La recensione di Whitney – Una voce diventata leggenda: Naomi Ackie porta in scena la vita dell’immortale Whitney Houston insieme a Stanley Tucci, ma il film va troppo sul sicuro e non graffia
A pochi mesi dall’Elvis di Baz Luhrmann un’altra icona musicale approda al cinema con un biopic tutto per sé. Whitney – Una voce diventata leggenda, scritto dallo stesso sceneggiatore di Bohemian Rhapsody Anthony McCarten e diretto da Kasi Lemmons, è però un film opaco e più interessato alla luce che all’oscurità della sua protagonista nonostante la buona prova di Naomi Ackie nei panni dell’immortale Whitney Houston e di un bravissimo Stanley Tucci in quelli del suo manager e amico Clive Davis.
I wanna dance with somebody
Whitney (Naomi Ackie) è una giovane e talentuosissima cantante dall’estensione vocale titanica, i cui genitori Cissy (Tamara Tunie) e John (Clarke Peters) vedono in lei una potenziale star. Una sera Cissy convince con l’inganno Whitney a cantare di fronte al pubblico di un famoso club di New York, ben sapendo che tra il pubblico fosse presente il celeberrimo produttore musicale Clive Davis (Stanley Tucci). Clive rimane colpito dal talento di Whitney e la scrittura immediatamente tra gli artisti della sua casa discografica, e Whitney decide di ingaggiare la sua ex-compagna e ora amica Robyn (Nafessa Williams) per farle da manager contro il parere della sua famiglia. L’incontro con Bobby Brown (Ashton Sanders) segnerà l’inizio di un’intensa e passionale storia d’amore, mentre Whitney conoscerà un successo senza precedenti da milioni di copie e decine di premi vinti prima di cadere nel baratro della tossicodipendenza.

Un biopic da manuale
La figura di Whitney Houston è assurta nel giro di pochi anni all’olimpo destinato solo alle più grandi artiste di tutti i tempi. Forte di oltre 200 milioni di dischi venduti e di una quantità spropositata di premi e riconoscimenti, era solo questione di tempo prima che qualcuno decidesse di trarre “un film di finzione” dalla sua vita relativamente breve ma travagliata, dopo una discreta serie di documentari. La regista Kasi Lemmons (Black Nativity, Harriet) e lo sceneggiatore Anthony McCarten (La teoria del tutto, Bohemian Rhapsody, L’ora più buia) hanno così portato alla luce questo Whitney – Una voce diventata leggenda con l’intenzione di rendere omaggio e di fare luce su tutte le sfumature dell’artista/donna Whitney Houston, ma il racconto segue fin troppo pedissequamente le regole del genere. Dopo un breve flashback in medias res durante la serata degli American Music Awards 1994, veniamo catapultati subito indietro nel tempo di undici anni per conoscere le origini del mito. Da lì in poi troveremo tutti gli ingredienti che un biopic di questo tipo ha da offrire: il salto nel buio, il successo, l’apoteosi, i primi problemi, la caduta. Un film quindi costruito ad arte, affidato ad una regista nera quasi per volersi riprendere il controllo di un certo tipo di narrazione e rappresentazione; non che l’idea in sé sia sbagliata, ma forse una sceneggiatura così precostruita e priva di guizzi avrebbe avuto bisogno di un polso registico diverso e più personale, o almeno di un’immagine che rimanesse nella testa e nel cuore oltre alla voce immortale di Whitney Houston.

Tanta voce, poco graffio
Nonostante Naomi Ackie dia prova di una certa intensità drammatica ed espressiva, la sua Whitney rimane troppo ingarbugliata e abbozzata nella scrittura e non va troppo meglio al Clive Davis di Stanley Tucci a cui l’attore riesce comunque a donare un’ottima dose di umanità e fragilità. È un problema ricorrente durante Whitney – Una voce diventata leggenda quello dell’abbozzo, perché il film passa troppo repentinamente da un momento della vita di Whitney ad un altro senza che le singole scene possano avere respiro o trovare compiutezza; in questa fretta di voler attraversare tutte le tappe fondamentali in fretta e furia sono i personaggi stessi a rimanere in superficie, comportandosi più come pedine della trama che come motore della trama stessa. Ed è una pellicola tremendamente superficiale, questa di Kasi Lemmons . Un’opera che sceglie di mostrarci molta della luce di Whitney, il suo talento vocale, il suo carisma sopra e fuori dal palco ma omette di scavare nei suoi tanti demoni interiori, negli abusi subiti da ragazzina e perfino nel rapporto turbolento e dicotomico di amore/odio nei confronti della figlia Bobbi Kristina. Tanta tantissima voce quella di Whitney (ma anche quella della stessa Naomi che ha coraggiosamente scelto di cantare alcuni dei brani della colonna sonora), ma il film non graffia e per questo non arriva al cuore fermandosi solo ai polmoni.

Le canzoni però rimangono
In un film come Whitney – Una voce diventata leggenda sono quindi le canzoni a rimanere impresse, sia per la loro portata emotiva che per quella storica. Qui i brani resi celebri dalla “Voice” di Newark sono tutti presenti, persino in maniera cronologica e in qualche caso reinterpretati nella cornice degli eventi originali ( come nel caso dell’esibizione durante il Superbowl del ’91 o in quella già citata dei Music Awards del ’94). Una sorta di gigantesco jukebox dalla durata non indifferente, dove sono la voce di Naomi/Whitney e i ricordi che ciascuno possiede di quel particolare pezzo ad assicurare una ricompensa emozionale. Forse avrebbe dovuto essere un musical o un biopic che si concentrasse su un particolare momento della vita di Whitney Houston, o forse certe storie vanno lasciate sedimentare per più tempo prima di essere affrontate a viso aperto.
Nonostante quindi un cast che fa del proprio meglio con il materiale che ha a disposizione (altra menzione va sicuramente alla Robyn di Nafessa Williams), la possibilità di andare davvero a fondo di una vita piena di contraddizioni, cadute e rinascite, un parterre di canzoni rimaste scolpite nella memoria collettiva e la figura di una donna dal talento sconfinato pari soltanto al suo dolore, Whitney – Una voce diventata leggenda si accontenta di fare il minimo indispensabile sprecando tutto il suo potenziale in una narrazione prevedibile e fin troppo sciatta. In fondo era la stessa Whitney a cantarlo, It’s not right but it’s ok.
Whitney – Una voce diventata leggenda. Regia di Kasi Lemmons con Naomi Ackie, Stanley Tucci, Tamara Tunie, Clarke Peters, Nafessa Williams e Ashton Sanders, uscito nelle sale il 22 dicembre distribuito da Sony Pictures Italia.
Due stelle e mezzo