Il capofamiglia, recensione: una favola nera che racconta la condizione femminile in Egitto

Il capofamiglia - Samy Bassouny e Demyana Nassar (foto Wanted Cinema)
Il capofamiglia - Samy Bassouny e Demyana Nassar (foto Wanted Cinema)

La recensione de Il capofamiglia del regista egiziano Omar El Zohairy, opera a metà tra commedia nera e favola nera acclamata a Cannes 2021 dove ha vinto come miglior film alla Semaine de la Critique

Il capofamiglia è l’opera prima del regista egiziano Omar El Zohairy già passata in corso al Festival di Cannes 2021, dove si è aggiudicata il premio come miglior film alla Semaine de la Critique per poi passare con altrettanto successo al Torino Film Festival 2021 dove si è aggiudicato il Gran Premio della Giuria.

Storia di un uomo che diventò pollo

Durante la festa di compleanno di uno dei figli il padre (Samy Bassouny), un uomo autoritario e violento, viene trasformato per errore in un pollo da un mago. Questo avvenimento, di per sé già drammatico, diventa ancora più insostenibile per la madre (Demyana Nassar) soprattutto quando quest’ultima si ritroverà piena di debiti e incapace di provvedere ai figli. Comincerà così una lunga odissea da parte della donna per salvare la propria casa dallo sfratto esecutivo e i propri figli dalla povertà più totale, mentre un cinico esattore (Mohamed Abd El Hady) proverà a costringerla a pagare in tutti i modi.

Il capofamiglia - Samy Bassouny (foto Wanted Cinema)
Il capofamiglia – Samy Bassouny (foto Wanted Cinema)

Realismo magico e fiaba nera

Il capofamiglia è un film abbastanza peculiare della cinematografia egiziana perché combina in maniera piuttosto efficace elementi di realismo magico ad una rappresentazione della società totalmente priva di filtri. È una vera e propria favola nera quella che il regista Omar El Zohairy porta in scena, una favola che parla di patriarcato tossico denunciando la condizione femminile nell’Egitto contemporaneo ma anche di amore. L’amore di una madre prima verso i propri figli, per i quali è disposta anche a vendere il proprio corpo e la propria dignità, e poi nei confronti di sé stessa quando decide di far valere le proprie ragioni proteggendo la propria famiglia. In questo continuo rimbalzo tra commedia e dramma, tra realismo e onirismo, Il capofamiglia alterna inquadrature potenti (come quella straziante che apre il film) a inquadrature più intime e personali che descrivono in profondità la condizione desolante della madre; El Zohairy utilizza quindi la lente della favola non per ammorbidire la vicenda e i personaggi ma bensì, paradossalmente, per renderli ancora più tragici e dolenti nella loro sfortuna esistenziale. Anche lo stesso padre e marito, da pollo, sarà tutt’altro che mansueto e questo suo comportamento non farà altro che appesantire le conseguenze della narrazione portandole quasi fino allo stremo, come il finale crudele e agghiacciante suggerisce.

Il capofamiglia - Demyana Nassar (foto Wanted Cinema)
Il capofamiglia – Demyana Nassar (foto Wanted Cinema)

Un film di grande eleganza formale

Ne Il capofamiglia sono presenti echi di un cinema dalla grande cura formale, vicino per certi versi alle geometrie di Kiarostami o Ruijun Li, che predilige in particolare le inquadrature fisse facendone un punto stilistico fermo, tanto che è presente solo una breve panoramica in tutta la pellicola. Questo stile rarefatto contribuisce al ritmo compassato e solo all’apparenza inerme di un film che invece racconta molto nell’arco dei suoi 110 minuti, nonostante i movimenti di trama siano in realtà pochi e distribuiti lungo tutto l’arco della pellicola. Il capofamiglia è quindi un film che cerca di contrastare le mostruosità che vengono narrate con uno sguardo distaccato, senza ricorrere a temi musicali scontati o battute pompose, ma invece mantenendo un’eleganza e una compostezza nel racconto. La scena in cui il padrone della fabbrica si rifiuta di assumere la madre per via di un’antiquata regola, mentre non ha problemi ad assumere il figlio piccolo ne è una perfetta dimostrazione. El Zohairy lavora sui volti e sulla loro rappresentazione, sui luoghi e sulla loro resa aiutato da una fotografia bellissima e dai colori arsi e da un grande lavoro sulle scenografie, che qui sembrano uscire da un film di genere occidentale.

Il capofamiglia - una scena del film (foto Wanted Cinema)
Il capofamiglia – una scena del film (foto Wanted Cinema)

Un nuovo Egitto

Nonostante la rappresentazione che Il capofamiglia ne fa sia tutt’altro che rassicurante, l’Egitto rappresenta ancora una terra di forti misteri e forti contraddizioni ma anche di grande fascino e suggestione. El Zohairy è attentissimo nel restituirne un ritratto il più fedele e autentico possibile, ed è aiutato a una bella performance di Demyana Nassar la quale si trascina la pellicola interamente sulle spalle grazie ad un personaggio fragile e succube all’inizio, ma che trova un’evoluzione per certi versi inaspettata e potente che culminerà solo nel finale. È un film in cui aleggia continuamente un’aria mefitica di morte questo, a partire dalla straziante scena iniziale che parte dal nero e da un urlo raggelante per poi man mano mostrarsi in tutta la sua drammaticità. Ma è anche un film che parla in qualche modo di speranza e di vita, di farcela con le proprie forze per amore, di necessità di cambiamento e dell’importanza della propria identità. E allora Il capofamiglia si fa forte di un discorso sulla tossicità di certi retaggi patriarcali molto più incisivo di tante altre pellicole pseudo-femministe, perché in questo mondo che racconta le donne non hanno altra scelta che farcela da sole. Con le loro mani, il loro corpo, la loro femminilità, la loro sensibilità, la loro intelligenza e il loro cuore.

Il capofamiglia. Regia di Omar El Zohairy con Demyana Nassar, Samy Bassouny, Fady Mina Fawzy e Mohamed Abd El Hady, uscito nelle sale il 16 marzo distribuito da Wanted Cinema.

VOTO:

Tre stelle e mezzo

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