Sì Chef! – La brigade, recensione: l’integrazione sociale parte dal palato

Sì Chef! - La brigade - François Cluzet e Audrey Lamy (foto Stephanie Branchu)
Sì Chef! - La brigade - François Cluzet e Audrey Lamy (foto Stephanie Branchu)

La recensione di Sì Chef! – La Brigade, commedia francese con protagonisti Audrey Lamy e François Cluzet: il buon cibo diventa veicolo di integrazione e incontro culturale

Arriva oggi nei cinema Sì Chef! – La Brigade, una nuova commedia francese diretta da Louis-Julien Petit e intepretata da Audrey Lamy e François Cluzet, che torna in sala a pochi mesi dal suo precedente film. Tra cucina, calcio e la speranza di un futuro migliore un film che parla della tragedia dei clandestini irregolari con la giusta dose di leggerezza.

Bon appétit!

Cathy (Audrey Lamy) è una chef di 40 anni, innamorata del suo lavoro e con un grande sogno: aprire un ristorante stellato. Le cose però iniziano presto a non andare secondo i suoi piani e, fra conti e complessità organizzative, si trova ad affrontare da subito le difficoltà del mestiere. Tutto cambia quando Cathy accetta con riluttanza un lavoro da dipendente in una sperduta località fuori città, in quella che scoprirà poi essere la mensa di un centro di accoglienza per giovani migranti. Inizialmente è poco convinta e per nulla entusiasta di questo nuovo lavoro, ma in breve tempo grazie alla sua straordinaria abilità e alla sua passione per la cucina inizierà a farsi amare dai ragazzi, i suoi nuovi colleghi e suoi nuovi amici, che a loro volta avranno anche tanto da insegnarle. Ad aiutarla in questo difficile nuovo passo ci saranno Lorenzo (François Cluzet), il responsabile del centro, e Sabine (Chantal Neuwirth), la cuoca già presente nella struttura ma non sarà affatto facile: Cathy capirà che il modo più veloce e sicuro per farsi rispettare e amare da quei giovani migranti sarà prendendoli per la gola.

Sì Chef! - La brigade - Audrey Lamy (foto Stephanie Branchu)
Sì Chef! – La brigade – Audrey Lamy (foto Stephanie Branchu)

Una commedia tutt’altro che sciocca

Nonostante il tono resti (quasi) sempre quello di un feel good movie divertente e sfacciato, sotto la superficie “scanzonata” questo Sì Chef! – La brigade prova a prendere posizione in maniera tutt’altro che sciocca sulla questione dell’accoglienza e dell’integrazione. I vari ragazzi che ci vengono presentati nel film, sebbene non siano i protagonisti effettivi, riescono comunque ad essere delineati e ad avere un minimo arco di trasformazione perché anche loro, come Cathy, devono imparare a fidarsi e ad affidarsi all’altro. La pellicola, che non dimentica neanche di dare una piccola sferzata all’immagine dei cosiddetti cooking show, decide di far incontrare queste due realtà non così distanti tra loro attraverso il cibo, ma tenendo sempre bene a mente il concetto di semplicità e convivialità e riuscendo anche a strappare qualche lacrima di sana commozione nel finale. Senza essere patetica o cercare il pietismo, ma con naturalezza e sincerità.

Sì Chef! - La brigade - una scena del film (foto Stephanie Branchu)
Sì Chef! – La brigade – una scena del film (foto Stephanie Branchu)

Figli dell’abbandono

Come molti dei ragazzi del centro anche Cathy è cresciuta in un orfanotrofio, e quindi condivide il dolore dell’abbandono e tenta di placarlo ricercando la perfezione dell’arte della cucina. La sfida nel corso del film sarà quello di aggiudicarsi un importante programma televisivo, ma la posta in gioco è molto più alta: c’è in ballo il futuro di molti dei ragazzi, alcuni dei quali rischiano il rimpatrio nei loro paesi d’origine, e lei ha gli strumenti per trasformare la loro rabbia e il loro sentirsi inaccettati in qualcosa di molto potente come la pura creatività. Senza voler essere retorico o fin troppo buonista Sì Chef! – La brigade disegna la parabola di riscatto di un gruppo di uomini e donne lasciati ai margini, con la necessità di dover lottare contro lo stesso stato che in precedenza li ha accolti, e che ora vuole rimandarli indietro. E lo fa, in primis, mettendoli a confronto tra loro prima ancora che con Cathy; forse non è un caso che i due sceneggiatori del film abbiano scelto la cucina come terreno d’incontro, poiché ogni cucina necessita di una brigada forte e unita. Un gruppo di uomini e donne che danno tutto per un obiettivo comune, ci mettono sudore, sangue e lacrime e poi sperano che il commensale approvi.

Sì Chef! - La brigade - François Cluzet (foto Stephanie Branchu)
Sì Chef! – La brigade – François Cluzet (foto Stephanie Branchu)

Gioco di squadra

Ed è proprio questo affiatamento, questa volontà di arrivare uniti ad un obiettivo la chiave di “salvezza” di Cathy e della sua squadra. Una volontà che il film ben esplicita attraverso il lavoro sinergico di tutti i reparti, dal montaggio alla fotografia passando per regia, sceneggiatura e interpreti. È un film, questo Sì Chef! – La brigade, preciso fino al millimetro e forse in alcuni momenti si nota persino. Anche rischiando alle volte di sembrare sovracostruito, però, è una pellicola che nel finale cede totalmente all’emotività e ci ricorda il pensiero onesto e di ottima mano alla base dell’operazione. In fondo basta poco per strappare una lacrima, ma è più difficile far piangere senza manipolare le emozioni; e allora un ingrediente che ci ricorda casa, il trovare delle persone che credano in noi o una galleria di volti e di storie possono e devono solleticare il cuore. E ricordarci, ora più che mai, che in fondo siamo tutti solo persone che vogliono superare indenni un altro giorno.

Sì Chef! – La brigade. Regia di Louis-Julien Petit con Audrey Lamy, François Cluzet, Chantal Neuwirth, Fatoumata Kaba e Stéphane Brel, in uscita oggi 7 dicembre nelle sale distribuito da IWonder Pictures.

VOTO:

Quattro stelle

 

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