American Skin, di e con Nate Parker, presentato nella sezione Sconfini alla 76ª Mostra del Cinema di Venezia, rappresenta il tema del razzismo, ma riesce a farlo utilizzando una chiave diversa che, nel complesso, funziona e lascia un amaro messaggio.
Un incidente, purtroppo, verosimile
Il film American Skin, di Nate Parker presentato nella sezione Sconfini della 76ª Mostra del Cinema di Venezia racconta una tragica vicenda. Privato di un processo equo a seguito della morte di suo figlio adolescente, Lincoln Johnson (Nate Parker), veterano di guerra di colore, decide di sequestrare l’intero dipartimento di polizia e organizzare lui stesso un processo per ottenere finalmente giustizia. Suo figlio era stato accidentalmente ucciso dall’agente Mike Randall (Beau Knapp), dopo che lui e suo padre erano stati fermati da una volante. Il dipartimento si trasforma in un vero e proprio processo non solo sulla morte del figlio di Johnson, ma sul tema del razzismo in generale, sulle differenze di genere e sui pregiudizi. Un processo a cui partecipano poliziotti, detenuti e il personale del dipartimento.
Un processo diverso
American Skin parla di razzismo, senza dubbio, e segue tutte le norme e le tecniche del politically correct. A parte i dialoghi a volte leggermente piatti e scontati, è un film coinvolgente e per certi versi anche originale, considerando il processo che si tiene all’interno del dipartimento. Ambizioso rischia così di sfiorare l’inverosimile, durante la riunione dei giurati ad esempio, dove sembra davvero solo il colore a fare la differenza. Ottima l’interpretazione di Beau Knapp, che aveva un ruolo quasi identico nella serie Seven Seconds, dove vestiva i panni di Peter Jablonski, agente che aveva accidentalmente investito un ragazzino di colore.

Tensione e tragedia
Beau Knapp, dallo sguardo impenetrabile, con un misto tra senso di colpa e ostilità nei confronti del personaggio interpretato da Nate Parker che lo mette letteralmente sotto processo, affronta in realtà un processo interiore. Il film cattura l’attenzione dello spettatore in un crescendo di tensione, in cui la rabbia può portare a premere il grilletto e ad avere un destino ormai già segnato. Il colpo di scena, sempre dietro l’angolo, non tarda ad arrivare. L’originalità del film risiede nel doppio punto di vista. Dagli occhi dell’agente Randall è evidente la sofferenza, il senso di colpa e un omicidio da cui non si riprenderà mai. Ma a quale genitore tutto questo potrebbe bastare?
Una buona tecnica
La regia di American Skin è piuttosto lineare e semplice, chiara e che segue la struttura dei tre atti, con un finale piuttosto pessimistico che non lascia molte speranze. Non è un film che si schiera, né che denuncia, o meglio la denuncia sarebbe stata evidente anche se non fosse intenzionale. Il tema del razzismo sotto una forma diversa, in cui i poliziotti vengono rappresentati come sono, e cioè esseri umani, come tutti, indipendentemente dal colore della pelle. Sospeso tra adrenalina e drammaticità, il film offre così una duplice riflessione, parlando di pregiudizi, razzismo e presa di coscienza.
American Skin, di Nate Parker, con Nate Parker, Omari Hardwick, Beau Knapp, Theo Rossi, Shane Paul McGhie, Miluana Jackson, è stato presentato nella sezione Sconfini alla 76ª Mostra del Cinema di Venezia il 1º settembre 2019.