Un divano a Tunisi, recensione: Labidi e Farahani (psic)analizzano un intero Paese

Un divano a Tunisi
Un divano a Tunisi

La recensione di Un divano a Tunisi, diretto da Manèle Labidi con l’affascinante Golshifteh Farahani nel ruolo di una psicanalista che vuole fare la differenza

Lo studio di Selma

Selma (Golshifteh Farahani) è una giovane psicanalista dal carattere forte e indipendente cresciuta a Parigi insieme al padre. Un giorno decide di tornare nella sua città d’origine, Tunisi, per aprire uno studio tutto suo. Lì però l’impresa si rivelerà più ardua del previsto visto che dovrà scontrarsi con un ambiente bisognoso ma per nulla favorevole. Persino i suoi parenti cercheranno di scoraggiarla, eppure i pazienti non tarderanno ad arrivare. Lo studio di Selma solleverà così un bisogno latente di “parlare” e il suo divano inizierà a popolarsi di pazienti a dir poco eccentrici.

Protagonista magnetica

Golshifteh Farahani è magnetica nel ruolo di questa psicanalista che compie una scelta di vita difficile da capire: lasciare i comfort di Parigi per tornare in Tunisia, nel suo paese natale, e aprire uno studio di psicoterapia su un tetto. Da dove cominciare per far capire quale tipo di terapia può offrire? E come la accoglieranno i suoi concittadini? I suoi intenti d’altronde sono i più nobili. Selma comprende che a Parigi non può fare la differenza, mentre a Tunisi il discorso cambia radicalmente. Per la Farahani, vera star in un piccolo film come Un divano a Tunisi, è lo stesso: fa la differenza.

Un divano a Tunisi - Golshifteh Farahani
Un divano a Tunisi -Golshifteh Farahani

Un Paese… in analisi

Ciò che psicanalizza Selma non sono solo i pazienti che si siedono sul suo divano. Ad essere messo sotto esame è un’intera Nazione che, con tutti i suoi pro e i suoi contro, non si dimostra ancora in grado di superare i propri limiti. La pellicola punta il dito in questa direzione ma non riesce ad affondare il colpo fino in fondo. Proprio questo resta l’unico difetto di un film gradevole e divertente, che beneficia di una bella storia e soprattutto di un’incantevole protagonista.

Pregiudizi e limiti di una società vista al microscopio

Reticenza verso la psicanalisi, società maschilista e patriarcale, non accettazione dell’omosessualità, femminilità celata dal velo, corruzione delle autorità, burocrazia inefficace, religione spesso sinonimo di oppressione. Questi ed altri i temi passati in rassegna da Un divano a Tunisi. Il vaso viene scoperchiato in modo brillante, sebbene restare sui toni della commedia si traduca in una certa superficialità di fondo. Ma probabilmente non era questa la sede adatta per intaccare una società che, nelle mezzo della sua Primavera, merita di essere osservata da vicino e aiutata a crescere. Proprio come tenta delicatamente di fare la pellicola di Manèle Labidi.

Un divano a Tunisi arriva nelle sale italiane l’8 ottobre distribuito da Bim Distribuzione. Nel cast anche Majd Mastoura, Aïcha Ben Miled, Feriel Chamari, Hichem Yacoubi, Najoua Zouhair, Jamel Sassi e Ramla Ayari.

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