider-Man: Across the Spider-Verse, sequel di Spider-Man Into the Spider-Verse del 2018 con Phil Lord e Christopher Miller ancora alla scrittura: l’animazione resta incredibile, la scrittura affilata

Sono passati cinque anni da Spider-Man Into the Spider-Verse e ormai il concetto stesso di Multiverso è divenuto una colonna fondante del canone Marvel e del suo universo narrativo. Spider-Man: Across the Spider-Verse è però un film abbastanza lontano da No Way Home, ma anzi ricalca gli stilemi visivi, la commistione tra generi diversi che vanno dal racconto di formazione al family drama e l’ipercineticità spinta del capostipite. Non tutto gira sempre alla perfezione, ma c’è da divertirsi ( e non solo).

Salvare il Multiverso, di nuovo

Un anno dopo gli eventi di Into the Spider-Verse, Miles Morales viene inaspettatamente avvicinato dal suo interesse amoroso Gwen Stacy per portare a termine una missione per salvare ogni universo di Spider-People dalla Macchia, un antagonista pericoloso ma inesperto, che potrebbe causare un disastro catastrofico. Miles è pronto per la sfida e insieme a Gwen viaggia attraverso il Multiverso e incontra i suoi protettori, un gruppo di Spider-People noto come Spider-Society guidato da Miguel O’Hara. Tuttavia, Miles si trova in disaccordo con Miguel e la Spider-Society su come gestire la minaccia e deve ridefinire cosa significa essere un eroe per poter salvare i suoi cari e la gente. Quello che non sa è che il Multiverso ha delle regole molto precise, regole che sostengono la sua esistenza e quella di tutti coloro che lo abitano e che, se infrante, potrebbero significare la fine di tutto.

Spider-Man: Across the Spider-Verse - una scena del film
Spider-Man: Across the Spider-Verse – una scena del film

Una vera e propria esplosione

Il cinema in live action, cioè con attori in carne e ossa, per quanto tecnologicamente avanzato e pieno di possibilità sarà sempre un passo indietro rispetto a quello di animazione per quanto riguarda la capacità di creare mondi narrativi complessi, di abitarli, di renderli unici e di trasferirvi quindi ogni possibile suggestione immaginifica. E allora, si sono detti alla Sony, perché non applicare questa legge del racconto al concetto di Multiverso che già da solo offre spunti potenzialmente infiniti per giocare con gli stili, le epoche storiche, i rimandi culturali e i richiami a determinati correnti artistiche, cinematografiche o letterarie? La risposta a questa domanda l’hanno data nel 2018 con l’uscita di Spider-Man Into the Spider-Verse, ma è con questo Spider-Man: Across the Spider-Verse che hanno un messo un punto, se non definitivo, quantomeno fermo sull’animazione dei cinefumetti e non solo. Sì, perché questa nuova avventura di Miles Morales e dei suoi innumerevoli colleghi provenienti da decine di altre dimensioni è un vero e proprio viaggio lisergico e senza controllo, dal montaggio serratissimo che si concede solo tanto in tanto un momento di pausa per far respirare la narrazione e lo spettatore, dallo stile fumettoso in cui i fumetti stessi (intesi come nuvolette di dialogo) sono fondamentali per lo sviluppo diegetico e per la caratterizzazione dei personaggi e da una palette cromatica gigantesca, indispensabile per differenziare i tanti universi che vengono esplorati. Spider-Man: Across the Spider-Verse ha un incedere devastante, procede per accumulo e tira dritto per le quasi due ore e venti di durata, omaggiando ora il mondo Lego ora la pop-art, passando per i riferimenti al Rinascimento o al post-impressionismo pittorico.

Spider-Man: Across the Spider-Verse - una scena del film
Spider-Man: Across the Spider-Verse – una scena del film

Una vita che non ci appartiene

Dietro però l’esplosione cromatica e stilistica Spider-Man: Across the Spider-Verse nasconde un cuore narrativo da coming of age puro. Miles sta ancora cercando non il suo posto nel mondo, ma la sua dimensione o quantomeno il suo posto nei mondi. Phil Lord e Chris Miller recuperano le coordinate del capostipite per aumentare ulteriormente la posta in gioco, come ogni buon sequel vorrebbe, e costringere Miles, Gwen e tutti gli altri personaggi (genitori di Miles compresi) ad avere a che fare con la paura del vuoto. È il vuoto il vero nemico di quest’universo e di tutti gli altri, non solo perché ci conduce in posti che non conosciamo, in realtà parallele aliene e per questo terrificanti (come nei portali che La Macchia crea, non a caso), ma perché è veicolo di Caos, di mancanza di stabilità e quindi di mancanza di prospettive. Alla fine, di tutti gli Spider-Man passati, forse questo è davvero il primo che si interroghi non sul senso dell’essere un super-eroe, quanto piuttosto del non esserlo. Nel farlo Miles comincia a chiedersi cosa il mondo voglia che lui sia in opposizione a ciò che lei vuole per sé stesso, ad interrogarsi sul peso delle proprie scelte e delle proprie aspettative. Quasi come fosse un romanzo dickensiano la parabola di Miles, e in contemporanea quella di Gwen (altro personaggio che meriterebbe un film a parte, e alla cui storia viene affidato un bellissimo prologo), affonda in quella palude intricata e limacciosa che è l’aspettativa genitoriale, la responsabilità (da grandi poteri etc…) e il giudizio degli altri. “Questa vita non ti appartiene” dice ad un certo punto la mamma di Miles a Miles stesso, e ha ragione; questa vita non gli appartiene, ma in compenso ce ne sono migliaia di altre possibili.

Spider-Man: Across the Spider-Verse - una scena del film
Spider-Man: Across the Spider-Verse – una scena del film

Un film che è l’espressione del suo cliffhanger

Spider-Man: Across the Spider-Verse, come già scritto in precedenza, si prende molto tempo per allargare la narrazione e dare più risalto ai molteplici mondi e ai molteplici personaggi che lo popolano. Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson hanno il merito di non affrettare troppo le cose, sebbene poi mettano decisamente troppi elementi sul piatto della bilancia che dovranno per forza tornare nel sequel già annunciato per marzo 2024. Lo stesso cliffhanger finale, efficace ma anche un po’ prevedibile nello sviluppo, rappresenta un po’ la summa e l’espressione massima del film perché è un gancio che vuole fare tante cose tutte assieme: spiazzarci, farci restare “appesi”, scuoterci. L’intera pellicola è un inno alla libertà di creare, di vivere e di essere ciò che siamo, è un film anarchico tanto quanto lo Spider-Man più memorabile della Spider Society ma anche rassicurante sotto certi versi, perché alla fin fine racconta di una storia che in qualche modo è comune a tutti e che tutti conosciamo. La storia di un adolescente che si trova davanti alla complessità della vita senza sapere come decifrarla, come leggerla e senza avere qualcuno che riesca davvero ad aiutarlo a farlo. E che, sulla sua strada, avrà di fronte nemici ma soprattutto alleati che poi alleati non sono, porte da aprire che conducono a tante possibili vite e responsabilità sempre più grandi a cui neanche i poteri di ragno possono far fronte. E poi l’amore di Gwen, dei suoi amici e dei suoi genitori, unici strumenti veri in grado di dare senso al Caos.

Spiderman: Across the Spider-Verse. Regia di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson e scritto da Phil Lord e Chris Miller, in uscita oggi nei cinema distribuito da Sony Pictures.

VOTO:

Quattro stelle

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