Il grande carro, recensione del film di Louis Garrel orso d’argento al Festival di Berlino

Il grande carro - Louis Garrel e Mathilde Weil
Il grande carro - Louis Garrel e Mathilde Weil

La nostra recensione de Il grande carro, l’ultimo film del regista e attore Louis Garrel premiato alla scorsa Berlinale con l’Orso d’Argento alla miglior regia: un’opera familiare e intima forse fin troppo rarefatta

Dopo averlo visto nei panni di re Luigi XIII Louis Garrel torna in sala con il suo quinto film da regista, Il grande carro, già premiato alla Berlinale di quest’anno con il prestigioso Orso d’Argento alla miglior regia. Torna il suo cinema intimo e fortemente attaccato ai propri personaggi, torna a parlare di legami familiari, di vita, di morte e di amore e lo fa raccontando la storia di un’eredità che si manifesta attraverso un’arte: quella delle marionette.

La fine dello spettacolo

Una famiglia di marionettisti composta dai fratelli Louis (Louis Garrel), Martha (Esther Garrel) e Lena (Lena Garrel), assieme al padre (Aurélien Recoing) che dirige la compagnia e alla nonna (Francine Bergé) che realizza le marionette, forma una compagnia impegnata nella creazione di spettacoli. Un giorno, dopo una rappresentazione, improvvisamente il padre muore di ictus, lasciando i suoi figli soli, smarriti e con un progetto artistico in eredità da portare a termine.

Il grande carro - Louis Garrel
Il grande carro – Louis Garrel

La famiglia al centro

Il fatto che l’arte che fa da sfondo alle vicende de Il grande carro sia quella delle marionette potrebbe non essere un caso. In fondo è la sensazione di poter controllare una certa narrazione delle nostre vite, di poter decidere cosa tenere dentro e cosa fuori, cosa portare in scena e cosa no. Le marionette simboleggiano gli stessi protagonisti del film ma anche noi spettatori che guardiamo lo schermo, partecipando così ad un rito di iniziazione necessario per entrare nei meccanismi di questa famiglia al centro della storia.

Ed è proprio la famiglia il nucleo sociale, narrativo e tematico che Garrel utilizza come  portatore di conflitti interni ed esterni, nonostante la sua scrittura e il suo sguardo si concentrino più sui primi che sui secondi. Quella de Il grande carro è quasi una (mini) saga familiare che vede nei legami di sangue il senso di un’operazione di passaggio di valori, di conoscenze e di eredità spirituale, umana e artistica. Un tramandamento che non può sconfiggere la morte, ma bensì che può dare più potere alla vita attraverso il racconto di una storia, un’ispirazione o un aneddoto da preservare.

Il grande carro - Mathilde Weil
Il grande carro – Mathilde Weil

L’eredità delle marionette

Prima si parlava di eredità poiché sta propria nel lascito prima atteso e poi tradito il cuore emotivo de Il grande carro. La morte del padre, che chiude idealmente il primo atto e dà davvero inizio alla storia, rappresenta anche un turning point importantissimo per Louis, Lena e Martha. Il figlio maggiore, infatti, decide di gettare la maschera e di abbandonare il teatro di famiglia per inseguire i propri sogni di attore, mentre lena e Martha si aggrappano all’eredità paterna con l’illusione di poter trattenere a sé il genitore defunto attraverso il suo lavoro. È in questa dualità, in questo contrasto o rimbalzo continuo che Garrel si rifugia cercando di mostrare entrambe le facce di un retaggio da far sopravvivere.

È quindi un film costantemente intrappolato tra un tira e molla di intenti opposti Il grande carro, ma Garrel decide di sciogliere i conflitti in maniera totalmente climatica, senza scene  madri, di modo che la detonazione sia il più contenuta possibile. È una scelta coraggiosa la sua, e forse non del tutto condivisibile, ma è anche una dichiarazione d’intenti chiara su come il giovane regista e attore francese veda il senso del cinema, il suo linguaggio e la sua grammatica e di conseguenza il suo stesso mondo interiore ed esteriore.

Il grande carro - Damien Mongin
Il grande carro – Damien Mongin

Una pellicola trattenuta

Tutta la poetica di Garrel si esprime quindi attraverso una pellicola trattenuta e intima, quasi anti-narrativa in certi punti, e quindi anche con una direzione pacata degli attori che lavorano molto in sottrazione, la quasi totale assenza di tappeto musicale a contornare i momenti clou e, in generale, un ritmo piuttosto blando. Non è cinema per tutti quello di Garrel e il francese sembra ben consapevole di questa sua peculiarità, tanto da sfruttarla fino al massimo rendendo la sua opera quinta un tour de force anti-emozionale.

In tutto questo Il grande carro rimane comunque un film di caratura stilistica assoluta, impreziosito da qualche scena davvero ben gestita e raccontata (come la morte del padre in cui lo sguardo del pubblico rimane distante, schermato dal sipario che si chiude) o quella del confronto tra Louis e le sue sorelle, in cui sembra sempre che qualcosa stia per esplodere salvo poi fare marcia indietro. È un cinema lento, quasi fuori dal mondo, un modo di intendere la narrazione dei sentimenti lontano dalla frenesia del quotidiano. Può piacere o no, ma c’è una voce che andrebbe ascoltata.

Il grande carro. Regia di Louis Garrel con Louis Garrel, Esther Garrel, Lena Garrel, Aurélien Recoing, Francine Bergé, Damien Mongin e Mathilde Weil, uscito nelle sale giovedì 14 settembre distribuito da Altre Storie.

VOTO:

Tre stelle

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