Peppermint, recensione: un thriller al femminile dal sapore arcinoto

Peppermint

Peppermint, il nuovo film d’azione che vede protagonista Jennifer Garner al cinema dal 21 marzo, è uno dei più attesi nelle sale, ma non riesce ad essere all’altezza delle aspettative del pubblico. L’ennesima vendetta privata che non colpisce nemmeno nella sua esaltazione della figura femminile.

La vendetta è un piatto che va servito freddo

Riley North (interpretata da Jennifer Garner) vive una vita tranquilla all’insegna del lavoro e dell’amore per la propria famiglia, una vita fatta di cose semplici e normali. Una vita che improvvisamente viene stravolta quando, il giorno del compleanno della figlia (Cailey Fleming), tre uomini da un’automobile in corsa uccidono i membri della sua famiglia e feriscono gravemente anche lei. Quando dopo un mese di coma farmacologico Riley si risveglia, il mondo le crolla addosso come un macigno: il marito (Jeff Hephner) avrebbe aderito all’iniziativa del collega di partecipare al narcotraffico, offerta che, però, avrebbe anche declinato. Inconsapevoli di tale decisione, i sicari di Diego Garcia (Juan Pablo Raba) si sarebbero così vendicati uccidendo lui e la piccola Carly.

Non potendo fare affidamento su una giustizia corrotta e totalmente assoggettata al narcotraffico, a cinque anni dalla strage che ha colpito la sua famiglia, Riley torna a Los Anges per farsi vendetta da sola. Non colpirà solamente i principali imputati dell’omicidio, ma anche tutti coloro che hanno in qualche modo ostacolato la buona riuscita del processo, arrivando così a colpire ed a smantellare uno del nuclei più importanti del narcotraffico. Ma la fine della vendetta privata portata avanti da Riley vedrà un epilogo fin troppo scontato.

Jeff Hephner, Jennifer Garner e Cailey Fleming in Peppermint
Jeff Hephner, Jennifer Garner e Cailey Fleming in Peppermint

Un sistema corrotto che non riesce a stupire lo spettatore

Poliziotti corrotti, giudici privi di ogni morale e avvocati che si improvvisano criminali: è un quadro quantomai negativo quello che il regista di Peppermint, Pierre Morel, dipinge della società americana. Per farsi giustizia ci si deve basare unicamente sulle proprie forze, senza poter contare su un sistema in grado di far scontare ad ognuno la propria colpa. Ed è, di fatto, quello che Riley è intenzionata a fare: non ha paura, non ha nulla da perdere, non ha nemmeno più una vita. Tutto ciò che le è rimasto è la voglia di vendicare l’omicidio del marito e della figlia.

Seppur il chiaro intento della pellicola sia quello di dimostrare la presenza di una parte malata nel sistema governativo, ciò che arriva con chiarezza allo spettatore è semplicemente un ennesimo ritratto di una società votata al male ed alla corruzione. Il narcotraffico, in Peppermint, pare avere voce in capitolo su tutto: le leggi, la giustizia, la vita. Ciò che resta ad una povera donna defraudata di tutto ciò che le apparteneva, casa compresa, è la possibilità di armarsi e di annientare quel potere malvagio che i cartelli della droga detengono.

La Garner con Jeff Harlan in una scena del film
La Garner con Jeff Harlan in una scena del film

Il male che si annienta con altro male 

In Peppermint c’è spazio per un piccolo barlume di speranza ed è rappresentato dal Detective Beltran (John Ortiz), l’unico in grado di ridare un assetto apparentemente normale ad una situazione ai limiti dell’assurdo. Una vicenda difficile e crudele, in cui al Male si somma ulteriore Male, una vicenda che sembra raccontare una storia di violenza che, tramite l’uso di una maggiore violenza, riesce ad arrivare alla pace ed alla giustizia. Per quanto il tentativo degli autori di porre al centro della scena una figura femminile e forte sia apprezzabile, il film appare come un rimescolamento di vecchie storie già narrate.

Non è infatti la prima volta che il pubblico è posto di fronte a lungometraggi che raccontano vendette private apprezzabili: ma sotto alla veste più superficiale di una dichiarata guerra al potere, c’è il desiderio, da parte dei registi, di denunciare ancora una volta la totale assenza del sistema e dello Stato nella vita dei cittadini. Un tema, pertanto, attuale ed accattivante che, però, non è stato di certo approfondito nel modo corretto.

Un frame dal film Peppermint che ritrae Jennifer Garner
Un frame dal film Peppermint che ritrae Jennifer Garner

La versione femminile di Acts of Vengeance 

Il ruolo di Jennifer Garner è quello che nel 2017 fu di Antonio Banderas in Act of Vengeance: un componente della famiglia che, dopo aver assistito all’omicidio dei propri cari, fa perdere ogni sua traccia per tornare, poi, più forte di prima e con un grande desiderio di vendetta. Nulla di nuovo, perciò, nel panorama cinematografico mondiale. La scelta di produrre un film d’avventura come Peppermint è strettamente legata al capovolgimento di ruoli che si è voluto apportare in questo film. Non più, quindi, un capofamiglia che lotta con tutte le sue forze contro i criminali e la legge, ma una donna, incattivita e combattiva, che non viene assolutamente vista come una criminale, ma come un vero e proprio “angelo della vendetta”. La sua presenza nel campo di senzatetto in cui vive è considerata come una fortuna e diventa ben presto indice di sicurezza e rigore morale. Cambia il genere, ma non cambia la sostanza: anche il finale, per quanto ben fatto, non apporta alcuna novità, banale e scontato, quasi quanto la trama dell’intero film.

Peppermint – L’angelo della vendetta, diretto da Pierre Morel, con Jennifer Garner, John Ortiz, John Gallagher Jr., Juan Pablo Raba, Annie Ilonzeh, Jeff Hephner, Pell James, Cliff “Method Man” Smith, Cailey Fleming e Jeff Harlan, uscirà nelle sale il 21 marzo 2019, distribuito da Universal Pictures e Lucky Red.

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