Samuele Bersani, la recensione del suo cinema musicale e del suo percorso di rinascita

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Samuele Bersani

Samuele Bersani accende le luci del cinema della sua testa con un viaggio in dieci sale ricche di poesia, di arrangiamenti curati nel minimo dettaglio e di storie sofferte, lucide, spiazzanti

Sette anni senza un disco sono un periodo lunghissimo in un mercato discografico che impone un costante aggiornamento della propria produzione e le luci dei riflettori sempre accese. Il rischio di cadere nel dimenticatoio d’altronde è molto elevato data l’enorme quantità di nuove proposte. Eppure c’è chi ha deciso di prendersi il suo tempo e di uscire dal guscio solo quando ne sentiva il bisogno artistico. La sua prerogativa, infatti, è sempre stata quella di scrivere quando aveva veramente qualcosa da dire. Eppure c’è chi in questi anni non lo ha mai dimenticato, e non sto parlando solo dei fan, ma anche di molti colleghi che in più occasioni invocavano il suo ritorno e che hanno accolto con un entusiasmo raro la notizia del suo nuovo album. Il soggetto in questione è Samuele Bersani, tra i cantautori più geniali del panorama musicale italiano, che ha deciso di accendere le luci del cinema della sua testa con un viaggio in dieci sale ricche di poesia, di arrangiamenti curati nel minimo dettaglio e di storie sofferte, lucide, spiazzanti.

Cinema Samuele si apre con un accenno di sinth elettronico che ricorda Complimenti, brano di apertura di Nuvola Numero Nove, il precedente album datato 2013. Probabilmente un autocitazione per un brano, dal titolo Pixel, che poi ha un’evoluzione costante in termini di arrangiamento. Qua Bersani veste subito i panni del regista fotografando un personaggio che desta la sua curiosità: un “principe decaduto” e unico passeggero in attesa della metro, con i postumi di una notte in cui ha perso alle slot. «Respiro frammenti di vita volanti nell’aria pesante e viziata». Una volta sceso si focalizza sulle vetrate dei negozi e sulle strade abbandonate quando viene sera, immagine purtroppo consueta durante il lockdown. L’arrivo dei violini spiazza e provoca il primo sussulto emozionale. Il finale è incentrato invece sulla sofferenza interiore del regista, alle prese con una delusione sentimentale che sarà a lungo trattata nel disco: «La rabbia che provo si espande durante l’attesa, non avvicinarti è meglio conoscerci prima per il male che mi farai, dal cuore non ti è mai venuto l’istinto spontaneo di chiedere scusa».

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Il tiranno parte con una lullaby e un’arrangiamento che ricorda i Subsonica e i Bluvertigo per l’elettronica sperimentale dell’inciso. Una visionaria favola a tinte noir, dove spetta a un puro di cuore uccidere il dittatore, dove la luna osserva la scena dall’alto e dove l’immaginazione la fa da padrone per un film ad occhi chiusi da comprendere con più ascolti per cogliere i dettagli del racconto. L’intervista racconta con cinismo la mancanza di libertà di stampa e i meccanismi spregevoli dello show business musicale che costringe i giornalisti ad assecondare l’artista del momento, a prescindere dal suo irrispettoso comportamento: «mi risponde scocciato, sono le 10 ed è già completamente ubriaco». Il giovane inviato decide quindi di rispondere con l’arma della sua penna scrivendo un articolo in cui lo critica aspramente e in cambio riceve una chiamata di tal genere: «Scusa ma come l’hai trattato, sai che l’artista ci serve e tu sei licenziato».

Mezza bugia è dominato dalla chitarra e da un sound che trasmette serenità per un testo dominato dalle immagini più disparate per una battaglia di parole a colpo di menzogne all’interno di un rapporto con un efficace parallelismo governativo: «Non esiste una maggioranza alternativa alla tua». In questo clima di incertezza è emersa una Nausea da trapezista una volta che ha scoperto la verità, e anche se le perplessità sono sempre state poche e il protagonista non ha mai avuto vertigine, far pace con il proprio orgoglio è sempre una sfida ardua. Con te è una ballata con il piano ad accompagnare la storia di incomunicabilità di due amanti in crisi che non riescono a chiarire le incomprensioni nonostante la volontà dell’autore: «Ci mettiamo una pietra non facciamola rotolare», ma le buone intenzioni si frantumano come un ghiacciaio con il sole perché «Con te perdo ogni forma di difesa minima».

