Non morirò di fame, recensione: una parabola sullo spreco, non solo alimentare, troppo moralista

Non morirò di fame - Chiara Merulla e Michele Di Mauro (foto La Sarraz Pictures)
Non morirò di fame - Chiara Merulla e Michele Di Mauro (foto La Sarraz Pictures)

La recensione di Non morirò di fame, un film scritto e diretto dal regista televisivo Umberto Spinazzola con protagonista Michele Di Mauro: un’opera lodevole nelle intenzioni ma moralista e piatta nel risultato

Dalla regia di Masterchef Umberto Spinazzola torna al cinema con Non morirò di fame, un film da lui scritto e diretto interpretato da Michele Di Mauro (Call my agent – Italia) e dal grande attore polacco Jerzy Stuhr, che in passato ha spesso collaborato anche con Nanni Moretti. Nonostante la buona volontà e l’intenzione di voler denunciare lo spreco alimentare (e non solo), quella che è rimasta è una pellicola ingenua, narrativamente troppo debole e dall’intento moralizzatore.

Dalla stella alle stalle

Pier (Michele Di Mauro) è uno chef di enorme talento detentore di una stella Michelin, la cui carriera è improvvisamente precipitata a seguito della chiusura del ristorante da lui gestito. Dopo due anni, in seguito alla morte della moglie, torna a Torino per stare vicino alla figlia adolescente Anna (Chiara Merulla) ma vive le sue giornate raccattando degli scarti di cibo fuori dai bidoni e dormendo in giacigli improvvisati, finché non reincontra un suo vecchio amico che gli offre una sistemazione temporanea. Un giorno, fuori da un grosso centro commerciale, si imbatte in Granata (Jerzy Stuhr), un clochard aristocratico con un passato da falsario, grazie al quale deciderà di tornare a cucinare sfruttando le materie prime di scarto dei supermercati e dei ristoranti. Questa sua parabola di rinascita lo aiuterà a recuperare il rapporto complicato con Anna e a trovare l’amore in Ester (Claudia Ferri), la cassiera di un supermercato appassionata di cucina.

Un racconto sullo spreco

Senza girarci troppo attorno, Non morirò di fame avrebbe funzionato molto meglio come cortometraggio perché le pur lodevoli intenzioni si scontrano con una messa in scena troppo inerte e drammaturgicamente piatta. Il regista Umberto Spinazzola ha un curriculum prettamente televisivo, ma ciò che funziona in maniera efficace sul piccolo schermo non funziona allo stesso modo al cinema; l’impressione che questa sua opera seconda lascia è quella di un racconto tirato troppo per le lunghe, in cui i conflitti – che pur ci sono – non hanno sufficiente forza propulsiva per dare respiro alla narrazione e ai personaggi, finendo spesso per girare a vuoto o per trovare soluzioni troppo semplicistiche. L’intuizione di legare il tema dello spreco alla vita del personaggio di Pier, il quale sta letteralmente sprecando il suo talento e la sua vocazione, rimane l’unica cosa degna di nota del film ma purtroppo rimane soltanto un’intuizione perché mai approfondita a dovere.

Non morirò di fame - Jerzy Stuhr (foto La Sarraz Pictures)
Non morirò di fame – Jerzy Stuhr (foto La Sarraz Pictures)

Siamo fatti di ciò che mangiamo

Il problema principale di questo Non morirò di fame risiede però nell’incapacità di saper bilanciare coerentemente dramma e commedia restando sempre indeciso su che direzione prendere e, in questo modo, sacrificando il buon lavoro di Michele Di Mauro e Jerzy Stuhr nei rispettivi panni di Pier e Granata. Un po’ come in una ricetta, in cui è indispensabile conoscere le quantità e le peculiarità di ogni ingrediente, anche in un film il lavora sul genere e sul tono dovrebbe essere sempre a fuoco e ben chiaro sin dal processo di scrittura, ma in questa pellicola si avverte un’indecisione che pervade ogni scelta e che contribuisce a rendere tutto quanto piatto e insapore. Ed è un po’ un peccato perché in un paese come il nostro in cui il cibo è prima di tutto cultura, l’idea di un film che partisse dalla valorizzazione di quest’ultimo per imbastire un discorso più universale sull’importanza del valore di ciò che mangiamo e di ciò che siamo sarebbe stata un’opportunità unica.

Non morirò di fame - Jerzy Stuhr e Michele Di Mauro (foto La Sarraz Pictures)
Non morirò di fame – Jerzy Stuhr e Michele Di Mauro (foto La Sarraz Pictures)

Mai fare la morale

Al cinema, come forse anche nella vita, la lezioncina morale non paga mai. Questo perché la visione di ogni regista o sceneggiatore di un determinato tema non deve essere imposta allo spettatore, ma raccontata attraverso i personaggi, le loro azioni, il loro cambiamento. Non morirò di fame invece procede per dialoghi totalmente privi di sottotesto, accusatori e troppo enfatici nelle loro intenzioni, condendo il tutto con un uso dei flashback fin troppo scolastico (come nelle dissolvenze in bianco che ricordano le peggiori fiction) e una schiera di personaggi minori che poco o nulla aggiungono alla narrazione. Eppure, la mano di Spinazzola si vede soprattutto nelle cene in cui Pier cucina, nella cura formale e nell’amore per un certo taglio di luce o una certa inquadratura; ecco, ci sarebbe piaciuto che la stessa precisione fosse stata applicata a tutti gli elementi del film perché un impiattamento, per quanto stiloso e curato, non fa mai da solo il piatto.

Non morirò di fame - Michele Di Mauro (foto La Sarraz Pictures)
Non morirò di fame – Michele Di Mauro (foto La Sarraz Pictures)

Non morirò di fame. regia di Umberto Spinazzola con Michele Di Mauro, Jerzy Stuhr, Chiara Merulla, Claudia Ferri e Riccardo Lombardo, in uscita nelle sale il 16 febbraio distribuito da La Sarraz Pictures.

VOTO:

Due stelle

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