Massimo Zamboni dedica a Pasolini il nuovo album P.P.P Profezia è Predire il Presente

Massimo Zamboni - foto di Andrea Dani
Massimo Zamboni - foto di Andrea Dani

P.P.P. Profezia è Predire il Presente è il nuovo album di Massimo Zamboni, tredici tracce che ricostruiscono la storia di Pier Paolo Pasolini

Più che un disco, un’opera letteraria trasposta in musica. Più che canzoni, capitoli che ripercorrono e ricostruiscono una storia unica e controversa, preziosa e drammatica. Quella di uno dei maggiori intellettuali italiani di sempre, Pier Paolo Pasolini. P.P.P. Profezia è Predire il Presente è il nuovo album di Massimo Zamboni in uscita venerdì 31 gennaio per Le Vele – Egea Records in uno speciale CD con digipack formato DVD in cui è inserito un libretto di 32 pagine.

Un disco molteplice e ricco di sfaccettature, così come lo sono l’anima e il pensiero di Pier Paolo Pasolini, a cui è dedicato nel cinquantesimo anniversario della sua uccisione. Un album pervaso da quel dolore civico profondo che accompagna incessantemente il percorso di P.P.P. come uomo e come intellettuale che ha saputo profetizzare e percepire la trasformazione drammatica e lacerante dell’Italia.

Nato dall’omonimo progetto di reading-concerto che alterna canzoni, letture tratte da Pasolini e testi scritti da Zamboni, P.P.P. Profezia è Predire il Presente si compone di tredici tracce: canti popolari, un omaggio a Giovanna Marini, brani estratti dal lungo percorso musicale di Zamboni e tre inediti (La rabbia e l’hashish, Cantico cristiano e Tu muori) che conducono lungo un percorso sempre più scuro, quasi desolato, per accompagnare il pensiero e la fine del pensare di Pasolini.

Un Pasolini multiforme, inafferrabile, che ha affrontato inimicizie insanabili, disumane, e un isolamento feroce altrettanto. Eppure, ancora oggi, a 50 anni dalla sua uccisione, non possiamo prescindere dalla sua intelligenza, da quel suo sguardo che taglia come un laser ed è capace di offrire squarci di una compassione profondissima, conclude Zamboni.

Una narrazione a tema che parte dal suo Friuli, dalla lingua che Pasolini ha lottato per portare a una dignità cancellata dal moderno, passando per lo sgomento verso la cecità di tutti, ponendo una speranza pre-politica nella capacità rigenerativa di un popolo che ormai non si può più chiamare tale. Un entusiasmo per la rivoluzione portoghese, tra gli ultimi sussulti positivi di un continente, e poi il declino, il cadere, il rimpicciolirsi.

Un innamoramento finale per la sconfitta, fino a quel 2 novembre 1975 dove la notte di Ostia schianta definitivamente ciò che tanti avrebbero voluto veder schiantare: una persona non grata, da far tacere, ma la cui parola è oggi più presente e necessaria che mai. Un pensiero che, nonostante i plurimi tentativi, non è stato schiacciato da chi lo avrebbe voluto ridurre, impoverire e semplificare. E che si presenta oggi più attuale che mai.

Il racconto delle tracce

Il disco si apre con E jo çanti, una tradizionale villotta friulana recitata da Carlotta Del Bianco, tratta dal Canzoniere Italiano, la poesia dell’altra Italia a cura di Pasolini: una dichiarazione di amore per un esprimersi popolare che ha già un piede nell’estinzione. Lo segue un solenne e potente inedito, tra recitato e melodia: La rabbia e l’hashish, segnale di uno sgomento non solo pasoliniano per l’annebbiamento collettivo che ci ha condotti alla disastrosa situazione odierna. Un canto di dolore per un Paese bellissimo e depredato, spogliato e pianto, seppellito ancora in vita.

Canto degli sciagurati è il canto dell’insurrezione di quel “popolo cane” suscitato da Pasolini, feroce, vitale, arcaico, sempre vinto, mai sconfitto. Una ballata popolare cadenzata da un coro a due voci che dà voce a una istanza prepolitica, disorganizzata e compulsiva. Ora ancora è una risposta in musica a un comizio del 1954, quando in una Roma silenziosa Pasolini incontra un corteo nel cui mezzo brilla “la fiammella fascista”. Come allora, ci si interroga sul restare o sull’andarsene una volta per tutte. Vince il radicamento, ma esprimendo tutta la fatica e l’asprezza a cui questo Paese obbliga i suoi cittadini.

Grandola vila morena di Josè Afonso è invece l’inno del 25 aprile portoghese, ossia la rivoluzione dei garofani del 1974, una marcia con chitarra acustica e fisarmonica che venne trasmessa alla mezzanotte del 24 aprile da Radio Renascença di Lisbona come segnale convenuto per l’insurrezione di un esercito per una volta schierato dalla parte del popolo. Quando con la caduta della dittatura di Salazar sembrava che la vecchia e marcescente Europa dei regimi autoritari stesse definitivamente tramontando. Previsione entusiasmante, e quanto mai errata.

Vorremmo esserci canta il bisogno di essere presenti e sentirci utili, di partecipare in prima persona alla costruzione del domani. Condotti da letture allucinate, come gli Scritti corsari di Pasolini, su strade provinciali, negli amori degli altri, come esuli spaziali, nelle felicità e soprattutto nei guai collettivi. Sorella Sconfitta, la canzone con cui Zamboni ha riavviato la sua vita musicale subito dopo la chiusura con CSI, forse il brano di maggior contatto con la poetica pasoliniana. Una canzone che riflette sul valore della sconfitta come comune denominatore tra gli esseri umani. Il punto da cui rialzarsi, lo stimolo per un umanesimo che il mondo nuovo vorrebbe cancellare tra deliri scientisti e meccanicismi della tecnica vittoriosa.

Fermamente collettivamente rispolvera una parola desueta: compagni, o forse “compagni non compagni, ombre di compagni” come scriveva Pasolini; la consapevolezza della caduta, dove tutto ciò che era nostro sembra ritrarsi. E poi Cantico cristiano, brano inedito espressamente dedicato a Pasolini in cui, tra arpeggi di chitarra in forma di spiritual delicato e malinconico, affiorano le tematiche del suo Vangelo secondo Matteo.

Spazio a seguire alla fusione di due grandi canzoni di Giovanna Marini, Lamento per la morte di Pasolini e Beati noi, tratte dal suo album I treni per Reggio Calabria. Un lamento funebre e popolare, un rintoccare di ora in ora sempre più funesto, sempre più gonfio della sua scomparsa che si scandisce ancora maggiormente in Tu muori, terzo e ultimo inedito dell’album. Una canzone dallo sguardo chirurgico e gelido, che batte i minuti subito dopo lo schianto, al principio dello scomparire. Una freddezza clinica e insostenibile che esplode nella reprise del Lamento per la morte di Pasolini, dove si deve constatare che ora egli non può più parlare.

Infine, Persona non grata: la narrazione è conclusa, la persona non grata non esiste più, e ci lascia con un ultimo avvertimento: “Siamo tutti in pericolo”. Queste sono le ultime parole pubbliche di Pasolini, una profezia inascoltata e pregiudicata, temuta e ridotta alla completa solitudine. Che le chitarre urlino.

Massimo Zamboni - cover P.P.P. Profezia è Predire il Presente
Massimo Zamboni – cover P.P.P. Profezia è Predire il Presente

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