Niente di nuovo sul fronte occidentale, recensione del war movie di Netflix plurinominato agli Oscar

Niente di nuovo sul fronte occidentale - Felix Kammerer (foto di Reiner Bajo)
Niente di nuovo sul fronte occidentale - Felix Kammerer (foto di Reiner Bajo)

La recensione di Niente di nuovo sul fronte occidentale, il war movie prodotto da Netflix con Daniel Brühl e tratto dal romanzo di Erich Remarque che ha conquistato 9 nomination agli Oscar

Dopo essersi aggiudicato una nomination ai Golden Globe come miglior film straniero e ben 14 nomination ai Bafta il war movie prodotto da Netflix Niente di nuovo sul fronte occidentale, tratto dall’omonimo romanzo di Erich Remarque, diretto da Edward Berger (The Terror, Your Honor) e interpretato da Daniel Brühl, ottiene altre 9 nomination agli Oscar candidandosi al ruolo di uno dei contendenti più forti della stagione. Un film crudissimo che lascia poco spazio all’immaginazione, ma che rimane anche troppo slegato dai suoi stessi personaggi e incapace di fornire una visione tematica nuova sulla guerra.

L’inferno prima della tregua

1917, fronte occidentale. Sono passati tre anni dall’inizio della Prima guerra mondiale quando il diciassettenne Paul Bäumer (Felix Kammerer) si arruola nell’esercito imperiale tedesco insieme ai suoi compagni di scuola Albert Kropp (Aaron Hilmer), Franz Müller (Moritz Klaus) e Ludwig Behm (Adrian Grünewald). Dopo essere stati dislocati nel nord della Francia, vicino a La Malmaison, fanno amicizia con Stanislao “Kat” Katczinsky (Albrecht Schuch), un soldato più anziano. La loro visione romantica e idealizzata della guerra viene infranta dalla realtà del conflitto di trincea sul fronte occidentale e Ludwig viene ucciso dall’artiglieria la prima notte. Un anno dopo, il 7 novembre 1918, il funzionario tedesco Matthias Erzberger (Daniel Brühl), stanco delle crescenti perdite, si incontra con l’Alto Comando tedesco per convincerlo ad avviare trattative di armistizio con le potenze alleate. Il conflitto franco-tedesco però è quasi ad un punto di svolta, con le forze parigine che stanno sempre di più guadagnando terreno sospinti dagli alleati inglesi, russi e statunitensi; il decidere di firmare o non firmare l’armistizio diventa una questione di vita e di morte e il tempo a disposizione, prima di una possibile disfatta, è sempre più breve.

Niente di nuovo sul fronte occidentale - Daniel Brühl (foto di Reiner Bajo)
Niente di nuovo sul fronte occidentale – Daniel Brühl (foto di Reiner Bajo)

Sulle orme di Spielberg

Un po’ come accadeva nel celeberrimo film di Spielberg ambientato in parte durante il D-Day, anche questo Niente di nuovo sul fronte occidentale si apre con una sequenza di guerra in tempo reale. Volano i proiettili che sibilano minacciosi nell’aria, stramazzano a terra i corpi sgraziati dei giovanissimi soldati al fronte, mentre si può quasi riuscire a percepire l’odore del sangue e della carne straziata che si mischiano al fango. È una sequenza di grande impatto, muscolare e lirica allo stesso tempo ed è anche una sequenza che imposta il tono e le intenzioni del film; non c’è nessuna volontà da parte del regista Edward Berger di rendere la guerra un’esperienza metafisica, ultraterrena o metaforica o peggio ancora di volerla “spettacolarizzare”. Qui il senso ultimo del conflitto è la rappresentazione dell’ossessione dell’uomo per la guerra stessa o della sua incapacità di non esserne attratto in primo luogo. D’altra parte, però, la visione che Berger ha della guerra si esaurisce forse un po’ troppo in quelle stesse sequenze belliche senza riuscire a mostrarcela con uno sguardo, un’angolazione o un’ottica diversi. Berger sembra aver voluto ricevere l’eredità spirituale e filmica dei vari Spielberg, Coppola, Stone, Ėjzenštejn o Kubrick (o dello stesso Mario Monicelli) ma non è in grado gestirla fino in fondo, soprattutto quando si parla di dare densità e spessore ai suoi stessi personaggi.

