Dalla Mostra del Cinema di Venezia 2022 ecco la conferenza stampa del film L’immensità con il regista Emanuele Crialese, che ha fatto il suo coming out in diretta, la protagonista Penélope Cruz e il cast
È stato presentato questa mattina in conferenza stampa alla 79ª Mostra del Cinema di Venezia, L’immensità di Emanuele Crialese, secondo film italiano in concorso. Presenti, oltre al regista, anche la protagonista Penélope Cruz e gli altri attori del cast.
Per il regista. È un lavoro sulla memoria, sull’autobiografia…
Emanuele Crialese: È sicuramente un lavoro sulla memoria e sull’autobiografia. È ispirato alla mia infanzia e alla mia storia, che viene ovviamente trasfigurata. Ho cercato una chiave che non fosse solo autoreferenziale e che parlasse solo di me, ma ho cercato di rappresentare in chiave più universale dei temi che mi stanno molto a cuore, come appunto la migrazione di un’anima, cioè il movimento che facciamo da uno stato all’altro.
Per Penélope. Questo film mostra le sue incredibili capacità e mi chiedo se questo personaggio abbia semplicemente sposato la persona sbagliata o se sia un personaggio davvero pazzo o se sia questo matrimonio a renderla pazza. Ha mai pensato di dedicarsi alla regia?
Penélope Cruz: Credo che il mio personaggio non sia pazzo. In lei c’è sufficiente follia per poter sopravvivere alla vita in cui si ritrova. La follia le consente di stabilire una relazione con la figlia. Lei si sente intrappolata nella situazione in cui vive, nella sua famiglia, nella sua casa. L’unica fuga che ha è attraverso lo schermo televisivo che la ricollega ad un altro mondo, quello dell’arte, della danza e del sogno. Se lei potesse vivere la vita che vorrebbe, se la società glielo consentisse, sarebbe diversa da com’è. Non è pazza ma oppressa e non ce la fa più perché sente di dover fingere ogni giorno davanti ai figli. Questo la fa piombare in una crisi per questo deve andare in una clinica e separarsi da loro. Ci sono molte donne in tutto il mondo che vivono questa situazione di violenza domestica, credo sia un tema molto attuale.
Una domanda per il regista. Vorrei parlare del tema del “privilegio”. Questo film parla del privilegio di essere un uomo perché il mondo, come ha detto prima Penélope, è regolato proprio da uomini.
Emanuele Crialese: Il mondo si divide in uomini e donne. La parte migliore di essere un uomo è essere stato una donna. Io non vedo differenze tra un mondo e l’altro e custodisco in me stesso entrambi le polarità. Sono nato da una donna ma ciò non significa che io non abbia dentro di me un’enorme parte femminile, che considero il migliore aspetto dell’essere uomo.
Una domanda per Penélope. Da dove viene questa scintilla che ti permette passare attraverso molte lingue.
Penélope Cruz: Credo sia stata una fortuna aver studiato francese prima dell’inglese, senza perdere molto del mio accento originario. Mi sono sempre interessate le differenti lingue e i differenti accenti e questa è una passione per me. Credo che necessiti molto lavoro ma che aiuti molto ad avvicinarsi al personaggio questa maniera di comunicare. Mi sento molto fortunata di poter lavorare in quattro lingue. L’unica volta che ho perso l’accento al 100% è stato in Non ti muovere in cui ho interpretato una donna metà italiana e metà libanese ma questo è successo perché è stato un lavoro molto lungo. Questa storia è diversa, parla di una donna spagnola che vive in Italia da molto tempo quindi usa il livello di italiano che parlo io.
Per Luana Giuliani. Che esperienza è stata per te. Come è avvenuto l’incontro con Emanuele e cosa c’è di così speciale per te in questo personaggio.
Luana Giuliani: L’incontro con Emanuele è avvenuto quattro anni fa. Da subito mi sono trovata bene con lui, è una persona speciale. Questo personaggio all’inizio mi ha turbata ma poi il regista mi ha spiegato un po’ di cose e da lì mi è piaciuto un sacco. Per me è stato molto importante rappresentare Emanuele quando era piccolino.
Per Penélope Cruz. Questi ruoli di madre le piacciono particolarmente?
Penélope Cruz: Ho interpretato molte madri, ho iniziato da giovane. Con Pedro ho fatto sette film e in cinque di essi interpreto il ruolo di una madre. Ho un senso materno molto spiccato e sono anche affascinata da quello che avviene all’interno di ogni famiglia. C’è un mondo infinito in tutto questo e ciò fornisce molto materiale su cui lavorare. Il mio fascino per questo tema unito a questo mio forte istinto materno mi ha sempre guidato. Ho sempre desiderato diventare madre e la mia famiglia oggi è la cosa più importante. Questa madre rappresenta molte madri contemporaneamente poiché si può vedere in lei quello che potrebbe e vorrebbe essere. È un personaggio complesso anche nel modo in cui è stato scritto. Quando ho letto la sceneggiatura mi sono subito innamorata perché lei era già così viva.
