L’angelo dei muri, recensione del fine thriller psicologico con Pierre Richard

Pierre Richard - L'angelo dei muri
Pierre Richard - L'angelo dei muri

La recensione de L’angelo dei muri, delicato thriller psicologico diretto da Lorenzo Bianchini con Pierre Richard, in cui l’azione è scandita da silenzi e inquadrature distorte

L’angelo dei muri

Pietro (Pierre Richard) vive da solo in un vecchio appartamento all’ultimo piano di un edificio malmesso. La sua monotonia viene interrotta dall’avviso di uno sfratto esecutivo: lui però non ha nessuna intenzione di lasciare quella casa. Così, nascondendosi dietro un muro alla fine del lungo corridoio, riesce a non farsi trovare dall’ufficiale giudiziario. Dal nascondiglio vede tutto quello che sta accadendo. L’uomo si rifugia lì ogni volta che si presenta una minaccia esterna, come il proprietario dell’appartamento o dei potenziali inquilini. Il timore di essere scoperto diventa per lui quasi un’ossessione, finché un giorno si trova davanti a due nuovi ‘ospiti’ con i quali dovrà dividere la casa (a loro insaputa): Zala (Iva Krajnc), una madre disperata, e Sanya (Gioia Heinz), la figlia che sta diventando cieca.

Vivere nel passato

Pierre Richard lavora per sottrazione nell’interpretare un personaggio complesso e pieno di sfaccettature. Pietro è un uomo anziano, segnato dal tempo sia dentro che fuori, che cerca con tutte le sue forze di rimanere attaccato al passato. L’angelo dei muri si fonda inevitabilmente sulla presenza gigantesca di un veterano del cinema come Richard, capace di raccontare una storia attraverso silenzi e sospiri. Pochissimi i dialoghi, con l’azione che viene scandita più dai vuoti che non dai fatti.

Gioia Heinz - L'angelo dei muri
Gioia Heinz – L’angelo dei muri

Giochi di regia

Lorenzo Bianchini, che oltre ad occuparsi della regia ha curato anche sceneggiatura e montaggio, gioca con la macchina da presa. Il cineasta si sbizzarrisce con inquadrature spesso poco ordinarie che alternano primi piani ad ampie panoramiche esterne. Queste ritraggono una Trieste nebulosa, ignara del dramma intimo che si consuma nelle quattro mura dell’appartamento in cui si è rifugiato il protagonista. Le riprese interne dal basso verso l’alto contribuiscono a creare un’atmosfera distorta, confusa, in cui non alberga nessuna certezza. La potenza delle immagini è messa in primo piano e tale fiducia risulta assolutamente ben riposta.

Tempo sospeso

La sceneggiatura particolarmente ispirata de L’angelo dei muri procede con  estrema lentazza. I ritmi cadenzati creano una dilatazione del tempo che ovviamente non stona con i dettami di un thriller psicologico che di fatto si distingue per il suo lirismo e per la sua incredibile raffinatezza. Lo spettatore viene lasciato in sospeso e stimolato di continuo: tante le domande che è portato a farsi, poche le risposte che gli vengono date. In questo continuo tira e molla, il minutaggio finisce col rivelarsi un’arma a doppio taglio: l’attenzione rischia di crollare e di intaccare una pellicola che, in ogni caso, resta una perla di raro intimismo e sensibilità.

L’angelo dei muri, presentato al Torino Film Festival 2021, arriva nelle sale italiane il 10 giugno distribuito da Tucker Film. Diretto da Lorenzo Bianchini, il cast è formato da Pierre Richard, Iva Krajnc, Gioia Heinz, Arthur Defays, Paolo Fagiolo, Zita Fusco, Franko Korosec, Alessandro Mizzi e Adriano Giraldi.

VOTO:
3 stelle e mezza

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