Il mio nome è vendetta, recensione: Gassmann guida un action derivativo e senza verve

Il mio nome è vendetta - Alessandro Gassmann (ph. Emanuela Scarpa)
Il mio nome è vendetta - Alessandro Gassmann (ph. Emanuela Scarpa)

La recensione de Il mio nome è vendetta, action thriller con Alessandro Gassmann diretto dal Cosimo Gomez di Brutti e Cattivi: un po’ Léon, un po’ John Wick, un po’ Taken ma senza un’identità e un’intenzione precise

Dalle montagne del Trentino alle caotiche strade di Milano il viaggio nel segno del regolamento di conti de Il mio nome è vendetta è arrivato oggi su Netflix. A pochi mesi di distanza dall’esordio alla commedia, Cosimo Gomez torna al suo genere preferito e sguinzaglia un Alessandro Gassmann pieno di cicatrici contro la famiglia mafiosa che gli ha brutalmente ucciso la moglie e il cognato.

La vendetta non arriva mai da sola

Sofia (Ginevra Francesconi) è un’adolescente tranquilla che passa il suo tempo tra partite di hockey, di cui è campionessa, e lezioni di guida fuoristrada. Fino al momento in cui, disobbedendo a suo padre Santo (Alessandro Gassmann), lo fotografa di nascosto e pubblica una foto sul suo Instagram. Seguendo la traccia informatica, due criminali entrano in casa loro e uccidono brutalmente la madre e lo zio di Sofia, dando vita a un regolamento di conti che cova da quasi vent’anni. Sofia infatti scoprirà che la verità le è sempre stata nascosta e che Santo nasconde un passato oscuro di affiliato alla Ndrangheta. Non senza conflitti, Sofia abbraccerà un retaggio di furia e violenza e si alleerà con suo padre per cercare una spietata vendetta contro il capo della ndrina Don Angelo (Remo Girone), responsabile della morte di sua madre e di suo zio.

Il mio nome è vendetta - Alessandro Gassmann e Remo Girone (ph. Emanuela Scarpa)
Il mio nome è vendetta – Alessandro Gassmann e Remo Girone (ph. Emanuela Scarpa)

Sempre la stessa storia

La parabola narrativa attraverso cui Il mio nome è vendetta si sviluppa ricorda fin troppo molte produzioni americane e non solo degli ultimi tre decenni. Il tentativo che Gomez e i suoi due co-sceneggiatori fanno di inserire lo scheletro di questo intreccio, già ampiamente rodato, in delle dinamiche più legate al nostro territorio e alle sue regole fallisce però già in partenza; l’ambientazione del Trentino Alto Adige, che dopo il midpoint diventerà Milano, non viene mai né esplorata a livello tematico (quello della paternità) e nè tantomeno valorizzata a livello diegetico e lo stesso succede a Milano che si limita a fare da contorno alle vicende. Non ci sono mai guizzi di scrittura che riescano a portare la narrazione su una strada laterale, magari sfruttando i luoghi comuni tipici del genere per destrutturarli e nessuno dei due personaggi protagonisti compie un arco di trasformazione convincente, specialmente Sofia che passa dall’essere una ragazza grintosa all’essere una capace assassina nel giro di pochi minuti. Si ha quindi la sensazione continua di stare assistendo all’ennesima storia di vendetta già ampiamente raccontata, senza che la pellicola affronti il tema con un occhio più critico, più inflessibile e meno accomodante.

Il mio nome è vendetta - Alessandro Gassmann e Ginevra Francisconi (ph. Emanuela Scarpa)
Il mio nome è vendetta – Alessandro Gassmann e Ginevra Francisconi (ph. Emanuela Scarpa)

Sudore, sangue, morti ma neanche troppi

Se c’è però un limite imperdonabile de Il mio nome è vendetta quello sta proprio nella gestione dei momenti action sparsi all’interno del film. Non solo perché la regia di Cosimo Gomez appare fin troppo incerta, quasi timida, ma anche grazie ad un montaggio tanto furbo quanto poco leggibile e chiaro. In una pellicola il cui dinamismo, il movimento e il sangue versato dovrebbero rappresentare un biglietto da visita e una dichiarazione d’intenti decisa e solida, l’impressione è che si sia stranamente deciso di non esagerare, di rimpicciolire il tutto, di non dare troppo respiro ai corpi, ai colpi, agli inseguimenti o ai combattimenti per provare a cercare una dimensione insieme più intima e raccolta. Nonostante tutto però il film fallisce anche in questo, perché i dialoghi sono spesso raffazzonati e privi di una qualsiasi intenzione che non sia quella di portare avanti la storia, il rapporto tra Salvo e Sofia non esce mai davvero fuori dalle classiche dinamiche di genere e quindi lo spettatore non sente mai la storia perché non si lega mai al suo tema o ai suoi protagonisti.

Il mio nome è vendetta - Alessandro Gassmann (foto Emanuela Scarpa)
Il mio nome è vendetta – Alessandro Gassmann (foto Emanuela Scarpa)

È un primo passo ma è un passo falso

Con Il mio nome è vendetta Gomez cerca di allargare i confini della narrazione del nostro cinema, ma il problema è proprio nel suo essere totalmente quasi totalmente anti-filmico. Dopo un debutto come quello di Brutti e cattivi la sensazione era quella di aver trovato un regista italiano capace finalmente di flirtare con certi paradigmi del cinema di genere, mantenendo però una curiosa quanto rinfrescante “italianità”; invece qui si copia in maniera spudorata altri mondi cinematografici senza averne le risorse, e possibilità o più semplicemente la verve. E se tra un cattivo piatto e senza nessun’anima a cui neanche il volto di Remo Girone può porre rimedio, un paio di inseguimenti tra i boschi del Trentino girati senza la giusta energia e un numero spropositato di illogicità e forzature narrative Il mio nome è vendetta riesce comunque a piazzare un paio di scene quantomeno convincenti il merito è soprattutto di Alessandro Gassman e di Ginevra Francesconi. Il primo fa quel che può e lo fa anche discretamente, ma è la seconda che nel terzo atto si rende protagonista di una chiusura del cerchio a suo modo godibile. Poi, certo, i dialoghi e lo sviluppo del rapporto tra padre e figlia sono poca roba, ma lì toccherebbe “vendicarsi”  dei responsabili.

Il mio nome è vendetta. Regia di Cosimo Gomez con Alessandro Gassmann, Ginevra Francisconi, Remo Girone, Sinja Dieks, Alessio Praticò e Marcello Mazzarella, in uscita su Netflix oggi 30 novembre.

VOTO:

Due stelle

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