La recensione di Missing, sequel “spirituale” di Searching del 2018: attraverso lo schermo di un computer (ma non solo), seguiamo la disperata ricerca di una figlia della madre scomparsa e la scoperta di un piano diabolico
A cinque anni dalla sorpresa Searching arriva in sala quello che potremmo definire come il suo sequel spirituale, Missing con protagonista la Storm Reid già vista in The Last of Us. Storia, arena, personaggi e attori cambiano ma non cambia il modo in cui vengono raccontati, e cioè attraverso lo schermo di un computer, di un telefono o di altri strumenti tecnologici. Non tutto è perfetto e alle volte la sospensione dell’incredulità deve essere assecondata parecchio, ma il ritmo tiene e la storia è diabolica.
Un viaggio senza ritorno
June (Storm Reid) ha diciotto anni e sta per partire per il college, ma ha ancora un paio di mesi estivi per divertirsi prima del grande salto. Quando sua madre Grace (Nia Long), con la quale è cresciuta dopo la morte prematura di suo padre, decide di partire per la Colombia assieme al suo nuovo compagno Kevin (Ken Leung), June si organizza con la sua migliore amica Veena (Megan Suri) e insieme trascorrono una settimana intera tra feste casalinghe e shopping sfrenato; tutto questo nonostante la migliore amica di Grace, Heather (Amy Landecker), sia stata incaricata di tenere d’occhio June. Passata una settimana, però, né Grace e neanche Kevin tornano dalla Colombia e June, presa dal panico, comincia ad indagare tramite il suo pc per trovare delle risposte a questa scomparsa inspiegabile; ad aiutarla ci saranno Javier (Joaquim de Almeida), un colombiano contattato su Internet, ed Elijah (Daniel Henney), un funzionario dell’ambasciata americana in Colombia. June non lo so ancora, ma la sparizione di sua madre è legata ad una verità terribile e inconfessabile che rischia di distruggere la sua vita.

Thriller ad alta velocità
Quello diretto da Nick Johnson e Will Merrick altro non è che un ribaltamento di prospettiva del primo film Searching, in cui era un padre a cercare la figlia scomparsa. Come il film precedente anche Missing si sviluppa in orizzontalità, sfruttando le pochissime location (quasi tutte interne) e le dinamiche che ivi si instaurano per accentuare il senso di soffocamento e di pressione a cui la protagonista June è sottoposta. È una pellicola che lavora prevalentemente sul montaggio questa, sia visivo che sonoro, perché è attraverso il linguaggio delle pagine web, delle chat che si aprono e si chiudono, dei documenti video e delle telefonate che l’orrore può filtrare. A differenza però dei vari Unfriended o Friend Request, per citare dei titoli con una struttura affine, in Missing la risoluzione del mistero non ha nulla a che vedere col soprannaturale ma è invece frutto di una serie di bugie, della manipolazione della verità e i tanti, troppi non detti. Missing è quindi un frullatore ad immersione di informazioni, fatti, date, indizi e sospetti che vengono letteralmente scaraventati addosso allo spettatore con una velocità a tratti disarmante, ma che miracolosamente riescono a non stordire e a mantenere alta la tensione e sufficientemente chiaro il bandolo della matassa.

Genitori e figli
Il cuore tematico ed emotivo di Missing però sta tutto nel rapporto tanto amorevole quanto tormentato tra June e sua madre Grace. Pur non riuscendo ad esplorare totalmente il loro rapporto, anche per una fisiologica mancanza di tempo vista la natura fortemente high concept del soggetto, la pellicola di Nick Johnson e Will Merrick fa della famiglia un fulcro tematico prima e narrativo poi fondamentale, poiché è da quella che tutte le dinamiche del film prima partono e poi si sviluppano. Anche un personaggio secondario come quello di Javier, che poi si rivelerà molto utile nel corso dell’ “indagine”, funge da elemento tematico ricordando a June il valore della sua famiglia proprio nel momento in cui ne ha più bisogno, ricompattando la situazione e permettendo alla storia di proseguire nella sua corsa. La natura da film di serie B di Missing non gli permette ovviamente di avere quel respiro drammaturgico tale da rendere particolarmente pregnante un rapporto che è pure al centro della storia, ma la volontà del film di voler trovare una quadra fatta di rapporti umani in mezzo a tutto quel digitale è quantomeno degna di attenzione e può aiutare i non nativi digitali ad entrare meglio nel film, anche a livello emotivo.

L’era digitale
Missing è quindi un film concepito per un pubblico molto preciso che si rifà però a degli stilemi di cinema più classico, in un curioso parallelismo tra digitale nella forma e analogico nel contenuto. Quello imbastito dai due registi (anche sceneggiatori da un soggetto di Sev Ohanian e Aneesh Chaganty) è infatti un vero e proprio thriller ad orologeria che richiede una buona dose di sospensione dell’incredulità per essere goduto appieno, ma che fa della protagonista nativa digitale e della sua capacità di comprendere il mezzo e il mondo digitali un fattore contemporaneo in grado di distinguerlo da tanti altri esempi dello stesso genere. Poi, certo, si potrebbe anche pensare alla questione della pericolosità dei social media, della privacy compromessa, del valore reale delle relazioni virtuali o del labilissimo confine tra verità e menzogna nell’era delle fake news, ma l’impressione è che Missing non voglia essere un film di denuncia quanto piuttosto un escapismo dalla storia diabolica e perciò divertente. Probabilmente nelle mani di un Hitchcock sarebbe venuta fuori una storia più raffinata e più attenta ai personaggi, oltre che meno melensa in certi passaggi, però chi scrive ritiene che non gli sarebbe dispiaciuta affatto e che anche lui si sarebbe divertito.
Missing. Regia di Nick Johnson e Will Merrick con Storm Reid, Nia Long, Ken Leung, Joaquim de Almeida, Daniel Henney, Amy Landecker e Megan Suri, in uscita il 9 marzo nelle sale distribuito da Sony Pictures Italia.
Tre stelle e mezzo