Per Vincenzo Amato. Come ti sei accostato a questo personaggio ricco di complessità. Tu e Emanuele Crialese vi conoscete da molti anni e sei quasi diventato il suo Alter ego. Com’è stato l’incontro con questo personaggio.
Vincenzo Amato: È il quarto film che faccio con Emanuele. Ogni volta che giriamo un film insieme per me il personaggio che interpreto non è la cosa più importante. Ciò che davvero conta è l’esperienza di lavorare con lui. Questa avventura comincia quando si legge la storia, Emanuele scrive delle storie bellissime, poi comincia un lungo processo. Il regista inizia il film mesi e mesi prima, si fanno le prove, i viaggi per conoscerci…Poi si comincia a girare, io semplicemente devo fare un personaggio in questa avventura. Lui è molto bravo a dirigere e io cerco sempre di non deluderlo.
Per Penélope. Può parlarci di questa relazione tra questa madre e i suoi figli?
Penélope Cruz: Lei deve proteggerli e vorrebbe che loro non vedessero certe cose ma loro notano tutto. Ed è pazzesco come loro sentano quando le cose non vanno bene, quando qualcosa è sbagliato. Il modo in cui Emanuele coglie questo aspetto è geniale. I bambini non si sentono al sicuro, il loro futuro è incerto e si chiedono cosa succederà ed è incredibile il modo in cui i personaggi lo mostrano attraverso le azioni fisiche. I bambini e io ci uniamo per fuggire da quella realtà spaventosa. Emanuele ci ha chiesto di attingere alla nostre vite non alla sua e lui è capace di dirti la cosa giusta poco prima di una ripresa.
Per Vittorio Moroni e Francesca Manieri. Che cosa vuol dire per uno sceneggiatore entrare nella memoria di un regista e lavorare proprio su questo? Che tipo di sfide comporta questo lavoro?
Vittorio Moroni: Per me è stata un’avventura vertiginosa. Sono stato invitato all’interno della memoria familiare di Emanuele ma ci siamo dati una serie di regole perché volevamo che questa lotta contro l’oppressione fosse anche la nostra. Ho avvertito dall’inizio che questa storia era decisiva per Emanuele quindi sapevo che il compito era imponente ma delicato. Quello che abbiamo fatto è stato assumere il punto di vista dei bambini e per farlo abbiamo provato a mettere da parte il lato professionale e a evocare il nostro lato bambino. Tecnicamente non ci siamo dati un recinto che ci rassicurasse provando ad andare nei ricordi e a chiedere ad ogni singolo ricordo di dirci cosa significasse. Noi abbiamo appreso il senso del nostro film facendolo.
Francesca Manieri: È sempre difficile entrare nella memoria di un altro. Emanuele è il mio regista dell’anima. Io ho sentito subito il carattere universale della storia che lui voleva raccontare perché è molto simile alla mia. Emanuele ha uno sguardo assoluto sulla realtà e uno specifico modo di entrare in contatto con gli attori. Certamente c’è un privilegio nel punto di vista di chi racconta e la sua grandezza è quella di abitare quel privilegio, ricostruendolo. Il film ci dimostra che quando il punto di vista maschile si sposta siamo tutti un po’ più liberi.
Questo film è il sogno di ogni critico perché più che un film è un abisso. Se e come è riuscita l’arte a salvarla da questo passaggio di anima? Il colpo di fulmine con Luana Giuliani è stato immediato o il casting è stato lungo?
Emanuele Crialese: Il percorso artistico dà la possibilità di canalizzare e rappresentare le energie negative. La cosa importante è stata quella di riuscire a trasformare quel dolore e il metodo che ho usato è stato quello di ricrearmi delle storie usando anche i miei familiari. Ad un certo punto ho dovuto fare una scelta, vivere o morire, perché non si sceglie di intraprendere un percorso del genere ma ci si nasce. Ad un certo punto la scelta è quella di credere in se e nel proprio percorso, non ci sono altre alternative se non la morte. La libertà che il percorso artistico mi ha dato è stata la prima libertà solo mia. Mia madre si nascondeva insieme a me ed era una donna che negli anni ’70, ’80 era sola con questo problema. Per me era un modo di esistere. Luana l’ho riconosciuta, appena l’ho vista, come mia piccola reincarnazione. Ha uno sguardo che io sentivo di avere. Questi occhi mi portavano a vedere il mio passato come nessuno altro quindi guardandola mi sono spesso perso.
Mario Gianani, quale è stato per lei il senso di questo incontro?
Mario Gianani: Il mestiere del produttore è collettivo. Con Emanuele ci siamo incontrati anni fa e tutti e due avevamo il desiderio di raccontare una storia che fosse intorno a questo tema, a questo calore e sensibilità. Ci siamo poi rivisti e fidati l’uno dell’altro.