Dalla Mostra del Cinema di Venezia 2022 ecco la conferenza stampa del film Chiara con la regista Susanna Nicchiarelli e i protagonisti Margherita Mazzucco e Andrea Carpenzano
È stato presentato questa mattina Chiara di Susanna Nicchiarelli, ultimo film italiano in concorso alla 79ª Mostra del Cinema di Venezia. I protagonisti Andrea Carpenzano e Margherita Mazzucco hanno raccontato della loro esperienza sul set e di come si siano rapportati ai personaggi dei due santi, San Francesco e Santa Chiara.
Hai completato questa, come l’hai definita tu, “involontaria trilogia” su questi personaggi femminili capaci di dialogare moltissimo con il presente. Perché Chiara?
Susanna Nicchiarelli: Io credo che il messaggio di Chiara e la contemporaneità della sua storia, sia molto forte perché quella di Chiara e di Francesco è una scelta politica radicale, di critica ad una società ingiusta com’era quella di allora e, com’è quella di oggi, dove la differenza tra chi ha tutto e chi non ha niente era enorme. Chiara e Francesco si mettono dalla parte degli ultimi e scelgono la povertà, decidono di costruire una comunità che non ha rapporti gerarchici, di potere. Quindi il messaggio è profondamente rivoluzionario. Ho ancora davanti agli occhi l’immagine di quando ho visto per la prima volta Fratello Sole, Sorella Luna e Francesco si spogliava davanti al Papa. Per me Francesco è quella cosa. Sicuramente l’immagine di Chiara diventa anche un’immagine femminista per un motivo molto preciso, perché lei voleva fare quello che ha fatto Francesco ma non le è stato permesso.
Perché hai pensato che Margherita e Andrea fossero gli interpreti, i corpi, i volti, gli occhi giusti per interpretare questi due personaggi?
Susanna Nicchiarelli: Perché innanzitutto li consideravo molto bravi. La loro maniera di recitare, che è molto naturale, era quello che mi serviva. Era pericoloso diventare ampollosi o retorici in qualche modo. Loro mi hanno aiutato tutti a riscrivere, riformulare le battute in modo che la loro recitazione fosse più naturale possibile. E poi avevano entrambi l’età giusta perché Chiara aveva diciott’anni quando scappa, Francesco ne aveva trenta quando la accoglie. È molto difficile vedere questi due santi raccontati come quello che erano veramente, cioè due ragazzini. Margherita sembra una bambina perché è piccolina ma ha un carisma, una presenza molto forte, molto silenziosa. È molto simile a Chiara, che non urla, sta ferma e la gente va da lei. È un carisma particolare, è una persona magnetica.

Che riflessioni ha suggerito ad Andrea e Margherita l’idea che una giovane donna e un giovane uomo fossero stati capaci, con la loro determinazione, con la loro visione, di portare avanti un un progetto di vita per se stessi e per la propria comunità?
Andrea Carpenzano: Io ho conosciuto Francesco perché me l’ha raccontato Susanna. Io non sapevo niente ma mi ha stupito. Ci sono sempre questi personaggi che ritornano nella storia, questi giovani, che vogliono fare una sorta di rivoluzione con le loro idee. Chiara, forse più di Francesco perché lui ad un certo punto si deve un po’ adattare. Chiara invece continua. Quindi, insomma, grande rispetto, io non ce la farei mai.
Margherita Mazzucco: Io il personaggio di Chiara non lo conoscevo bene, conoscevo quello di Francesco tramite la scuola e quando mi è arrivata la sceneggiatura l’ho divorata, la storia mi piaceva tantissimo. L’aspetto secondo me più bello di Chiara è il fatto che lei non voleva diventare santa, lei voleva solamente spogliarsi, anche letteralmente, della nobiltà per stare con le genti, per stare con le persone, con i poveri, per aiutare le sue sorelle. E quindi rimane anche quasi sorpresa e spaventata da tutto quello che le succede intorno. Lei è un personaggio molto forte, ha un grande carisma ed è questo che l’ha portata a perseguire questo progetto però, allo stesso tempo, è anche molto fragile.
Una domanda legata alla scelta linguistica che accompagna tutto il film, da una parte l’italiano volgare dall’altra il francese antico per le parti musicali, per poi chiudersi con una canzone completamente moderna sul finale.