Scorrimento verticale è una realistica descrizione delle dipendenze tecnologiche di un personaggio condannato alla schiavitù fin da piccolo con la responsabilità additata ai consigli di una pediatra senza figli che, in mancanza di esperienza genitoriale, contribuisce a spingere il paziente in tutto un elenco di assuefazioni venuti a portarci via gli anni migliori. In un secondo arrivo al mare ma in un cristallo liquido non ci si può tuffare è un immagine molto forte che può essere messa in un parallelismo con la vasca dove può nuotare il protagonista a causa della crisi che lo impedisce di andare in vacanza nel brano Ferragosto, altra cinico racconto datato 2009.

Il tuo ricordo è il capolavoro del disco e destinato a diventare uno dei pezzi più amati del suo intero repertorio. Il passato e il presente in uno scontro leggendario con il primo che cerca di avere il sopravvento. La personificazione di queste due sfere temporali esteriorizza la sofferenza: «Il tuo ricordo trova un buco nella rete, si infila dentro il mio cervello e fa il padrone, il tuo ricordo quando arriva ha fame e sete e quel poco equilibrio che ho si disintegra». Una droga da cui liberarsi nonostante il passato continui a citofonarlo con il richiamo di ieri e con il tono di voce di un angelo ignorato nel traffico dai passanti. Ma dopo tanti sensi di colpa e sofferenze, il tempo è la giusta arma per far prevalere il presente che prepara la sua corsa e promette che arrivato al traguardo non avrà più nostalgia.

Harakiri è stato il primo estratto del disco, un racconto quanto mai cinematografico che avviene per scene e che racconta la rinascita dall’abisso. Si parte con il protagonista intento a fare harakiri in un cinema porno francese ma che ripensa a tale gesto inconsulto perché attratto dalla trama e dai dialoghi. Una volta scampato il suicidio, il tizio si reca nella sua astronave di lamiera e decide di non ascoltare le canzoni d’amore che trasmette la radio perché non esiste un dottore per curare le sue delusioni d’amore e per evitare ulteriore masochismo la spenge. Dopo alcuni giorni il protagonista esce di casa vestito di bianco, come una lucciola in mezzo a un black out, a rappresentare la luce necessaria per uscire dal buio delle nostre vite, e il cielo si fa sereno, con il paesaggio stato d’animo petrarchesco come chiosa seguita da un finale da brividi con un lavoro eccelso nell’uso degli strumenti e con il tocco emotivo degli archi.

Le Abbagnale racconta il rapporto tra una ragazza “cresciuta tra delinquenti” e la figlia della farmacista che a 10 anni già leggeva Moravia. Il ritornello, che rimane molto in testa e con potenzialità radiofoniche, è impreziosito dai fiati. Una storia d’amore tra due donne raccontata con delicatezza e poesia: «Non hanno il minimo interesse di cosa la gente può pensare…. quando l’inverno cala i propri assi….. un massaggio diventa una carezza». Un rapporto solido consolidato nel tempo e destinato a durare: «Sono cresciute in una città a lume di candela ma la loro carica di elettricità accenderebbe Roma eterna» e con la passione che rimane costante: «Si ripete un rito lanciato nel futuro».

Distopici è il pezzo conclusivo del disco e quanto mai profetico perché scritto prima dell’emergenza Covid ma con le immagini del coprifuoco e del camion dell’esercito che portano a galla ricordi inerenti proprio al periodo dal quale siamo da poco usciti. Già dal titolo si percepisce il pessimismo nei confronti del futuro dettato dal menefreghismo collettivo verso la salvaguardia ambientale: «Sono bruciati tutti gli alberi, nessuno può più perdersi» e del concetto di famiglia destinato a sgretolarsi di fronte al distanziamento emotivo e dalla mancata voglia di condividere percorsi di vita con una persona: «Avremo fatto insieme un figlio ma hanno poi vinto i se la paura e l’egoismo che ci ha imprigionato e ci tiene schiavi».

Samuele Bersani – Cinema Samuele cover

Siamo di fronte a un disco di una bellezza rara, con una ricerca musicale continua e testi in cui vissuto e fantasia si incastrano a meraviglia, in cui il racconto delle proprie debolezze si inserisce nel contesto più ampio di una società che ha perso la bussola dell’empatia e della condivisione, in cui la sofferenza sentimentale è raccontata come un percorso di rinascita progressivo, in cui nessuna nota e nessuna parola è inserita per caso. La musica italiana ha bisogno di artisti come lui, un patrimonio da tutelare e valorizzare.

VOTO:

 

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