La recensione de La prima regola, un dramma intenso ambientato in una scuola superiore di periferia, con Marius Bizau professore di sostegno e la partecipazione straordinaria di Darko Peric
Siamo molto lontani dalla “scuola” di Daniele Luchetti, o forse non poi così tanto. La prima regola, diretto dal regista Massimiliano D’EPiro (Polvere) e già presentato in anteprima al Festival del Cinema Europeo di Lecce, è un dramma corale in cui un professore dovrà cercare disperatamente di salvare il futuro di sei giovani studenti, mentre al di là del vetro gli scontri tra migranti e manifestanti italiani si fanno sempre più infuocati in una lotta sociale che non sembra avere fine.
Nessuno tocca nessuno
È questa la prima regola, quella del titolo, che Nicolas (Andrea Fuorto) spiega al giovane professore di storia Gabriele (Marius Bizau) appena arrivato allo “zoo”, il centro di accoglienza per i migranti e i ragazzi sbandati. Gabriele è bosniaco, reduce anche lui da un passato fatto di violenza e sopraffazione, ma ha scelto di diventare un professore perché crede fermamente nella sua missione: quella di offrire ai suoi ragazzi uno strumento per lottare contro il potere, contro l’ignoranza e il becero populismo e farli avvicinare al dialogo e alla comprensione reciproca. Grazie alla complicità di un bidello (Dark Peric) riuscirà ad avvicinarsi sempre di più a questi ragazzi in cerca di un mentore, riuscendo anche a sovrastare il pessimismo e il menefreghismo del preside (Fabrizio Ferracane) mentre cercherà di stemperare l’atteggiamento violento e provocatorio di Nicolas stesso. Davanti a lui sei studenti in cerca di un futuro: oltre a Nicolas ci sono Talib (Haroun Fall), Maisa (Ileana D’Ambra), Vasile (Luca Chikovani), Petra (Cecilia Montaruli) e Arianna (Antonia Fotaras), mentre fuori i continui conflitti tra la comunità dei migranti e quella locale rischiano di scatenare una vera e propria guerra.

La necessità di una scala
“Con loro non serve fargli la guerra, serve una scala”. È questo il primo consiglio che il bidello dà a Gabriele, quando il giovane professore arriva allo zoo. Un consiglio che racchiude in sé non solo il tema del film, quello della ricerca dell’ascolto e del dialogo come risoluzione dei conflitti, ma anche parte della risoluzione narrativa stessa. La prima regola è infatti un’opera che gioca sui contrasti, tra momenti di forte violenza estemporanea e situazioni di apertura più introspettive in cui le idee, le posizioni e le visioni sembrano quasi finalmente voler accennare un avvicinamento. L’arena che il film di D’Epiro racconta è infatti un crocevia di etnie, culture, diversi background sociali che però confluiscono tutti nell’essere ai margini della società, nel dare voce agli ultimi, ai dimenticati, al popolo stanco di essere invaso e a quello che si sente invece invaso. Il rapporto che Gabriele instaura coi propri alunni diventa quindi la manifestazione di una figura di potere che cerca gli esclusi, che non vuole abbandonarli a se stessi e che, memore del dolore e della fame, vorrebbe poterli aiutare a costruire un futuro migliore. Per se stessi e per gli altri.

Il peso della cultura e della storia
Gabriele è un professore di storia e in una scena chiave del film i ragazzi decidono, dopo qualche incertezza, di partecipare ad un bando europeo sull’Olocausto. La storia diventa quindi una chiave di comprensione degli eventi del presente, una sorta di grimaldello che forzi la porta del pregiudizio e che aiuti le diverse forme del pensiero ad incontrarsi. La storia ma anche la cultura e il sapere, che per Gabriele sono indispensabili e che cerca di trasferire ai propri ragazzi coi pochi mezzi che ha. Talib, Maisa, Petra, Nicolas, Arianna e Vasile sono infatti sei espressioni di una generazione che ha tutti i mezzi e le caratteristiche per sognare in grande, per spingersi al di là ma che si ritrova a dover vivere in un mondo in cui gli stimoli sono forse troppi o poco accattivanti e in cui le tensioni sociali vengono amplificate ancora di più dai social e dalle infinite possibilità di connessione. Ed è per questo che Gabriele sceglie di tornare alle origini, ai libri veri, al dialogo vero faccia a faccia, anche con il rischio di prendersi un cazzotto in pieno volto. È una lotta anche la sua in fondo, perché il valore della cultura e della storia sono sempre direttamente proporzionali al degrado morale prima ancora che economico e sociale di una società. Anche quella che La prima regola sceglie di raccontare, senza filtri né ipocrisia.

Fuoco incrociato
Massimiliano D’Epiro sceglie di raccontarci lo scontro e in parte anche l’incontro non solo tra il professore e suoi studenti, ma anche tra migranti e popolazione locale con un tono da film di guerra e di denuncia, più vicino allo spirito di Mery per sempre che de L’attimo fuggente. Quello raccontato ne La prima regola è infatti un mondo diviso e mutilato dalla rabbia, dall’insoddisfazione e dalla paura, un mondo da cui nessuno può uscire illeso anche se sopravvissuto. E allora il regista e sceneggiatore decide di spingere sull’acceleratore (quasi) fino alla fine, senza tirarsi indietro davanti ai vari conflitti che il film esplora ma riprendendoli con sguardo mirato e chirurgico. Ma se il professor Gabriele rimane il più delle volte compassato e, anzi, tenta di stemperare l’ostilità dei suoi allievi con la provocazione verbale, è Nicolas la vera scheggia impazzita del gruppo e di riflesso dell’intera pellicola. Un’opera che ci porta dentro gli scontri, come già scritto in precedenza, ma che ha il pregio di tenerci anche sufficientemente lontani quando necessario, perché alla violenza di alcune delle idee preferisce la compostezza del dialogo e dell’ascolto.
E allora neanche una pistola puntata potrà mai sparare, né una molotov lanciata contro una folla inferocita potrà mai davvero fare del male. Sì, certo, possono ferire e uccidere ma rappresenteranno sempre e comunque una sconfitta, una dimostrazione di debolezza, un affronto verso stessi. Un film che, nonostante alcune ingenuità di scrittura e qualche semplificazione nella costruzione dei personaggi, riesce ad avere una voce così forte e a lanciare un messaggio così chiaro non è cosa di tutti i giorni nel nostro cinema e tocca solo sperare che questo primo seme venga seguito da molti altri. Dopotutto l’imperfezione non è una colpa, la mancanza di volontà e di coraggio sì.
La prima regola. Regia di Massimiliano D’EPiro con Marius Bizau, Andrea Fuorto, Fabrizio Ferracane, Haroun Fall, Ileana D’Ambra, Luca Chikovani, Cecilia Montaruli, Antonia Fotaras e Darko Peric, in uscita nelle sale il 1 dicembre distribuito da Notorious Pictures.
Tre stelle e mezzo