Beau ha paura, recensione: il viaggio odissiaco, fluviale e folle di Ari Aster e Joaquin Phoenix

Beau ha paura - Joaquin Phoenix (foto I Wonder Pictures)
Beau ha paura - Joaquin Phoenix (foto I Wonder Pictures)

La recensione di Beau ha paura, il nuovo film del regista di culto Ari Aster con protagonista Joaquin Phoenix: l’incredibile e angosciante Odissea di un uomo alle prese con il rapporto morboso che ha con la propria madre

Nel giro di soli due anni il regista americano Ari Aster si è imposto all’attenzione di pubblico e critica prima con Hereditary e poi con Midsommar, due horror solo apparentemente diversi tra loro ma che in realtà indagavano sulla natura del Male ricercandolo nei legami familiari disfunzionali, nei rapporti morbosi che nulla hanno a che vedere con l’amore e nei tormenti interiori irrisolti. Beau ha paura, il suo terzo attesissimo lungometraggio, si tuffa di nuovo in quelle acque ma va ancora più a fondo, con un Joaquin Phoenix chiamato ad una vera e propria impresa attoriale nel dare forma e spessore alle paure, ai traumi e alla dipendenza affettiva del suo Beau.

La vita oscura di Beau

Beau Wassermann (Joaquin Phoenix) vive da solo in un appartamento in centro, dove
ogni momento si trasforma in un incubo a occhi aperti. Incline all’ansia e alla paranoia, Beau va dal suo psicoterapeuta di lunga data (Stephen McKinley Henderson) per prepararsi all’imminente viaggio a casa della madre Mona (Patti LuPone). Il giorno della partenza, però, una serie di avvenimenti sempre più sfortunati e tragici impediscono a Beau di arrivare in tempo all’aeroporto e, come se non bastasse, riceve una telefonata che gli sconvolgerà l’esistenza. Dopo essere stato aggredito nel proprio appartamento Beau si risveglia a casa di una coppia di sconosciuti di nome Grace (Amy Ryan) e Roger (Nathan Lane), i quali vivono con la figlia adolescente Toni (Kylie Rogers) in un bel villino alla periferia della città. Da questo punto in avanti la vicenda si farà sempre più intricata e Beau dovrà attraversare i luoghi della sua memoria, ripercorrere la sua vita e prepararsi all’ultimo incontro con Mona proprio nella casa in cui cresciuto e da cui è scappato via.

Beau ha paura - Joaquin Phoenix (foto I Wonder Pictures)
Beau ha paura – Joaquin Phoenix (foto I Wonder Pictures)

Ari Aster va all-in

È difficile approcciarsi ad un film come Beau ha paura con alle spalle una sola visione, data la quantità spropositata di stimoli, di idee, di suggestioni che Ari Aster getta nel suo calderone cinematografico. La terza opera del regista americano è, per sua stessa natura, destinata a dividere tra contrari e favorevoli, tra delusi ed entusiasti poiché è nella sua radicalità di linguaggio, costruzione e messa in scena che si trova forse la sua migliore chiave di lettura. Forte di un credito fortissimo acquisito con soli due lungometraggi alle spalle Aster ha potuto andare letteralmente a briglia sciolta, forse persino troppo, concedendosi un viaggio delirante e totalmente ellittico di tre ore nei meandri della psiche di un inetto, quel Beau del titolo. Beau ha paura è un’opera che se ne frega beatamente di ogni regola drammaturgica, che costruisce la tensione non sugli eventi ma sulle reazioni che i personaggi hanno a confronto con essi, che racconta di un rapporto morboso e terribilmente malato non solo tra Beau e sua madre, ma tra Beau e il mondo stesso. Per potersi addentrare nella mente del suo protagonista Aster ha deciso di andare letteralmente all-in, mescolando suggestioni letterarie che vanno dal Don Chisciotte a La Metamorfosi, da Virgilio a Borges passando anche per il surrealismo pittorico e quello cinematografico ( Buñuel e Jodorowsky sentitamente ringraziano). Il risultato è un pastiche folle e ipnotico, in cui il grado il coinvolgimento emotivo e intellettuale è direttamente proporzionale alla volontà di lasciarsi trascinare dal vortice senza porsi troppe domande.

