Emily, recensione: la storia di Emily Brontë in un biopic che regala sprazzi di non tradizionalità

Emily - Emma Mackey (foto Bim Distribuzione)
Emily - Emma Mackey (foto Bim Distribuzione)

La recensione di Emily, biopic dedicato alla breve vita della scrittrice inglese Emily Brontë, autrice del celebre Cime Tempestose: Emma Mackey dona corpo al tormento e alla malinconia in un film a tratti abbacinante

Morta giovanissima a soli trent’anni di tubercolosi, Emily Brontë ha saputo comunque conquistarsi un posto eterno nella letteratura inglese grazie al celeberrimo Cime Tempestose, romanzo a scatole cinesi coraggioso nei temi e nella struttura che racconta la travagliata storia d’amore tra Heathcliff e Catherine. L’esordiente Frances O’Connor ha perciò scelto di omaggiare la figura della più giovane delle sorelle Brontë con questo Emily, in cui la protagonista è interpretata dalla Emma Mackey di Sex Education, ma già vista al cinema in film come Assassinio sul Nilo. Emily mantiene una certa tradizionalità nel racconto ma non nello sguardo, arrivando persino a intersecarsi con il cinema horror in un paio di sequenze di straordinaria resa.

Storia di una scrittrice

Emily Brontë (Emma Mackey) è una ragazza di buona famiglia che vive nella campagna inglese in una grande magione secolare. Profondamente influenzata dalla morte della madre, dai confini imposti dal padre Patrick (Adrian Dunbar) e dalla vita familiare, dal rapporto con le sorelle Charlotte (Alexandra Dowling) e Anne (Amelia Gething) e dall’amato fratello Branwell (Fionn Whitehead), Emily è incessantemente alla ricerca della libertà artistica e personale. Una ricerca irrefrenabile la sua, fervida e impetuosa che, dopo l’incontro con il bel William (Oliver Jackson – Cohen) esplode nella creazione di uno dei più famosi romanzi di tutti i tempi: Cime tempestose.

Emily – Emma Mackey e Fionn Whitehead (foto Bim Distribuzione)

Persa nelle lande

Cercando di inseguire il sogno di una libertà artistica, personale e sentimentale la Emily raccontata da Frances O’Connor si rifugia in un mondo bucolico e ameno, un posto sperduto tra le campagne del Nord dell’Inghilterra dove il padre e i suoi fratelli mandano avanti la grande e antica magione di famiglia. La Londra delle frivolezze, delle tentazioni e della modernità è lontana mentre Emily sogna un amore che ha quasi il sapore e i contorni del classicismo, dell’antico ed è attraverso questo sguardo perso nelle lande dello Yorkshire che Emily trova il proprio di sguardo, sia come personaggio che come film. La O’Connor costruisce attorno al volto sognante di Emma Mackey un personaggio femminile di grande complessità ed intelligenza, ma è anche attenta nel non trasformarlo in una sorta di eroina femminista ante litteram; la Emily Brontë di Emily non cerca infatti un principe azzurro né l’assoluta solitudine o indipendenza, ma resta nel giusto rapporto di equilibrio nel volere un uomo che si connetta a lei per una comune sensibilità. Così facendo Emily dipinge una storia d’amore vera e non edulcorata, perchè a tratti persino respingente o informe, ma anche una storia di irrequietezza e ribellione dai contorni più oscuri di quanto ci si potesse forse aspettare.

Emily – Adrian Dunbar (foto Bim Distribuzione)

Fantasmi

In fondo quella raccontata da Emily è una storia in cui i fantasmi del passato, quelli del presente e quelli del futuro si oltrepassano l’un l’altro, quelli che durante una seduta spiritica iniziata per gioco si trasformano in spettri veri, reali e tangibili, che fanno paura e che fanno male. È senza alcun dubbio quella la scena più bella del film, sia perché scarta dalla costruzione classica del biopic storico per attraversare i territori dell’horror gotico e sia perché fa cadere le maschere che tutti i personaggi indossano, anche se solo per pochi secondi. È lì che vediamo la gelosia mai troppo nascosta di Charlotte, l’egoismo e la paura del bel curato William, l’ingenuità di Anne e i demoni interiori di Branwell, ma soprattutto è lì che scorgiamo il tormento di Emily. Un tormento che nasce da un amore mai davvero ricambiato dell’austero padre nei suoi confronti e dalla consapevolezza di dover trovare un senso alla malinconia che avvolge la sua vita; Emily ci guida quindi attraverso i sentieri della mente e dell’anima di Emily Brontë, anche inciampando di tanto in tanto in qualche ingenuità di scrittura, ma regalandoci un biopic in grado di raccontare la complessità di una vita breve passata ad inseguire un amore irraggiungibile, un tratto distintivo non solo di Emily ma di tutta la famiglia Brontë.

Emily – Oliver Jackson – Cohen (foto Bim Distribuzione)

Saltare nell’oscurità

Tutto sommato il più grande pregio di Emily sta nel saper ricercare la verità del proprio sguardo, anche attraverso la ruvidezza della fotografia, l’acredine dei suoi paesaggi e delle sue scenografie e l’utilizzo di uno stile registico mai troppo compassato, con una macchina a spalla spesso presente, dinamico e fluido. La pellicola però non sarebbe potuta nascere senza il physique du role di Emma Mackey, senza i suoi occhi sgranati sul mondo e la sua intensità mai troppo sfacciata o esibita. Nelle sue due ore di durata Emily la costringe ad un tour de force attoriale che va dall’incanto alla disillusione, dalla speranza alla paura passando per la tenace accettazione di un destino crudele che le ha impedito di godere del successo del suo unico romanzo quando era ancora in vita. E se Emily non riesce a star ferma allora non può fare altro che correre, scappare dai pericoli e dai rimpianti, da una famiglia in cui non riuscirà mai a trovare quello che cerca e saltare letteralmente nell’oscurità. Che è poi la metafora perfetta di chi crea storie e mondi, di chi li racconta e di chi ha il coraggio di starli a sentire; e se in fondo Emily volesse solo essere un racconto?

Emily. Regia di Frances O’Connor con Emma Mackey, Adrian Dunbar, Alexandra Dowling, Amelia Gething, Fionn Whitehead e Oliver Jackson – Cohen, in uscita oggi nei cinema distribuito da Bim Distribuzione.

VOTO:

Tre stelle e mezzo

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