La nostra recensione di Noi due, road movie asciutto ed emozionante di Nir Bergman, un dramma che riflette con delicatezza di paternità e disturbi dello spettro autistico
È un commovente rapporto padre-figlio quello al centro di Noi due, del regista israeliano Nir Bergman. Selezionato per il Festival di Cannes 2020 e presentato al Toronto International Film Festival il film è un road movie misurato e lineare che riflette con lucida sensibilità sui temi dell’autismo e della paternità. Noi due è un film sul cambiamento necessario e sul dolore della separazione che conquista nella sua sobria tenerezza.

Un padre e un figlio
Aharon (Shai Avivi), ex disegnatore talentuoso, vive a Tel Aviv con suo figlio Uri (Noam Imber), un ventenne affetto da disturbi dello spettro autistico. La loro quotidianità, scandita da una serie di imprescindibili abitudini, subisce uno scossone quando Tamara (Smadi Wolfman), madre di Uri ed ex moglie di Aharon, preme affinché il ragazzo si trasferisca in un istituto specializzato che possa aiutarlo a socializzare e ad aprire i suoi orizzonti. La possibilità di un così radicale cambiamento spaventa tanto Uri quanto Aharon che decide, così, di scappare con il ragazzo e mettersi in viaggio verso gli Stati Uniti.

I segreti della paternità
Basta notare lo scintillio negli occhi di Aharon quando guarda Uri per comprendere quanto viscerale sia l’amore di questo padre per suo figlio. Un amore che ha spinto il disegnatore ad abbandonare totalmente la sua carriera perché potesse prendersi cura a tempo pieno del ragazzo. Un amore che rischia di obnubilare la vista di Aharon e far emergere, nonostante le buone intenzioni, il lato più egoista della sua personalità. Perché non è solo Uri ad aver bisogno del padre, ma è soprattutto l’uomo a non riuscire concepire una vita lontano da suo figlio. L’idea della separazione lo terrorizza: da un lato teme che sradicare forzatamente Uri dalle proprie abitudini possa destabilizzare il ragazzo, dall’altro ha paura della solitudine. Noi due riesce a raccontare la paternità con un garbo che coinvolge, loda l’amore e problematizza le ombre di un rapporto che rifugge da qualunque idealizzazione.

Un dramma asciutto
Senza patetismi, con una lucidità che non smette mai di sprizzare tenerezza, Noi due celebra l’affetto e, allo stesso tempo, si dimostra un esemplare caso di rappresentazione della disabilità. Fuggendo ogni rischio di sovrabbondanza, Nir Bergman punta tutto su una sobrietà compositiva che permette all’anima dei personaggi di manifestarsi sullo schermo. Anche grazie alle misurate interpretazioni degli attori i personaggini guadagnano in complessità e tridimensionalità: Shai Avivi coglie il terrore esistenziale Aharon e, al tempo stesso, restituisce tutto l’incredibile affetto che questi prova per suo figlio; Noam Imber è eccellente nel mettere in scena le sfumature del suo Uri senza mai scadere nell’overacting. È la chimica tra questi due interpreti in cuore emozionale di una pellicola commovente.
Noi due. Regia di Nir Bergman. Con Shai Avivi, Noam Imber, Smadi Wolfman, Efrat Ben-Zur, Amir Feldman, Sharon Zelikovsky, Natalia Faust, Uri Klauzner e Avraham Shalom Levi. Al cinema dal 5 maggio, distribuito da Tucker Films.
3 stelle