Beau ha paura - Nathan Lane, Joaquin Phoenix e Amy Ryan (foto I Wonder Pictures)
Beau ha paura – Nathan Lane, Joaquin Phoenix e Amy Ryan (foto I Wonder Pictures)

Madre e figlio

In questo densissimo, autoindulgente e labirintico racconto partorito dalla mente di Aster, Beau ha paura sembra trovare il suo focus tematico e narrativo nel rapporto tra Beau, sua madre Mona e il suo padre mancato. Non è un caso che il film si apra letteralmente con la scena del parto di Beau, visto tra l’altro dalla sua prospettiva, e si chiuda in un’arena colma d’acqua e non è neanche un caso che la stessa Mona sia un personaggio ricorrente nella storia in varie forme, prima del decisivo terzo atto. Mona è una madre iperprotettiva che si è fatta da sola nonostante l’assenza di un marito, è ossessionata dal controllo e soffoca Beau sin dall’infanzia (i flashback che si vedono dell’adolescenza di Beau stanno lì a dimostrarlo); questo ha reso Beau un debole, un uomo senza spina dorsale intrappolato in un mondo da incubo dai contorni quasi carpenteriani (come quello del primo atto), un uomo che ha come unico punto di riferimento il rapporto con la propria genitrice. Un discorso speculare viene applicato alla figura paterna, rappresentata come assente prima e presente dopo, amorevole e accogliente prima e poi terrificante e mostruosa. Da un certo punto di vista Beau ha paura è quindi una tragedia edipica costruita come una pellicola che vaga tra horror, commedia nera e thriller surrealista, ma dall’altro è anche la storia dolorosissima di un uomo che deve affrontare l’inferno ed emergerne vittorioso per trovare la propria identità, per abbracciarla e per uccidere tutti i fantasmi di una vita che non è mai stata sua fino a quel momento. Per arrivarci, però, Aster sceglie la via più contorta e meno fruibile, quella che passa dal cervello e non dal cuore, dall’inconscio e non dal conscio. Alle volte sbagliando, certo, ma che coraggio.

Beau ha paura - Joaquin Phoenix (foto I Wonder Pictures) 2
Beau ha paura – Joaquin Phoenix (foto I Wonder Pictures) 2

Un film costruito su Joaquin Phoenix

Non è la prima volta che Joaquin Phoenix si porta addosso il peso di un intero lungometraggio da solo, ma se in precedenza parlavamo di opere tutto sommato classiche nella struttura e nella messa in scena in Beau ha paura deve letteralmente farsi carico della complessità del film, che è riposta tutta nel suo protagonista. Ed è forse questo il maggior pregio e il maggior difetto dell’opera terza di Ari Aster: perché togliendo di mezzo Beau, il suo rapporto con Mona e la sua Odissea Beau ha paura sembra non avere grosse cose da dire. Tutti gli altri comprimari del film vivono in funzione di Beau e del suo viaggio, nonostante dei bravi interpreti come Nathan Lane e Amy Ryan facciano di tutto per offrire profondità espressiva a dei personaggi trattati alla stregua di archetipi; tutta l’impalcatura narrativa e tematica del film esiste in funzione di Beau e lo stesso Aster dev’essersene reso conto, dato che il film non riesce sempre a sostenere un ritmo ondivago durante le sue tre ore di durata. È, paradossalmente, una pellicola in cui c’è troppo e troppo poco allo stesso tempo, con un finale totalmente anticlimatico bellissimo ma anche con un secondo atto a cui non avrebbero fatto male venti minuti abbondanti di tagli, specialmente nelle sezioni a casa di Roger e Grace e in quella della foresta. E alla fine cosa rimane? Rimane un’esperienza viscerale, in alcuni momenti potentissima, in altri profondamente inquietante ma anche troppo tirata per le lunghe e un po’ debole dal punto di vista drammaturgico. Poi, certo, c’è l’analisi sulla società contemporanea preda di una violenza incontrollata e instintiva, l’affondo contro il sistema delle classi sociali, la deriva del capitalismo ma è tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Ari Aster è un ottimo regista, con delle ottime idee e che regala delle bellissime suggestioni visive. Però, per favore, la prossima volta meno corda, meno libertà creativa, meno minutaggio, meno fiducia se serve. Basta che sia meno.

Beau ha paura. Regia di Ari Aster con Joaquin Phoenix, Stephen McKinley Henderson, Patti LuPone, Amy Ryan, Nathan Lane e Kylie Rogers, in uscita giovedì 27 aprile al cinema distribuito da I Wonder Pictures.

VOTO:

Tre stelle e mezzo

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