Susanna Nicchiarelli: Il Cantico delle Creature è la prima cosa che si studia a scuola in letteratura italiana. Francesco mette per iscritto una lingua che era solo orale. Con l’aiuto di una professoressa di storia della lingua italiana della Sapienza, abbiamo ricostruito un italiano francescano di allora. È generalmente comprensibile ma su quelle scene dove forse si poteva avere qualche problema, abbiamo messo dei sottotitoli e per quanto riguarda le altre lingue del film, c’è il francese perché Francesco si chiamava così proprio perché era un appassionato della Francia e della lingua. Parlava spesso in francese e gli piacevano molto le chanson de geste dell’amor cortese. Le musiche che ho scelto, sulle quali i personaggi danzano e cantano, vengono da un manoscritto di Montpellier dell’epoca. Ho lavorato con l’Anonima Frottolisti, che sono un ensemble di musica antica di Assisi conosciuti in tutto il mondo. Sono canzoni laiche d’amore e mi piaceva che fossero cantate in francese da Andrea, che è bravissimo. Mentre scrivevo mi dicevo che i personaggi dovevano mettersi a ballare, a cantare perché per me era un po’ un Jesus Christ Superstar. Volevo raccontare quella gioia. Il francescanesimo era gioioso, celebrava la vita. Era una religione con un ordine molto vitale. Nonostante il film non sia un musical, anche perché sono solo quattro pezzi quelli in cui ballano, per me era importante che ci fossero la danza e il canto. Una componente fondamentale della predicazione di Francesco era il parlare in volgare, cioè il portare la religione fuori dalle cattedrali. Non voleva parlare in latino ma parlare come parlava la gente. Francesco è sempre dipinto come un santo che parla con gli uccelli, questo perché la Chiesa non ha voluto mostrare che parlava alle folle in volgare e questa cosa era rivoluzionaria. Per Francesco e Chiara questa è una componente fondamentale della loro predicazione. Se avessi tolto questo avrei tolto una cosa importante. Quindi la differenza tra il latino colto, quello delle scritture, quello dei preti e il volgare ci doveva stare nel film.

Che sfida produttiva è stata quella di raccontare Chiara oggi?
Marta Donzelli: È stata sicuramente una bella sfida però, insomma, con Susanna condividiamo tutte le scelte. Questa è una trilogia involontaria, nel senso non è arrivata da noi programmaticamente però ci è sembrato molto interessante che una regista come Susanna progressivamente tornasse indietro nel tempo e in qualche modo si arrivasse al Medioevo per continuare a raccontare poi lo stesso tema, cioè che la complessità per le donne, nella storia, di essere quello che volevano essere. Io devo dire che questa storia la trovo particolarmente emozionante proprio da produttrice-lettrice. Nel primo momento la cosa che mi ha colpito di più è stata immaginare la forza di una ragazza che nel 1200 usciva di casa sua, abbandonava il benessere e il futuro che era stato immaginato per lei, per andare scalza in mezzo alla natura e immaginare un futuro quasi impossibile. La forza di questo messaggio io spero sia contagiosa.
Paolo Del Brocco: Per noi di Rai Cinema è importante seguire l’evoluzione di tutti i registi che hanno iniziato con noi. Abbiamo fatto tutti i film di Susanna. È bellissimo raccontare queste figure che cinematograficamente poi non sono state così sviluppate con l’obiettivo di arrivare anche a dei pubblici che magari non sono quelli consueti. Santa Chiara è la santa dell’audiovisivo, della televisione e del cinema. E quindi, come dire, in questo momento siamo ancora più felici di aver fatto e portato a Venezia questo film sperando che ci metta una mano in testa. Susanna sta facendo un percorso straordinario, a mio avviso, di crescita nel suo stile, sempre tenendo il suo linguaggio però anche cambiando certi aspetti. Questo è importante perché poi ci sono i registi che fanno sempre lo stesso film qui invece parliamo di fare film sempre diversi, mantenendo uno stile. Questo ci piace molto.
Marta Donzelli: L’altra cosa molto bella è che siamo una squadra di produttori, anche internazionali, che sta continuando a lavorare insieme ormai da tre film. Con Joseph abbiamo fatto Nico, Miss Marx e adesso Chiara. Quei due film erano stati anche girati in Belgio questo no però è molto bello trovare degli altri produttori in altri paesi con cui condividere dei progetti nel tempo e in continuità.

Qual è stata la scena più difficile da girare? Oppure la cosa più difficile che hai dovuto fare proprio rispetto all’interpretazione di Chiara?
