Le otto montagne, recensione: Alessandro Borghi e Luca Marinelli per un’amicizia che supera il tempo e le altezze

Le otto montagne - Alessandro Borghi e Luca Marinelli (foto Alberto Novelli)
Le otto montagne - Alessandro Borghi e Luca Marinelli (foto Alberto Novelli)

La recensione de Le otto montagne, film vincitore del Premio della Giuria a Cannes 2022 tratto dal romanzo di Paolo Cognetti: Alessandro Borghi e Luca Marinelli in una storia sull’amicizia, la natura e la paternità

Dopo essersi aggiudicato il prestigioso Premio della Giuria al Festival di Cannes di quest’anno e tratto dall’omonimo romanzo di Paolo Cognetti vincitore del Premio Strega 2017, Le otto montagne arriva finalmente in sala diretto dal duo di registi Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, già nominati agli Oscar per Alabama Monroe. Alessandro Borghi e Luca Marinelli danno vita ad una storia di amicizia lunga più di trent’anni tra le montagne di due continenti, cercando di sopravvivergli.

Tra le Alpi e l’Himalaya

Pietro (Luca Marinelli da adulto) e Bruno (Alessandro Borghi da adulto) si incontrano per la prima volta ad undici anni. Pietro viene da Torino, è figlio di un ingegnere di nome Giovanni (Filippo Timi) che ama la montagna e ben presto si fa contagiare anche lui dalla passione del padre, pur essendo in rapporti burrascosi con la madre Francesca (Elena Lietti). Bruno invece è figlio della montagna, anche se suo padre dalla montagna è scappato via per trovare lavoro in città come muratore. Le prime estati trascorrono serene e i due stringono un fortissimo legame d’amicizia, ma tutto cambia quando Bruno decide di seguire il padre nel suo lavoro da muratore portando i due amici ad una separazione improvvisa. Un tragico avvenimento li costringerà a riunirsi anni dopo ma quando Bruno si innamorerà di Lara (Elisabetta Mazzullo), amica di Pietro, e con lei avrà una figlia la loro amicizia verrà messa di nuovo a dura prova dalla forza della montagna e della vita. Tra le cime della Val d’Aosta e quelle del Nepal i due saranno chiamati ad affrontare però il loro nemico più insidioso: sé stessi.

Le otto montagne - Luca Marinelli (foto Alberto Novelli)
Le otto montagne – Luca Marinelli (foto Alberto Novelli)

Rinnovare un’amicizia

Il tema de Le otto montagne ha a che vedere con l’amicizia e con il modo in quest’ultima può cambiare, sfiorire, rinforzarsi o evolvere nell’arco di quasi tre decenni. Quello che si instaura tra Pietro e Bruno è infatti un sentimento quasi passionale, di necessità e rifiuto allo stesso tempo, di attrazione e repulsione insieme. Un po’ come il sentimento che entrambi provano per la montagna, qui rappresentata come un’entità distante e più grande di tutto il resto, il rapporto tra i due viene sviscerato letteralmente attraverso continui riavvicinamenti e allontanamenti sfruttando lo spazio infinito delle grandi vallate ma anche quello della distanza geografica che li separa. La loro diversità nei caratteri e nell’atteggiamento verso la vita li porta sì a compiere scelte diverse e all’avere percorsi diversi, ma anche a volersi ritrovare sempre. Pietro e Bruno sono in qualche modo due facce della stessa medaglia, le due metà della mela: il primo è un girovago, un eterno cercatore che non si accontenta mai dello scalare una vetta perché vorrebbe scalarle tutte, il secondo è un testardo sincero e generoso che ama e odia allo stesso tempo la montagna a cui donerà tutta la sua vita. Era destino quindi che si incontrassero, ed è nelle pieghe dei loro silenzi che il film riesce a fare davvero breccia; quando si guardano, si sorridono, si abbracciano o si separano per l’ennesima volta.

