Calibro 9, recensione: Toni D’Angelo riporta il cinema italiano ai fasti di Di Leo

Calibro 9 - Marco Bocci (2)
Calibro 9 - Marco Bocci

La recensione di Calibro 9, il film di Toni D’Angelo sequel ed omaggio del cult Milano calibro 9 di Fernando Di Leo: un ritorno al noir con un gangster movie dai risvolti mélo, fra tradizione e ricerca, e con un cast azzeccato

Quando Giorgio Scerbanenco scrisse la Quadrilogia di Duca Lamberti, da cui sarebbero discese le storie e i personaggi del celebre “Milieu della mala” del regista pugliese Fernando Di Leo, tra cui spicca Milano calibro 9 quale uno dei più grandi capolavori del cinema di genere nostrano, certo non avrebbe immaginato di essere tra gli scrittori oggi più noti della letteratura noir, legata al cinema. L’onda della sua arguta scrittura accanto al plauso internazionale che ha fatto della pellicola di Di Leo, prodotta da Ermanno Curti, un vero proprio cult della nostra cinematografia, non si è fermata.

Calibro 9 - Marco Bocci
Calibro 9 – Marco Bocci

Oggi continua nella realizzazione del suo sequel Calibro 9, grazie all’idea del produttore Gianluca Curti, figlio di Ermanno, di Minerva Pictures, che con grande passione ha voluto far tornare a rivivere quei personaggi ancora più che mai vivi e presenti nell’immaginario cinephile. Curti l’ha fatto con un team di eccellenze che va dalla regia di Toni D’Angelo, alla scrittura di D’Angelo con Luca Poldelmengo, lo stesso Gianluca Curti e Marco Martani, al cast attoriale con Marco Bocci nei panni del protagonista, Ksenia Rappoport, Alessio Boni, Michele Placido e Barbara Bouchet, fino al cast tecnico con in primis l’incisiva fotografia di Rocco Marra.

Calibro 9 - Toni D'Angelo e Alessio Boni
Calibro 9 – Toni D’Angelo e Alessio Boni

Traslata alla nostra attualità, la storia riprende le linee guida del modello Dileiano, in cui una grossa somma di denaro di proprietà di alte sfere della malavita, in questo caso della ‘ndrangheta, scompare, come fu per la valigetta dell’’Americano’, per farsi internazionale e ‘digitalizzarsi’. Il parallelo con Milano calibro 9, appare sin da subito: prima dei titoli, sottolineati da un ‘Preludio’ dal mood elettronico, che rende subito il balzo temporale ai nostri giorni, il percorso della ‘truffa’ avviene tra interni asfittici di uffici bianchi, passa di mano in mano attraverso linee telematiche sparse nell’etere e si muove, nella reale mobilità dei nuovi ‘basisti’ addobbati a rapper, tra le stazioni di quella stessa metropolitana di Milano, fermata Duomo, che aveva visto lo ‘scambio’ dell’ipotetica merce fraudolenta all’interno di un pacco.

Calibro 9 - Ksenia Rappoport e Marco Bocci
Calibro 9 – Ksenia Rappoport e Marco Bocci

Il parallelo continua con la violenza scatenata dalla ‘perdita’ del capitale, attraverso un modello ‘sadico’ del genere, quale l’invenzione cinematografica della tortura. Si rivede anche il mitologico sgarro sul volto, questa volta non su quello di uno dei complici dal barbiere, ma su quello di una donna, come a voler far presagire il peso che ebbe, nel lontano 1972, il tradimento della protagonista femminile Nelly Bordon, quale leit motiv anche di questa storia. I piani tornano, si intersecano, si ribaltano, si incastrano. La Nelly di Di Leo qui è sempre lei, Barbara Bouchet, che si scopre essere la madre del protagonista: l’avvocato Fernando Piazza, figlio di Ugo (che fu interpretato, in uno dei suoi migliori ruoli, dal grande Gastone Moschin). Anche qui i rimandi sono espliciti, come appare esplicita la paternità post-mortem dello stesso Piazza (avvenuta il 25 febbraio 1972, come si legge sulla sua lapide, ovvero il giorno in cui uscì al cinema Milano calibro 9).

