La nostra recensione de Gli Stati Uniti contro Billie Holiday, altalenante biopic sulla star del blues interpretata da un’eccezionale Andra Day, una pellicola che non rende giustizia alla parabola della cantante
Regina del Blues dalla voce graffiante. Icona della comunità nera. Donna dal vissuto traumatico, piegata dalla tossicodipendenza. La vita e la carriera di Billie Holiday costituiscono un soggetto cinematografico che di per sé si presta a stimolanti riflessioni sulla difficile situazione degli afroamericani nell’America degli anni ‘40. Purtroppo, però, Gli Stati Uniti contro Billie Holiday non rende giustizia alla parabola della cantante e all’impatto sociale della sua musica. Più cronaca fine a se stessa, che biopic capace di cogliere l’anima della protagonista, il film di Lee Daniels si impelaga in uno sfoggio di retorica che depotenzia la profondità del suo materiale narrativo.

Storia di un persecuzione
Il film mostra la star già all’apice del suo successo e affida a dei flashback la ricostruzione del passato di abusi della protagonista. Il pubblico acclama il talento di Billie Holiday (Andra Day) che si esibisce nei più importanti club americani mentre l’FBI le tiene gli occhi puntati addosso. I federali considerano la cantante una figura scomoda perché considerano, in particolare, la sua canzone Strange Fruit un inno alla rivolta della comunità nera. Per questa ragione ingaggiano l’agente Jimmy Fletcher (Trevante Rhodes) affinché ne segua i movimenti e documenti i problemi di tossicodipendenza della donna, appiglio necessario alle istituzioni per mettere a tacere la cantante ribelle.

Un melodramma manicheo
Da un lato Billie, circondata dalla sua famiglia artistica, il rapporto tossico con il marito, il suo affidarsi all’eroina e la sua straziante Strange Fruit, dichiarato urlo di sdegno contro la pratica del linciaggio nei confronti degli afroamericani non ostacolata da legge alcuna. Dall’altro le istituzioni americane, incarnate dal capo del Federal Bureau of Narcotics dell’FBI Harry Aislinger (Garrett Hedlund). Nel mezzo Jimmy, l’agente che vorrebbe fermare il traffico di droghe e inizialmente asseconda i federali, ma si rende conto dell’astio razziale che soggiace alle loro manovre e si schiera dalla parte di Billie, innamorandosene. Intorno uno schematismo ridondante, una regia poco ispirata, e digressioni manieristiche che rallentano il già claudicante ritmo della narrazione. È così che il biopic su una delle icone della musica mondiale si trasforma in una “caccia a Billie” da parte di villains monodimensionali con parentesi da melodramma sentimentale.

Andra Day e il peso di un intero film
Fortunatamente a donare tridimensionalità a Lady Day ci pensa la cantante R&B Andra Day con un’interpretazione profonda e appassionante che le è valsa un Golden Globe e una nomination all’Oscar. Day risulta convincente tanto quando da illuminati palcoscenici intona con la sua voce rauca e suadente i più iconici brani di Holiday, tanto nelle scene che raccontano la vita privata di Billie. La Billie Holiday di Andra Day è una guerriera ribelle, caparbia, testarda ma incapace di fare i conti con i propri demoni che la consumano. L’attrice riesce a cogliere la solitudine esistenziale della donna, l’incapacità di rinunciare alla sua “medicina”, la rabbia che le incendia lo sguardo di fronte ai soprusi delle istituzioni e il dolore profondo che sgorga dal suo passato e irrora terribile il suo presente. È lei insomma l’unica vera perla, insomma, de Gli Stati Uniti contro Billie Holiday.
Gli Stati Uniti contro Billie Holiday. Regia di Lee Daniels. Con Andra Day, Trevante Rhodes, Natasha Lyonne, Garrett Hedlund, Miss Lawrence, Rob Morgan, Da’Vine Joy Randolph, Evan Ross, Tyler James Williams e. Tone Bell. Al cinema dal 5 maggio, distribuito da BIM Distribuzione.
2 stelle e mezzo