Ecco cosa ha raccontato Michele Bravi nella conferenza stampa di presentazione del suo nuovo concept album dal titolo Tu cosa vedi quando chiudi gli occhi
Fuori venerdì 12 aprile il nuovo concept album di Michele Bravi dal titolo Tu cosa vedi quando chiudi gli occhi. Il cantautore umbro racconta chi lo abbia ispirato nel trovare un filo conduttore ai brani: «Ho riscoperto un autore, Oliver Sacks, un neurologo-psichatra che mi ha acceso qualcosa, nei suoi libri analizza cosa significa avere un disturbo della percezione.
In “Musicofilia” parla di disturbo del suono, ritrovo un dizionario medico in cui trovo la definizione di palinopxia, quando si chiude velocemente la palpebra si imprime per qualche secondo dentro di sé e poi sfuma progressivamente, lui riflette sulla creatività e sul suo senso.
L’arte è il tentativo di riproporre il reale, da qua decido che sarebbe stato il concept della scrittura del disco, ho parlato di canzoni come un modo per cristallizzare la vita, nella copertina abbiamo omaggiato il figlio di Freud che era un pittore. Sono partito dalla letteratura usando tante metafore e sinestesie, con quell’approccio ho costruito i brani, dalla domanda impossibile: Immagina cosa succederebbe se. La parola ha un potere evocativo e la metafora crea magie, apre scenari».
Michele riflette sulla potenza della vista e della percezione: «Avevo difficoltà a trovare un titolo, già era una novità per me partire da un saggio piuttosto che da una storia, quando stavo preparando l’ultimo spettacolo portato al Castello Sforzesco di Milano la scorsa estate, da una cosa scientifica sono passato a qualcosa di astratto e immaginifico. Poco dopo ho ritrovato in un quaderno in cui appuntavo ogni tanto qualcosa e ho ritrovato la frase scelta poi come titolo, l’ho percepito come un segno e lo ritenevo perfetto.
Quando devi conoscere qualcuno di solito chiedi di raccontare la propria storia, questo lo vedo molto sintetico, dovremmo chiedere cosa hai visto dentro di te quando hai vissuto un determinato evento, gli occhi di base sono il ponte di comunicazione tra ciò che abbiamo dentro e ciò che abbiamo fuori, celebro la natura scenica e melodica del nostro interiore»
Un album che ha tre sezioni marcate, che Bravi ci spiega così: «Il disco è diviso in tre parti. La prima si intitola “Lo sguardo”, rifletto su ciò che vediamo degli altri, ti metti a fianco a qualcuno e con lei discuti su ciò che stiamo vivendo. Segue “Immagine”, la parte più carnale ed erotica, l’occhio si sofferma sullo strato epidermico, l’amore è descritto con sottomissione, ironia.
Nell’ultima parte “L’iride” è più cinematografica, si apre con un intro lunghissimo e in più spiego il concept e parte con “L’infanzia degli occhi”, rifletto su quello che cerchiamo di nascondere agli altri e si conclude con un valzer».

Un disco molto intimo e personale ma con alcune collaborazioni importanti: «Ho curato gli arrangiamenti ma mi sono affidato alla produzione di artisti che sono più vicini a un mondo urban, avevo bisogno di trovare una dimensione cinematografica, mi sono arricchito e sono contento che abbiano avuto rispetto della mia cifra stilistica. Quando stavo stilando la scaletta mi sono ricordato di un brano che avevo scritto insieme a Giuliano Sangiorgi, ci siamo confrontati e abbiamo ritenuto che fosse molto adatta.
Le cose più estreme che ho sempre ricevuto l’accoglienza migliore, “Mantieni il bacio” e “Il mio diario degli errori” erano state bocciate come singoli, ritenute troppo complicate per il grande pubblico. Ci sono stati alcuni incontri che artisticamente non hanno portato a niente di fruibile, è rimasta la stima, non ascolto dischi solo di questa tipologia, per esempio sono in fissa con l’ultimo lavoro di Rhove».
Nel disco anche alcuni momenti in cui si prende gioco di se stesso: «Mi sono scritto un mantra su una lavagnetta in cucina mentre stavo scrivendo il disco, quello di essere un po’ poetessa, un po’ pornostar. Umorismo italiano scherza sul fatto che i fan mi dicono che faccio piangere e basta. Se sento una pernacchia rido, sono la prima vittima di quella comicità per cui siamo diventati una caricatura. Di me percepiscono attraverso le canzoni sono l’alone malinconico».
Reduce dalla fortunata partecipazione a Finalmente l’alba, film di Saverio Costanzo: «La storia e la narrazione hanno un fascino incredibile, la mia esperienza al cinema ha collezionato solo due film, mi piacerebbe continuare anche se il linguaggio musicale resta prioritario perché sono più libero, il cinema mi sta aiutando a lavorare in squadra, ad entrare nella scrittura di qualcun altro, è stato un lungo esercizio empatico. Di questi due film condividevo il valore artistico, non escludo possa essere solo un’inizio».

Si sofferma poi sulla situazione del mercato discografico, sulle critiche ricevute e sul suo ruolo come giudice ad Amici: «Quando si parla di un disco ci si sofferma sul valore economico e commerciale, non siamo solo un prodotto ma la sua vita condensata al suo interno. Un artista sente parlare di se stesso come una merce, mi davano del fallito a 18 anni perché il disco non aveva venduto. I social ci hanno avvicinato alla parola perché scriviamo tantissimo, l’educazione nello scegliere i vocaboli e i toni giusti è fondamentale.
L’esposizione era inferiore rispetto ad oggi, quando sono stato chiamato ad Amici a giudicare i ragazzi ho cercato di dimostrare che sono lì come ascoltatore, di dare dei mezzi per veicolare meglio il tuo messaggio, il fattore anagrafico incide, prendevo le cose più sul personale, difficile spiegare come una passione sia trattata da un giorno a un altro come una professione, non devi perdere autenticità e il giusto brio.
Oggi partecipano ai talent ragazzi molto più pronti, adesso scrivere con un pc, realizzare un provino è di una facilità estrema, arrivano con una chiarezza di scrittura, io dovevo ancora raccontartela nella mente, c’è una direzione nitida che ha il contraltare il fatto che devi comunque ricevere consigli che ti saranno utili e non sempre sono propensi a farli propri».
Altri dettagli sul disco e sulla sua possibile proposizione live in teatro a Milano e a Roma il mese prossimo: «Come colore scelgo il bianco, il suono è rarefatto, gli arrangiamenti erano più pomposi e ritmici all’inizio, ho lasciato che le persone se lo potessero immaginare, come se fosse una tela da dipingere a proprio piacimento. Negli ultimi anni dal vivo ho portato tanta prosa, questo disco è già molto narrativo, ho due piani, le canzoni saranno arrangiate per il live».
Sul feat con Carla Bruni racconta: «“Malumore francese” l’ho scritta pensando a Carla Bruni, ha una voce soffusa che mi ha sempre trasmesso fascino, erotica ed elegante allo stesso modo, le mando la canzone, lei si innamora subito, mi chiama e il giorno dopo eravamo a Milano a registrarla. Mi ha colpito molto la sua generosità, è autrice e mi ha chiesto di essere diretta. Non ho mai conosciuto Monica Bellucci, originaria come me di Città di Castello, mi piacerebbe, ho riconquistato negli ultimi anni un grande attaccamento all’Umbria, prima la sentivo stretta».