Calibro 9 - Barbara Bouchet
Calibro 9 – Barbara Bouchet

Questa volta non è lui ad apparire sull’uscio di San Vittore ma, con identica inquadratura (tra le varie ad omaggiare il girato di Di Leo, come il ricorso delle didascalie vintage e alla scrittura del tempo), è Rocco Musco, suo antagonista nella pellicola, nonché suo sincero estimatore alla ‘mala’ way. Il volto ironico e sagace di Michele Placido prende il posto di quello di Mario Adorf, la cui ‘corposità’ e ‘plasticità’, tuttavia si ritrova, quale ulteriore rimando, in uno dei ragazzotti dei clan avversari. Il personaggi di Rocco continua la ‘scalata’ alla citazione: entrando nel dancing-club, dove sa di poter trovare Fernando, si imbatte nel ricordo sbiadito di un tempo andato e ‘vede’ il famoso ‘balletto’ di Nelly, poco prima di incontrarlo.

Calibro 9 - Michele Placido e Marco Bocci
Calibro 9 – Michele Placido e Marco Bocci

E’ forse da questo momento che Calibro 9 cambia rotta: dopo i necessari rimandi alla fonte ‘paterna’, prende il via un intreccio incalzante che rivela un talento autoriale. La storia della lotta tra i due clan Corapi e Scarfò, tra Milano, la Calabria, Anversa, Francoforte, Mosca, Toronto, svela un’alternanza di momenti concitati ed episodi riflessivi, tematica sempre presente nei lavori di Toni D’Angelo come al ricorso ad un ‘altro’ cinema, a quell’action dal sapore melodrammatico di Hong Kong, che anche qui sembra continuare ad essere sua fonte di ispirazione. L’approfondimento psicologico dei personaggi è l’altra grande novità che viene immessa in un contesto che, sulla carta del ‘genere noir/poliziesco’ fatto da intrecci basici tra buoni e cattivi, inseguimenti spasmodici e interrogatori, non dovrebbe risultare preponderante.

Calibro 9 - Ksenia Rappoport
Calibro 9 – Ksenia Rappoport

Invece si sente il disagio esistenziale di una nuova generazione mutevole e inquieta, imparagonabile alla forza totemica di personaggi quali i sopra citati Piazza, Rocco e la stessa Nelly, che ha continuato a vivere la sua esistenza senza reali sensi di colpa, perché in quel momento era giusto così e non si sarebbe potuto tornare indietro. Sia Fernando che Maia (l’avvocatessa collusa, nipote del capo del clan Corapi), e in modo forse ancora più incisivo il personaggio del Commissario Valerio Di Leo (Alessio Boni), sono forse facce della stessa medaglia. Non a caso il Commissionario si chiama Di Leo: egli è come il testimone della vicenda, è sempre presente, osserva da lontano come per controllare che la ‘sua’ storia abbia il giusto sviluppo, fotografa i personaggi e li appunta su una lavagna, quasi se stesse scegliendo i suoi attori per un casting; ne scrive i nomi, li segue, li studia. In qualche modo li ama: ama quel mondo che vorrebbe conoscere ma dal quale deve fermarsi sulla soglia, senza mai poterla oltrepassare, per evidenti motivi di non appartenenza.

Calibro 9 - Marco Bocci e Alessio Boni
Calibro 9 – Marco Bocci e Alessio Boni

Il finale torna alla fonte, identico, ma ribaltato: scopriamo aver trovato il giusto complice di Fernando, nel far ‘sparire’ la ragazza hacker, proprio in Rocco, ma questa volta, come accadde al padre, sigaretta quasi consumata tra le dita, non è lui a morire. Rocco fa in tempo a ripetere a Fernando l’iconica frase che aveva detto al barista Luca, antico amante e complice di Nelly, fracassandogli la testa sullo spigolo del tavolo: “Ugo Piazza il cappello si sarebbe dovuto levare. Tuo padre si sarebbe dovuto levare il cappello”. La passione per Milano calibro 9 da parte del suo produttore Gianluca Curti, appare chiara e forte ed è suggellata per sempre dall’ultima sequenza del film, in cui egli stesso entra nell’inquadratura per rendere omaggio alla tomba di Rocco.

Come in Milano calibro 9 (compralo su Amazon), che si era avvalso della magistrale colonna sonora scritta da Luis Bacalov con l’ausilio degli Osanna per la parte rock, anche in Calibro 9 la musica entra prepotentemente nel tessuto narrativo e conferma l’originalità creativa del duo Toni D’Angelo, Vincenzo Adelini con Emanuele Frusi. Il passaggio all’elettronica concorre a dare una veste attuale e straniante a questo film di ‘genere’ che conferma la vitalità e l’importanza e di tutto il cinema italiano.

Recensione a cura di M. Deborah Farina

Calibro 9, diretto da Toni D’Angelo, con Marco Bocci, Ksenia Rappoport, Michele Placido, Alessio Boni e Barbara Bouchet, sarà disponibile sulle piattaforme VOD dal 4 febbraio 2021.

VOTO:
4 stelle

 

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