La nostra recensione di Una vita in fuga, dramma super enfatico di e con Sean Penn, nei panni di un criminale dal problematico rapporto con la figlia, un tripudio di esasperata drammaticità, presentato a Cannes 2021
Non c’è pace per il povero Sean Penn il quale, dopo aver costruito una brillante carriera da attore in film come Mystic River e Milk, continua a fare cilecca quando sceglie di spostarsi dietro alla macchina da presa. Se già il suo ultimo film Il tuo ultimo sguardo era stato un clamoroso insuccesso di critica e pubblico, la sua nuova fatica Una vita in fuga si conferma un’opera mediocre, talmente egoriferita da apparire stucchevole. Penn è tornato al Festival di Cannes con un film insincero che (paradossalmente) adatta l’autobiografia Flim-Flam Man: The True Story Of My Father’s Counterfeit Life di Jennifer Vogel, incentrata sul rapporto ambiguo della giornalista con suo padre.

Un criminale come padre
Jennifer (Dylan Penn) è una ragazzina che vive con il fratello e la madre e fantastica sulle avventure che l’evanescente padre compie quando è lontano dalla famiglia. John (Sean Penn) diventa per sua figlia un eroe, il prototipo dell’uomo americano capace di realizzare i suoi sogni e, nel frattempo, un padre amorevole sempre pronto ad accontentarla. Solo crescendo Jennifer si rende conto del marciume che infetta la sua famiglia. John, infatti, è uno dei falsari più ricercati al mondo, un criminale spregiudicato che ha abbandonato la madre della protagonista in condizioni di indigenza. In seguito ad una giovinezza problematica, Jennifer si rimbocca le maniche per diventare una giornalista mentre tenta invano di recuperare il rapporto con suo padre, impegnato a scappare dalla polizia.

Incubo americano
John è un eterno fanciullo che predica il coraggio e libertà ergendosi a modello per la sua innamorata bambina, mentre commette crimini con una spregiudicatezza quasi inquietante. John è nato il 14 giugno, il Flag Day (titolo originale del film) americano. La sua figura dovrebbe, date queste premesse, fungere da simbolo di quel sogno americano, quella bramosia di successo, che portato alle estreme conseguenze può trasformarsi in un incubo da cui è difficile uscire. Peccato che Una vita in fuga non abbia interesse alcuno ad approfondire il fascino ambiguo e mellifluo del suo protagonista, preferendo proporre una declinazione usurata, pedante, iper-sentimentale e melensa del rapporto padre-figlia. Anche questo tema, però, così centrale nella pellicola, è totalmente fuori fuoco. Le conseguenze di un’infanzia fondata su tranelli e raggiri sulla vita di una giovane donna che tocca il fondo e poi risale, secondo il più classico dei cliché, sono le briciole di una struttura narrativa che non regge, che è troppo sciatta per poter coinvolgere.

Lasciatelo recitare
Una vita in fuga è un puzzle raffazzonato di flashback dal patetismo esagitato e confronti tra i personaggi così sovraccarichi di enfasi da sembrare usciti da una soap opera. Non mancano una colonna sonora che punto tutto sull’emotività e un voice off di Jennifer pleonastico, che continua imperterrito a sottolineare per tutto il film (come se ce ne fosse bisogno) quanto tormentato e problematico sia il suo rapporto con John. La regia di Penn è poco ispirata, sbiadita; la sua interpretazione, invece, benché esageratamente caricata in alcuni passaggi, resta godibile. Peccato per il ringiovanimento digitale posticcio che fa perdere di credibilità ai flashback. Al suo fianco, per interpretare Jennifer e suo fratello, Penn ha voluto i suoi due veri figli, Dylan e Hopper Penn. Alla ragazza, presunta protagonista del film (la scena è tutta per il regista-attore, in realtà) il talento non manca, ma la sua strenua lotta a dare credibilità ad un personaggio così mal costruito come quello di Jennifer è piuttosto vana.
Una vita in fuga ci ricorda che essere un grande attore non sempre (quasi mai) coincide con l’essere un grande autore. Ci meritiamo Sean Penn capace di regalarci interpretazioni iconiche. Ci meritiamo lo Sean Penn super star spericolata di Licorice Pizza. La macchina da presa, appendiamola al chiodo.