La nostra recensione di Francesca Cabrini, biopic di Alejandro Monteverde con Cristiana Dell’Anna che racconta l’operato della Santa lombarda, pioniera dell’assistenzialismo sociale e protettrice dei poveri italoamericani: le intenzioni del racconto sono lodevoli, il risultato no
Francesca Cabrini esce a meno di un anno di distanza da quel Sound of Freedom caso cinematografico dell’anno, per tentare di replicarne in qualche modo il successo con un altro biopic dai contorni fortemente religiosi. Torna Alejandro Monteverde dietro la macchina da presa, ma in questo caso parliamo di una pellicola che parla fortemente italiano grazie alla presenza nel cast della protagonista Cristiana Dell’Anna, della co-protagonista Romana Maggiora Vergano e di un Giancarlo Giannini in versione papale (con John Lithgow nei panni del sindaco di New York). Il passaggio al low concept sarebbe potuto essere d’aiuto, ma i problemi del film con Caviezel qui tornano prepotenti e non si va oltre il film a tesi ammantato di agiografia.

Una donna contro tutti
Nei bassifondi di New York, sull’isola di Manhattan, a fine Ottocento Francesca Cabrini (Cristina Dell’Anna) è la prima donna a capo di una missione oltre oceano, in una città le cui strade e le cui fogne, a detta degli stessi newyorkesi, sono l’unico luogo di vita possibile per i numerosi orfani. “Siamo partiti per l’America credendo che le strade fossero lastricate d’oro e invece abbiamo scoperto che sono ricoperte di bambini”, così un immigrato italiano scrive in una lettera che muoverà Papa Leone XIII (Giancarlo Giannini) ad autorizzare la missione della giovane suora.
Il coraggio e la ferrea volontà di non permettere ad alcuno di interferire con i suoi progetti apostolici ed educativi consentono a Francesca di superare gli ostacoli politici, culturali ed economici, aprendo nuovi orizzonti di senso e divenendo un faro di speranza.

Sempre lo stesso problema
Ci eravamo già passati con il muscolare Sound of Freedom qualche mese fa, ci sono ricascati con il più formulaico Francesca Cabrini. Sempre un biopic, sempre un personaggio che in qualche modo ha a che vedere con il messaggio o la missione cristiana, sempre una scelta di racconto molto precisa che elude le zone d’ombra concentrandosi solo sulla luce dei suoi protagonisti. Se però il film di Caviezel in qualche modo poteva essere più distraente, dato l’argomento spinoso del traffico sessuale di minorenni e la confezione da action puro, stavolta i limiti sono più visibili proprio per la grande classicità del racconto e della messa in scena.
A dare corpo e anima alla santa del titolo ci ha pensato una stranamente compassata Cristiana Dell’Anna, che a dire la verità non viene molto aiutata dalla meccanicità di certi dialoghi e dalla mancanza di una qualsiasi forma di sottotesto che non sia religioso, oltre che da una programmaticità di intenti evidente a chiunque riesca per un attimo a sospendere l’apprezzamento morale verso le pur nobili opere della missionaria lombarda. Perché in Francesca Cabrini tutto è profondamente manicheo, non vi sono zone grigie tra le quali magari mettere in discussione l’oggetto diegetico e tematico stesso, tutto sembra costruito al fine di elevare la figura storica di riferimento al di sopra del contesto storico di appartenenza, dell’arena o degli altri personaggi.
Lo stesso problema che si avvertiva nel film con Caviezel qui appare, se possibile, ancora più evidente e sfacciato; l’agiografia ( e non vale che sia davvero una Santa) è a portata di macchina da presa, le scelte di fotografia e regia raramente si permettono uno scarto, una deviazione un minimo interessante, della potenza e della complessità del racconto cinematografico rimane purtroppo poco o nulla. Completamente sprecato, in questo senso, è anche un attore come John Lithgow, a cui vengono concesse solo due o tre scene e una figura come quella del sindaco di New York che si oppone agli sforzi di rinnovamento della protagonista tagliata col machete, priva di stratificazione e per questo d’interesse.

I limiti dell’agiografia
Ne deriva perciò un film in cui i limiti del racconto agiografico si fanno preponderanti, tra battute dall’intento catechistico e una ricostruzione storica troppo sommaria; non c’è nulla che appaia sincero, non tanto nelle intenzioni quanto proprio nella realizzazione, perché si è scelta una strada ancora una volta troppo facile e comoda. Certo, non tutto è da buttare nel senso che in qualche momento, principalmente nel primo atto, si avverte l’afflato di una costruzione con molto più respiro e quindi potenza drammaturgica, ma già dall’arrivo a New York i buoni propositi vengono sconfessati dall’incontro con la prostituta interpretata da Romana Maggiora Vergano.
Francesca Cabrini è la dimostrazione di come non bastino dei buoni mezzi e un buon cast di partenza a rendere un’opera automaticamente riuscita o cinematografica, ma serve anche una consapevolezza diversa di scrittura e messa in scena, oltre che la capacità e la volontà di rifuggire l’integralismo per abbracciare la complessità. D’altronde, se la vera fede sta anche nel dubbio, perché ostinarsi a rappresentare uomini e donne di fede senza macchia, senza paura e senza un briciolo di quel dubbio? Le agiografie lasciamole ai libri liturgici e ai testi sacri, al cinema è sempre meglio sporcarsi un po’ più le mani.
TITOLO | Francesca Cabrini |
REGIA | Alejandro Monteverde |
ATTORI | Cristiana Dell’Anna, Romana Maggiora Vergano, Giancarlo Giannini, John Lithgow, David Morse, Jeremy Bobb, Federico Ielapi, Federico Castelluccio, Katherine Boecher, Virginia Bocelli |
USCITA | 13, 14 e 15 ottobre 2024 |
DISTRIBUZIONE | Dominus Pictures |
Due stelle