Una storia senza nome, presentato a Venezia 75 il nuovo film del regista palermitano Roberto Andò, storia del furto di un caravaggio interpretata da Alessandro Gassmann e Micaela Ramazzotti.
Roberto Andò racconta il suo ultimo lavoro Una storia senza nome, storia del furto di un dipinto caravaggesco nella città di Palermo. Insieme a lui gli sceneggiatori Angelo Pasquini e Giacomo Bendotti, e i protagonisti della vicenda Alessandro Gassmann, Micaela Ramazzotti e Renato Carpentieri, ecco cosa hanno detto in conferenza stampa.
Una domanda per il regista: si parte da una storia vera alla quale però non è ancora stata messa la parola fine. Ci vuole parlare proprio di questo?
Roberto Ando: Si, è una storia che mi riguarda da vicino. Io sono di Palermo , una storia molto congeniale per questo film sul cinema proprio perché i pentiti dell’accaduto che hanno in qualche modo scritto una loro sceneggiatura sul furto del quadro, manipolando di conseguenza queste vicende. L’evento tragico sta proprio nel fatto che la città è stata derubata, l’opera è stata sottratta alla collettività e forse anche consegnata a un destino crudele, forse utilizzata stando ai racconti come scendi letto da qualche capo mafia. Oltre all’aspetto tragico ha anche un aspetto profondamente grottesco, una commedia. Per questo mi è sembrata una storia da raccontare e soprattutto per ridare al cinema quel ruolo che oggi continua ad avere, ovvero darci una seconda visione della realtà.
Sempre per il regista: questa è appunto una storia sul cinema, si può dunque dire che il cinema incide sulla realtà?
Roberto Ando: Mi piaceva l’idea che i protagonisti di questa vicenda fossero le persone che si occupano dietro le quinte di un film. Sceneggiatori, produttori e tutto ciò che rimane dietro questo artigianato sublime. Una mescolanza di ruoli in cui a volte c’è cialtroneria e a volte il sublime. Il film diventa il dispositivo investigativo per arrivare alla verità.

Mi rivolgo agli sceneggiatori, il film è incentrato su di voi, rispecchia veramente la vostra figura e se sì, avete scritto degli aneddoti personali?
Angelo Pasquini: Ci siamo sicuramente divertiti in questo racconto tra realtà e finzione, per cui c’è un falso sceneggiatore e una vera sceneggiatrice, un’ambiguità che è il sale del cinema, questo rapporto tra finzione e realtà. In fondo i film nascono proprio da uno spunto, dalla realtà. Qui il film incide sulla realtà e la trasforma ed è un sogno per lo sceneggiatore, rispecchia il suo compito di trasformare la finzione in realtà e diventa tale quando il pubblico accetta questa relazione.
Giacomo Bendotti: La cosa che più mi ha affascinato è che lo sceneggiatore viene rappresentato un po’ come un cialtrone. C’è stato un grande divertimento nel calcare gli stereotipi intorno alla figura dello sceneggiatore fannullone. È un film doppiamente sul cinema, che mostra da un lato la costruzione di un film e dall’altra la costruzione di questa trama thriller che però è volutamente calcata e ironica.

E per gli attori, che rapporto avete generalmente con gli sceneggiatori? Un rapporto di amore e odio?
Micaela Ramazzotti: È bellissimo il rapporto con gli sceneggiatori, c’è molta gratitudine, mi scrivono sempre ruoli bellissimi e poi, Quando Roberto mi ha detto che ero la prima protagonista femminile, sono stata ancora più grata. Quando ho letto la sceneggiatura ho iniziato ad osservarli ancora di più gli scrittori e gli sceneggiatori. Non è semplice interpretare il ruolo della scrittrice perché gli scrittori hanno una grande capacità nell’osservare e saper raccontare il tutto mescolato alla fantasia. Ho guardato attraverso gli occhi di Roberto, lo sguardo di chi sa raccontare ha uno sguardo molto diverso, ecco cosa mi interessava.
Alessandro Gassmann: Non può esistere un buon film senza una buona storia. Quando ho letto questa storia ne ho apprezzato la complessità che non è sempre scontata nel cinema italiano. Quando ho visto il film sono stato molto colpito dalla capacità di Roberto di rendere quella complessità accessibile a ogni tipologia di pubblico, non so se ho mai lavorato con finti sceneggiatori e non lo sapremo mai (ride), ma sono certo che non è questo il caso, e menomale perché è una storia bellissima.

Renato Carpentieri: Stimo molti personalmente gli sceneggiatori. Il rapporto del mio personaggio con gli sceneggiatori invece deriva da una necessità: il personaggio è rimasto ferito dal furto e ha accumulato una serie di dati, però non gli bastano. I dati da soli non sono sufficienti, e quindi ha bisogno di una forza di immaginazione, di un narratore perché solo immaginando storie si riesce a penetrare nelle parti oscure dei dati.
Il fatto che nel film si prende il merito del lavoro di una donna viene giustificato alla fine con una motivazione sentimentale. Visto la realtà che stiamo vivendo c’è comunque un riferimento al movimento #Me Too o è solo un rapporto tra i personaggi?
Roberto Andò: Non ci ho proprio pensato, sono solo due personaggi, se foste stato un uomo e se foste stato al contrario la storia sarebbe stata la stessa, anche perché il personaggio femminile un po’indugia in questa condizione e poi si libererà dal desiderio di restare nell’ombra. Non ci ho pensato affatto, mi ha fatto piacere che fosse una donna perché ha dato potenza, anche grazie al modo in cui Micaela lo ha interpretato.
Come mai la scelta del regista Jerzy Skolimowski?
Roberto Andò: Ho sempre avuto in tutti i miei film registi nelle vesti di attori, e in questo film mi è sembrato necessario far fare il regista a un vero regista quando ho avuto il privilegio di essere il presidente di giuria dei classici qui a Venezia, ho incontrato in diverse occasioni Jerzy Skolimowski, a cena, e l’ho guardato bene e credo che abbia una grande faccia, e quando ho scritto questo ruolo mi è sembrato che fosse giusto uno che veniva da quel mondo lì.

Gli attori sono impostori per eccellenza, si inventano la loro identità ogni volta che sono sul set, cosa ne pensano i protagonisti di questo aspetto?
Ramazzotti: Ci inventiamo sempre qualcosa in effetti, forse perché non sappiamo realmente chi siamo e abbiamo sempre bisogno di qualcuno che ci dica che cosa dobbiamo essere. Il gioco della doppia faccia dell’impostore che c’è in ogni personaggio è molto importante e molto attraente.
Gassmann: Io rappresento il cialtrone nel film, ed è drammaticamente presente nella nostra società ed è ciò che ci fa drammaticamente ridere. Il cialtrone è la causa principale dei nostri problemi. Noi ridiamo da sempre nei nostri difetti, anche nel cinema, ma è una risata sempre più amara.