La nostra recensione di Love: a un mese dall’uscita di Dreams arriva il nuovo film della trilogia della relazioni che riflette sui rapporti amorosi, firmato dal norvegese Dag Johan Haugerud e applaudito a Venezia 81
Love è il secondo capitolo della trilogia dedicata alle relazioni sentimentali e sessuali scritta e diretta da Dag Johan Haugerud, uno dei nomi più significativi del cinema norvegese contemporaneo. Dopo Dreams, il film sulla scoperta del primo amore e della sessualità, e prima di Sex, che affronta la tematica delle fantasie omosessuali tra uomini sposati, Love guida lo spettatore in un racconto più adulto e riflessivo, ambientato in una Oslo sospesa tra luci notturne e verità scomode.
Il film è stato presentato in anteprima mondiale alla Mostra del Cinema di Venezia 2024 – ricevendo il Premio Bisato d’Oro – e distribuito in Italia da Wanted Cinema. Interpretato da Andrea Bræin Hovig nel ruolo della protagonista Marianne e da Tayo Cittadella Jacobsen nel ruolo di Tor, l’opera si interroga su cosa significhi amare senza aderire alle convenzioni, aprendo una conversazione profonda sulla libertà emotiva e sessuale.

Incontri casuali
Marianne (Andrea Bræin Hovig) è un medico urologo dalla visione razionale e abituata ad analizzare la vita con lucidità, mentre Tor (Tayo Cittadella Jacobsen) è un infermiere dal temperamento empatico ed è abituato ad osservare le persone con curiosità e indulgenza. I due si incontrano sul luogo di lavoro in ospedale, ma la loro amicizia si consolida fuori dall’ambiente professionale, attraverso dialoghi sinceri e spiazzanti. Entrambi sono delusi dalle relazioni tradizionali e si scoprono uniti dalla stessa esigenza, ovvero vivere rapporti autentici e liberi da ruoli prestabiliti.
Le loro storie si incrociano in modo inatteso una sera sul traghetto che attraversa il porto di Oslo: lui le racconta delle sue notti trascorse in cerca di connessioni con altri uomini, mentre lei si confida su un appuntamento che spera possa portarle una relazione stabile. Da qui inizia un confronto serrato e delicato, che sfida le certezze di entrambi.

Un confronto che smonta i modelli sociali
Se in Dreams l’intimità si costruiva attraverso la voce interiore e il sogno, Love si affida interamente al dialogo tra i due protagonisti. I personaggi rivelano e nascondono, avanzano e si ritraggono, mostrano solo ciò che sono disposti a dire in base all’interlocutore. Non c’è un punto di vista onnisciente e tutto passa attraverso il filtro delle parole e dei silenzi. Questo rende il film più sfaccettato ma anche meno immediato nell’instaurare un legame empatico con lo spettatore.
L’idea di relazione convenzionale viene smontata pezzo per pezzo e la famiglia come nucleo normativo viene messa in discussione. Una figura emblematica in questo senso è Heidi (Marte Engebrigtsen), amica di Marianne, che rappresenta la voce critica della società, pronta a giudicare tutto ciò che esce dal binario della normalità. Questo confronto porta la protagonista a difendere la propria libertà sessuale ed emotiva, come se ci fosse qualcosa di sbagliato. In questo senso, Love è un film politico che non diventa mai didascalico.

Oslo come città interiore
La capitale norvegese diventa personaggio essa stessa, osservata da prospettive insolite e quasi magiche. Le riprese aeree della città vista dal mare, soprattutto nelle ore notturne, restituiscono una Oslo calda, avvolgente e ben distante dall’immaginario nordico. La fotografia firmata da Cecilie Semec utilizza toni dorati e riflessi acquatici per trasportare in uno spazio mentale più che fisico. La colonna sonora di Peder Kjellsby accompagna le immagini con note dilatate, quasi oniriche, che contribuiscono a creare un ritmo sospeso. Si ha spesso l’impressione che il tempo si fermi e che la vita possa essere osservata da lontano, come in una bolla. Un effetto che valorizza le emozioni, ma che rischia anche di appesantire la visione.
Particolarmente significative sono le sequenze ambientate sul traghetto che collega i quartieri della città, un luogo sospeso tra acqua e cielo in cui le barriere sociali sembrano dissolversi. È proprio lì che Marianne e Tor si ritrovano per confidarsi, ma è anche il luogo dove si consumano incontri fugaci e dialoghi inattesi con sconosciuti, capaci di arricchire la loro visione del mondo. Il traghetto diventa così simbolo di transizione e scoperta, uno spazio intimo e inaspettato dove ogni traversata rappresenta l’occasione per aprirsi all’altro e accogliere nuove prospettive, anche solo per la durata di una corsa notturna.

La misura dell’intimità
Love è un film carico di riflessioni e significati, che si distingue per la qualità dei dialoghi e l’originalità della scrittura. Il confronto tra i protagonisti porta alla luce temi complessi legati alla sessualità, all’identità e alla libertà emotiva, e offre spunti preziosi su come costruire relazioni autentiche al di fuori delle convenzioni. Tuttavia, è inevitabile paragonarlo a Dreams, una pellicola in grado di offrire un’esperienza più intensa e coinvolgente. Lì, l’introspezione profonda dei personaggi permetteva allo spettatore di entrare nella loro mente, osservandone i pensieri più intimi.
In Love tutto si gioca invece nel dialogo e nell’interazione con l’altro, e ciò che emerge è spesso una versione sfumata o strategica del sé, mai completamente svelata. Questo rende più difficile stabilire un legame emotivo profondo con i protagonisti, che restano in parte opachi. A ciò si aggiunge un ritmo complessivamente lento e un montaggio che, seppur coerente con il tono riflessivo del film, rischia di appesantire la visione portando lo spettatore a chiedersi quanto manchi alla fine. Nel complesso, si tratta di un’opera ben costruita, che prosegue con coerenza tematica la trilogia delle relazioni, ma che riesce a lasciare un segno meno profondo rispetto al capitolo precedente.
TITOLO | Love |
REGIA | Dag Johan Haugerud |
ATTORI | Tayo Cittadella Jacobsen, Andrea Bræin Hovig, Lars Jacob Holm, Thomas Gullestad, Marte Engebrigtsen |
USCITA | 17 aprile 2025 |
DISTRIBUZIONE | Wanted Cinema |
3 stelle