La nostra recensione di Gran Turismo diretto da Neill Blomkamp con Orlando Bloom, David Harbour e Djimon Hounsou: una trasposizione che restituisce lo spirito del videogame pur rimanendo troppo prevedibile
Ci sono voluti anni perché succedesse e diversi cambi dietro la macchina da presa, ma alla fine il progetto di portare sul grande schermo il gioco d’automobili forse più iconico di sempre è finalmente diventato realtà. Merito del sudafricano Neill Blomkamp (District 9, Elysium) che ha diretto questo Gran Turismo affidandosi a qualche volto ben noto come quelli di Orlando Bloom, David Harbour, Djimon Hounsou o della rediviva Geri Halliwell e spingendo sul piede dell’acceleratore letteralmente e non, anche a costo di sacrificare storia e personaggi.
Un’impresa impossibile
Jann (Archie Madekwe) è un esperto giocatore di Gran Turismo che vive col fratello, la madre Lesley (Geri Halliwell) e il padre (Djimon Hounsou) e che cerca la grande occasione per diventare un pilota di auto da corsa professionista e fuggire dalla periferia di Cardiff. Un giorno viene a sapere che la Nissan ha indetto delle gare tra gamer di GT i cui vincitori avranno la possibilità di frequentare una vera accademia per piloti, al termine della quale uno soltanto verrà scelto per partecipare al circuito professionistico. Jann vincerà la gara ed entrerà nell’accademia, dove incontrerà l’ingegnere Jack Salter (David Harbour) e il responsabile del progetto Danny Moore (Orlando Bloom). La gara è però soltanto iniziata.
Veloce e furioso
Nel parafrasare il titolo di un’altra celeberrima saga in cui le auto sono protagoniste assolute, non si può non rendere il giusto merito alla cura formale con cui Gran Turismo è stato realizzato. Blomkamp ci fa entrare lentamente nella storia, con un primo atto un po’ troppo incerto che prova a dare maggiore forma all’aspetto relazionale e rotondità ai suoi personaggi, ma quando decide di dare gas lo fa a mille utilizzando tutti gli strumenti che il cinema gli consente di adottare. E allora via a soggettive, grandangoli, fish eye, panoramiche con droni che si stringono sempre di più sulle auto in corsa, aiutato da un montaggio ipercinetico e da una fotografia calda e satura che restituisce l’esoticità di alcune location.
Romano le auto in pista, restiamo sempre attaccati ai piloti, alle loro mani e ai loro piedi, al casco che gronda sudore mentre devono prendere decisioni fondamentali in pochissimi secondi, all’errore che può costare ben più di una sconfitta. Dal punto di vista visivo e viscerale Blomkamp fa quindi centro, restituendo agli appassionati del gioco l’adrenalina tipica della produzione videoludica e regalando ai neofiti due ore di cinema muscolare e rabbioso, scevro dalle esagerazioni della saga precedentemente citata. Gran Turismo svolge quindi il suo mestiere, in maniera dignitosa, e nel terzo atto decide di rappresentare anche la corsa storica per eccellenza, quella di Le Mans, come già aveva fatto un certo James Mangold.
Peccato per l’eccessiva prevedibilità
È quindi nella scrittura che Gran Turismo non brilla particolarmente, sia per quanto riguarda la gestione dell’intreccio e dei personaggi che per l’aspetto tematico. Se infatti da una parte la pellicola pecca di troppa superficialità nell’affrontare i necessari step dell’arco di trasformazione di Jann (peraltro ben evidenziati dai segmenti narrativi di cui il film si compone), dall’altra non aggiunge nulla di nuovo al tema del credere in sé stessi e nel proprio talento contro tutte le avversità.
Quello di Blomkamp è un lavoro di mestiere puro che sfrutta i cliché per tirare dritto fino al traguardo senza correre rischi, e se da una parte questo garantisce un viaggio tutto sommato liscio e adrenalinico, dall’altra parte fa sì che lo spettatore sappia esattamente cosa lo aspetta al di là della prossima curva presa a tutta velocità. Archetipico e formulaico, Gran Turismo non è quindi interessato a riscrivere la storia di un genere ma solo a raccontare la propria di storia, senza particolari guizzi creativi ma con la giusta cosa di cazzimma derivata principalmente dal gran gusto di Blomkamp per l’azione e il dinamismo.
Un bel cast in pole position
Ad impreziosire ulteriormente la visione arriva in supporto un cast tutt’altro che di seconda fascia, tra cui spiccano i nomi di Orlando Bloom, David Harbour e Djimon Hounsou. Recitano più o meno tutti col pilota automatico, questo va detto, però hanno sufficiente carisma ed esperienza per dare un po’ di brio alle tante (troppe) scene in cui non sono i motori a parlare, cercando di regalare un po’ di dignità drammaturgica in più a personaggi affettati con il machete. Alla fine quella di Gran Turismo è una corsa divertente e realistica nella rappresentazione delle gare e dei circuiti (tranne per una breve tappa italiana ambientato in Trentino), ma che paradossalmente non scala tutte le marce.
Da vedere comunque e rigorosamente in sala, con l’audio e lo schermo migliori possibili e un buon cestone di popcorn per godersi al meglio l’esperienza di gara, come se fossimo in un videogioco i cui titoli di coda arrivano però molto prima del solito.
Gran Turismo. Regia di Neill Blomkamp con Archie Madekwe, Geri Halliwell, Djimon Hounsou, David Harbour e Orlando Bloom, uscito nelle sale giovedì 20 settembre distribuito da Sony Pictures Italia.
Tre stelle