Niente di nuovo sul fronte occidentale - una scena di guerra (foto di Reiner Bajo)
Niente di nuovo sul fronte occidentale – una scena di guerra (foto di Reiner Bajo)

Fra trincee e armistizi

Dall’altra parte della barricata, e a far da contraltare alle scene più crude e viscerali legate al conflitto, troviamo le stanze dei bottoni in cui il vero esito del conflitto è in discussione. Ed è qui che conosciamo Daniel Brühl e il suo Matthias. Se Paul, Ludwig, Albert e Franz sacrificano la loro tridimensionalità in favore di una raffigurazione più immediata e a contatto con lo spettatore, Matthias è invece un uomo un po’ più stratificato che ripudia la guerra pur considerandola inevitabile e che rappresenta un po’ la figura tematica di riferimento del film. Brühl è sufficientemente bravo nel donargli quella rabbia e quel dolore soffocati, quasi impercettibili, ma anche un temperamento quasi distaccato rispetto alla tragedia bellica. Intendiamoci, in altre mani e con ben altre intenzioni, il suo conflitto interiore sarebbe potuto uscire fuori con molta più intensità e forza poiché Niente di nuovo sul fronte occidentale lavora molto di più su ciò che si vede, che si tocca e che si ascolta rispetto al sottotesto, all’invisibile, all’inespresso. È un’opera realizzata e concepita per essere immediata, per arrivare al bersaglio precisa e veloce come i proiettili sparati verso i cuori di tanti agnelli sacrificali incapaci di comprendere il perché della loro morte ingloriosa. Ed è di questa espressione di insensata crudeltà che il film, talvolta, abusa.

Niente di nuovo sul fronte occidentale - Albrecht Schuch e Felix Kammerer (foto di Reiner Bajo)
Niente di nuovo sul fronte occidentale – Albrecht Schuch e Felix Kammerer (foto di Reiner Bajo)

Un film che rimane nella mente, ma meno nel cuore

Non è comunque un film da buttare o di cui disinteressarsi questo Niente di nuovo sul fronte occidentale, tutt’altro. Rimane un’opera potente, ambiziosa, fieramente antimilitarista ma senza la retorica spicciola di tanto cinema yankee o il didascalismo di certi dialoghi accorati e manipolatori. Una pellicola che fa della sporcizia anche formale, del fango e del sangue uno statement preciso e che ha comunque il merito di far risaltare il dietro le quinte di uno dei più grandi e atroci conflitti della storia. Di far risuonare le parole oltre che le baionette e i cannoni, di far scontrare gli uomini anche su un piano infinitamente più complesso e persino “sanguinario” come quello della diplomazia. Di parlare di potere e della sua tossicità, e di come sia il potere stesso ad osservare al sicuro coloro che muoiono in nome della sua stessa esistenza (come nella scena bella e potente in cui il generale Friedrichs guarda i soldati cadere in battaglia all’interno della sua tenuta ultrasicura). Il risultato è però una certa freddezza nell’esposizione e un distacco emotivo dalla materia narrativa, tanto ineluttabile da una parte quanto poi deleterio dall’altra.

In quasi due ore e mezza di durata Niente di nuovo sul fronte occidentale ci mostra il punto di vista di chi comanda e di chi esegue, di chi vive e di chi muore ma non riesce a trovare un equilibrio narrativo e tematico in grado di giustificare dell tutto questa pur interessante e coraggiosa scelta. Resta comunque un film in grado di catturare i sensi, di farci rabbrividire per quelle povere anime destinate al mattatoio per pagare il prezzo di una guerra atroce che – almeno agli occhi degli uomini di quel tempo – avrebbe dovuto significare la fine di tutti i conflitti una volta per tutte. Un pensiero nobile e ingenuo, idealista e pericoloso come la guerra stessa; perché tutte le guerre partono da principi nobili e dalla voglia di cambiamento, ma finiscono tutte per non cambiare mai nulla.

Niente di nuovo sul fronte occidentale. Regia di Edward Berger con Daniel Brühl, Albrecht Schuch, Felix Kammerer, Moritz Klaus e Aaron Hilmer, disponibile in esclusiva su Netflix.

VOTO:

Tre stelle e mezzo

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