Le otto montagne - Elisabetta Mazzullo e Luca Marinelli (foto Alberto Novelli)
Le otto montagne – Elisabetta Mazzullo e Luca Marinelli (foto Alberto Novelli)

Un racconto quasi letterario

Quando si narra di quegli interminati spazi e sovrumani silenzi di leopardiana memoria e lo si fa attraverso un’arte, come quella cinematografica, il cui fulcro è l’immagine e non la parola bisognerebbe saperle dosare, le parole. Le otto montagne sceglie invece la via della verbosità, con una serie di monologhi fuoricampo del personaggio di Pietro che aprono, accompagnano e chiudono il film. È una scelta questa che se da un parte ci aiuta a comprendere la psicologia di Pietro, dall’altra toglie forza al potere del racconto visivo perché la fa assurgere a semplice appendice di ciò di cui si parla piuttosto che nucleo fondante della narrazione. E in una pellicola, come questa, che dovrebbe essere costruita molto più sugli spazi e sui silenzi questa volontà di raccontare e di non mostrare stona un po’ con il contesto dell’arena e dei suoi personaggi . Certo, alcuni voiceover sono propedeutici nel delineare un quadro più chiaro dei conflitti interiori sia di Bruno che soprattutto di Pietro, ma Le otto montagne abbraccia totalmente la sua natura letteraria cedendo a tratti quella squisitamente cinematografica, come nel rapporto tra Bruno e la moglie Lara fatto di litigate furiose e non detti lasciati tristemente detti. Per fortuna, però, ci pensano la fotografia di Ruben Impens, alcuni campi lunghissimi e delle carrellate in salita a restituire (in parte) un po’ di quella maestosità persa con le parole.

Le otto montagne - Luca Marinelli e Alessandro Borghi (foto Alberto Novelli)
Le otto montagne – Luca Marinelli e Alessandro Borghi (foto Alberto Novelli)

L’importanza del respiro

La scelta dei due registi Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch di utilizzare il formato 4:3 invece di un più classico formato panoramico è tanto interessante quanto, a parere di chi scrive, inopportuna. Se da un lato lo schiacciamento dell’inquadratura rende i personaggi del film più vicini e aumenta il senso dell’altezza e della verticalità delle cime impervie e maestose, dall’altro toglie respiro al film e schiaccia tutti i personaggi all’interno di un’inquadratura che contrasta con la vastità dei paesaggi e dei campi lunghissimi stessi. Nonostante infatti l’uso di droni, riprese aeree, panoramiche dal basso verso l’alto e movimenti di macchina ad “inseguire” i propri personaggi, sono le inquadrature fisse a prevalere e a regalare alla pellicola un senso di staticità e immobilità che in qualche modo si rifà a quello delle montagne stesse. La sensazione è quella di un film potente ma bloccato in sé stesso che nel terzo atto si divide tra Italia e Nepal senza una vera soluzione di continuità, rinunciando persino in gran parte all’esplorazione e alla descrizione dell’arena nepalese.

Le otto montagne - Alessandro Borghi (foto Alberto Novelli)
Le otto montagne – Alessandro Borghi (foto Alberto Novelli)

Quello de Le otto montagne è un viaggio all’interno di un’amicizia, del senso della paternità sia come figli che come genitori e del rapporto tra uomo e natura. In una delle scene più potenti del film è un dialogo tra Bruno e uno degli amici di Pietro a squarciare il velo dell’ipocrisia e dell’illusione che l’uomo comune possiede nei confronti di quella cosa astratta chiamata natura; una visione distorta la nostra, pregna di una superficialità e di un’arroganza insopportabili ma anche di un’incapacità di cogliere le diverse sfumature del mondo che ci circonda. E del resto come possiamo sperare di comprendere il percorso di una roccia, di uno stelo d’erba, di uno stambecco in cima ad un tetto se non siamo neanche capaci di capirci tra di noi, tra amici, tra padri e figli? Ecco, forse è in questa chiave che Le otto montagne ha davvero qualcosa da dire. Perché in fondo l’amicizia, l’amore per la montagna o per i propri figli e il desiderio di perdonare nascono anche dalla comprensione dell’altro; che sia in una splendida giornata di primavera o su una gelata con ai piedi un paio di sci l’importante è avvicinarsi, scegliersi, condividere un momento o una vita intera.

Le otto montagne. Regia di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch con Alessandro Borghi, Luca Marinelli, Filippo Timi, Elena Liotti ed Elisabetta Mazzullo, in uscita oggi 22 dicembre nelle sale distribuito da Vision Distribution.

VOTO:

Tre stelle

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