La nostra recensione di Nosferatu, il grande ritorno di Robert Eggers che rilegge il classico di Friedrich Murnau in chiave femminista affidandosi a Willem Dafoe, Nicholas Hoult e Lily-Rose Depp: ci sono tanta oscurità, tanto orrore ma è tutto troppo solenne e levigato
The VVitch, The Lighthouse, The Northman e ora questo Nosferatu. Che la carriera di Robert Eggers fosse un crescendo di ambizione e sperimentazione pareva evidente fino all’opera terza, almeno finché il regista cult statunitense non ha deciso di misurarsi con una pietra miliare dell’horror, anzi due: il Nosferatu del 1922 di Friedrich Murnau e quello del 1979 di Werner Herzog, senza però lesinare uno sguardo verso Coppola. Nicholas Hoult, Lily-Rose Depp, Aaron Taylor-Johnson e Willem Dafoe danno vita a questo nuovo incubo eggersiano, ma nonostante un altissimo valore produttivo e un primo atto di grande tensione e potenza immaginifica l’oscurità del film viene un po’ risucchiata da un eccesso di solennità e dalla mancanza di un’anima.
La bella e il vampiro
Germania, 1838. Thomas Hutter (Nicholas Hoult) e sua moglie Ellen (Lily-Rose Depp) sono una coppia che vive felicemente nella città di Wisborg. Hutter lavora per un agente immobiliare che lo manda sulle montagne della Transilvania, nei Carpazi, per finalizzare la vendita di una tenuta con il Conte Orlok (Bill Skarsgård). Dopo un complicato e sinistro viaggio pieno di esperienze agghiaccianti per chiudere il lucroso affare Hutter viene ricevuto dal premuroso e ospitale Orlok, il quale però ha in mente un segreto piano malefico che coinvolge anche Ellen. Una notte Thomas scopre il segno delle zanne sul suo collo e capisce presto che il Conte è in realtà un principe delle tenebre, ossia un vampiro.
L’oscurità e la luce
Il progetto della vita di Robert Eggers, quello che sin dai primi cortometraggi avrebbe voluto portare sullo schermo altro non è che una rivisitazione (non propriamente un remake) del Nosferatu di Murnau, a poco più di 100 anni dalla sua uscita. Dietro Eggers però si muove, così come era successo con The Northman, una major e forse è per questo che la personalità dell’autore americano rimane schiacciata tra ambizione e compromesso, tra visione artistica e necessità produttive. Perché con quest’opera quarta è evidente come Eggers voglia scendere ancora di più nei meandri di un’oscurità totale, di un Male che è antico, archetipico, terrificante nella sua inspiegabilità.
L’oscurità del Conte Orlok guida sia l’atto creativo e allo stesso tempo istintivo della messa in scena, dato che la fotografia è spesso permeata da toni gelidi, quasi tutte le sequenze principali sono in notturna e che la Transilvania è una regione brulla, desolata, circondata da bastioni di castelli minacciosi. Un immaginario stokeriano che Nosferatu fa completamente suo, senza peraltro allontanarsi più di tanto da quello di Murnau e Herzog, ma aumentandone a dismisura la componente attrattiva e quella repulsiva in un gioco di parti e di contrasti in cui prima l’oscurità e poi la luce fanno capolino. La sequenza immediatamente iniziale ne è una dimostrazione, sospesa com’è tra incubo e ossessione.
E forse c’è anche da sottolineare come tutto il costrutto partorito da Eggers miri all’esaltazione del femminile sul maschile, un po’ come avveniva già in The Vvitch, soltanto che qui la mano sembra eccessivamente ferma, schematizzata nel voler a tutti i costi arrivare ad un finale (metaforicamente) salvifico e quindi anche solo parzialmente redentore. Se l’Oscurità assoluta dimora negli uomini le donne rappresentano la dicotomia tra quest’ultima e la luce e per questo sono sviluppate e stratificate meglio, i loro conflitti sono più definiti a partire da quello di Ellen (una brava Lily-Rose Depp) e di conseguenza il loro arco più delineato.
Morte, desiderio, sesso
Però lo scarto principale rispetto a Murnau, Herzog e forse pure un po’ Coppola sta nella natura del desiderio, del sesso visto anche come strumento di potere e della morte che in questo Nosferatu emerge soprattutto nell’atto finale. Il problema è che per 133 minuti di film sembra che Eggers sia interessato principalmente a quello, anche perché più che la tensione drammaturgica è quella erotica a farla da padrona. Ed è paradossale come questo accada in un film in cui si fatica a trovare un’anima vera, che non sia il risultato di tante suggestioni e di tanti immaginari riassorbiti e poi riciclati.
Forse è anche per questo che al quarto lungometraggio il cineasta americano abbandona l’eterea sospensione dei primi due film e la furia del film precedente per abbracciare una solennità che non sembra appartenergli granché, se non addirittura stonare con un film che è invece carnale, ferino, legato agli istinti primordiali. Un po’ come l’Orlok di un non sempre efficace Bill Skarsgård questa è una pellicola che delle volte affascina e seduce, ma è anche un lavoro incredibilmente freddo, cerebrale, privo del calore del sangue che sgorga copioso dalle ferite delle vittime. Un film che, al di là di un uso eccessivo e in un paio di volte gratuito dei jumpscare, non sembra riuscire a inquietare, lasciare un segno nei recessi dell’anima.
Ed è un peccato perché in alcuni momenti Eggers cerca e trova alcune soluzioni visive efficaci, proprio quando aleggia nella dimensione onirica e spirituale del Male piuttosto che quando decide di affondare i denti del proprio vampiro. Il resto è un cinema di grande eleganza stilistica e raffinatezza, di alto valore produttivo e realizzativo costretto a combattere con un’anima inerme che vaga tra i regni dei morti e dei vivi senza lasciare una grossa traccia di sé.
Guarda la presentazione di Willem Dafoe all’anteprima romana
TITOLO | Nosferatu |
REGIA | Robert Eggers |
ATTORI | Nicholas Hoult, Lily-Rose Depp, Aaron Taylor-Johnson, Willem Dafoe, Bill Skarsgård, Emma Corrin, Ralph Ineson, Simon McBurney, Paul Maynard, Adéla Hesová, Milena Konstantinova, Stacy Thunes |
USCITA | 1 gennaio 2025 |
DISTRIBUZIONE | Universal Pictures Italia |
Tre stelle