Margherita Mazzucco: La parte più difficile è stata proprio calarsi nei panni di Chiara però in realtà noi abbiamo voluto mettere in scena una ragazza di 18 anni molto semplice ma molto moderna. Quindi le difficoltà sono state quelle pratiche. Voglio dire stare scalzi, indossare un saio e girare in inverno, con la lingua ho avuto dei momenti difficili.
Il film è dedicato a Chiara Frugoni e i due libri sono stati fondamentali per la documentazione su questo personaggio. Tu fai sempre delle ricerche molto precise e molto approfondite. Come è stato questa volta il tuo lavoro, il tuo percorso di scoperta?
Susanna Nicchiarelli: Chiara Frugoni è una studiosa di storia medievale che è mancata, purtroppo, quest’anno. Ha dedicato la sua vita allo studio di Francesco e di Chiara. Ultimamente aveva scritto una cosa sulle donne nel Medioevo, sulle paure medievali. Io ho scoperto Chiara attraverso i libri di Chiara Frugoni perché in realtà esiste una storiografia ufficiale dove questa figura è molto più addomesticata. Viene raccontata come una ragazza dedita fin da bambina alla preghiera, molto lontana dalla figura reale ed è evidente, anche semplicemente leggendo il processo di canonizzazione, leggendo le testimonianze. Nel processo di canonizzazione, Chiara voleva fare qualcosa di diverso ma in qualche modo la Chiesa ha addomesticato questa figura nei secoli successivi, come è normale che sia. Chiara Frugoni ha tirato fuori la vera Chiara e il vero Francesco. Noi del Medioevo abbiamo pochissimo e rimangono soprattutto le immagini che ce lo raccontano, che è il modo migliore di fare un film. Chiara Frugoni ha fatto da consulente alla sceneggiatura. Ogni volta che avevo una domanda lei mi rispondeva con un’immagine da cui partire per costruire le nostre scene.
Come attore, a te piace dare un contorno preciso al tuo personaggio, a partire dalla sceneggiatura, o in questo caso hai voluto scoprire iconografie e storie? Come ti sei documentato sul personaggio, se l’hai fatto?
Andrea Carpenzano: La prima cosa che ho fatto è stato andare ad Assisi con Susanna per vedere le storie di Giotto, di San Francesco. E io mi ricordo di essere rimasto dieci minuti davanti all’affresco, quello con San Francesco e Santa Chiara che spiega tanto il loro rapporto. Io sono partito da quello.
Margherita, tu iconograficamente come ti sei avvicinata a lei?
Margherita Mazzucco: Io ho visto il film di Liliana Cavani e Jesus Christ Superstar. E poi io ho letto il processo di canonizzazione.
Ci sono dei momenti legati alle fantasie di Chiara, in cui si vede come una santa, come una Madonna col bambino. Che cosa rappresentano?
Susanna Nicchiarelli: È stata un’idea di Margherita. All’inizio dovevano essere delle immagini con un’attrice che faceva Santa Scolastica e Margherita immaginava queste scene. Poi ho pensato come poteva essere l’immaginario di una ragazza del ‘200 e abbiamo pensato che fosse quello appunto delle pitture. È stato divertente anche grazie alla genialità di Massimo Cantini Parrini che sulle fantasie si è particolarmente sbizzarrito.

Avete detto che siete stati ad Assisi, volevo sapere qualcosa in più sulle location.
Susanna Nicchiarelli: La location principale dove Chiara sviluppa la sua comunità è la chiesa di San Pietro a Tuscania, che è uno dei posti più belli del mondo e che è stata location anche di altri film. Abbiamo fatto base a Tuscania, tra San Pietro e L’abbazia di San Giusto. E poi l’Umbria, i boschi laziali.
«Quando sarò morto i miei pezzi verranno venduti». Questa frase ci dice qualcosa sulla paura della santità. Se vogliamo trovare dei contatti ce ne sono tantissimi con la contemporaneità. Basta pensare ad attori, registi che hanno paura della fama, del successo, di essere carne da macello anche per i media…
Susanna Nicchiarelli: Quando diventi un’icona, diventi qualcosa che gli altri vedono. Questo spaventa anche perché poi è una cosa che alla fine ti allontana tanto dalla gente. Con Margherita abbiamo riflettuto molto su questo, sulla distanza che creava. Ovviamente una Chiara che vuole stare in mezzo alla gente ha paura della lontananza che creano i miracoli.