La nostra recensione de Il muto di Gallura di Matteo Fresi, unico film italiano in concorso al TFF39, che porta sullo schermo una storia vera dai contorni leggendari e dall’atmosfera western, con un ottimo Andrea Arcangeli
Unico film italiano in concorso al 39° Torino Film Festival, Il muto di Gallura è il convincente esordio alla regia di Matteo Fresi. Realtà e leggenda si fondono in una pellicola che si ispira ai racconti orali tramandati nella regione sarda della Gallura e adatta il romanzo omonimo di Enrico Costa del 1884. A dare il volto al muto del titolo, il lanciatissimo Andrea Arcangeli (Romulus, Il divin codino) ottimo nell’incarnare la sensibilità e insieme la cupezza di un antieroe sfaccettato.

Una leggendaria storia vera
Sardegna, metà dell’800. Nella regione della Gallura scoppia una sanguinosa faida tra le famiglie dei Mamia e dei Vasa destinata a mietere decine di vittime. Bastiano Tansu (Andrea Arcangeli) è sordo dalla nascita e, quindi, non in grado di esprimersi con le parole. Emarginato dalla società di pastori della zona, vittima di maltrattamenti, diventa un assassino efferato dalla mira infallibile. Il muto di Gallura registra la discesa negli inferi di un’anima pura; è una storia di vendetta, morte e disillusione che fotografa un mondo arcaico in cui imperano violenza e superstizione.

L’inferno di un emarginato
Il muto di Gallura riesce brillantemente nell’impresa di mettere in scena l’inferno che vive un ragazzo disabile, creduto maledetto, che si ritrova invischiato in una spirale di sangue e omicidi, senza giustificare gli efferati crimini commessi da Bastiano. Benché infatti la costruzione del personaggio, sostenuta dell’ottima interpretazione di Arcangeli, riesca a far empatizzare lo spettatore con la sofferenza di un emarginato circondato da odio , la violenza viene stigmatizzata in ogni sua manifestazione. È l’ancestrale ottusità di ataviche credenze popolari, talmente radicate da finire con il rendere effettivamente malvagio un individuo sensibile e altruista additato come manifestazione del demonio, l’oggetto d’accusa di un film capace di fuggire da qualunque moralismo.

A cavallo tra i generi
Uno dei pregi della pellicola è quello di riuscire ad attraversare generi diversi confezionando una formula unica e distinguibile. Attingendo a situazioni dall’epica greca e dal dramma shakespeariano, Il muto di Gallura arriva a proporre una declinazione mediterranea dell’estetica western. Il film resta, però, una pellicola d’autore dalla vocazione realistica il cui comparto tecnico attraverso la fotografia e la messa in scena delle evocative location sarde, riesce a restituire quel misto di leggenda e realtà della storia che racconta. Un ottimo esordio alla regia, insomma, che ha trovato nel Torino Film Festival, da sempre impegnato nella promozione di opere prime e seconde, il suo palcoscenico ideale.

Il muto di Gallura. Regia di Matteo Fresi. Con Andrea Arcangeli, Marco Bullitta, Giovanni Carroni, Syama Rayner, Aldo Ottobrino, Fulvio Accogli, Nicola Pannelli, Andrea Carroni, Fiorenzo Mattu, Felice Montevino, Roberto Serpi, Francesco Falchetto, Stefano Mereu, Noemi Medas, Adele Armas e Andrea Nicolò Staffa. Prossimamente al cinema distribuito da Fandango.