Fabrizio Moro confeziona un disco coraggioso e che mette in luce tutte le sfumature del suo modo di scrivere. Chi lo ha imparato a conoscere solo dopo Amici, potrebbe rimanere spiazzato da Figli di nessuno. Per i fan storici si tratta di un ritorno al passato che sarà sicuramente gradito.
Fabrizio Moro ritorna con Figli di nessuno, un album in cui si percepisce l’urgenza espressiva e che lo stesso cantautore romano ha definito benedetto perché scritto di getto tra una data e un’altra del fortunato tour dello scorso anno, dopo la vittoria al Festival di Sanremo insieme ad Ermal Meta con Non mi avete fatto niente. Un disco in cui sono messe in luce tutte le sfumature tematiche e musicali che hanno contraddistinto Moro in quasi vent’anni di carriera. Oltre alle ballate amorose, che costituiscono la maggior parte della sua produzione dopo la partecipazione ad Amici in qualità di insegnante nel 2015, ritorna il Fabri rabbioso e sociale che lo aveva un po’ messo ai margini dal punto di vista mediatico dopo il grande successo di Pensa nel 2007. Un ritorno al passato con grande coraggio e con una cerchia di fan allargata che rappresenta un’ancora sicura che li ha consentito di fare un disco meno commerciale.
L’album si apre con la title-track e l’intro con il rullo di batteria e il pianoforte che introduce la voce si presta molto come possibile inizio delle date live nei palasport del prossimo ottobre. Le strofe parlate esplodono nel ritornello che ricorda musicalmente Sono anni che ti aspetto con un inno nei confronti di chi si è fatto da solo dopo tante porte chiuse in faccia e con un testo crudo e rabbioso riassunto nel verso:«La mia bellezza nasce dal vostro disprezzo». Figli d’erba è il primo colpo al cuore che provoca l’ascolto del disco. Fabrizio ha dedicato questa struggente ballata semi-acustica al figlio Libero che ha sofferto la separazione dei genitori chiedendoli scusa per l’assenza che implica fare il suo mestiere e con la consapevolezza di poter trarre insegnamento da questa sofferenza:«Ma quello che oggi stai imparando un giorno lo potrai evitare».
Quasi è il pezzo più rockeggiante del disco con il bridge di chitarra elettrica che domina il brano con la batteria che accompagna e subentra poco dopo. Il testo racconta del suo malessere perché troppo spesso si è trovato a un passo da raggiungere un obiettivo senza mai arrivare all’asticella prefissata. Ho bisogno di credere è il primo singolo estratto da Figli di Nessuno. Il cantautore manifesta l’esigenza di ancorarsi a una fede per avere più fiducia nel futuro e anestetizzare il passato che insegna a essere forti nel presente concludendo che «La fede è un conduttore tra il dubbio e questo immenso quando il resto perde senso». Arresto cardiaco ha una base funky riuscitissima con un piano anni 80 style che martella nel ritornello e che racconta la dipendenza da droga che il cantautore ha avuto durante l’adolescenza che ha avuto una brusca frenata quando ha rischiato di morire: «La vita è un vestito perfetto che spesso però non sappiamo indossare ma calza a pennello se impari che a un tratto puoi smettere di respirare». Come te è il secondo colpo al cuore del disco, la descrizione perfetta di cosa provoca l’amore negli occhi di un innamorato con un crescendo musicale che potrebbe far uscire qualche lacrima (munirsi di fazzoletti per sicurezza). Difficile trovare un verso che prevalga su un altro, ascoltare per credere.
Non mi sta bene niente racconta il suo percorso musicale, da quando suonava punk nell’oratorio del suo quartiere e ricorda nello stile i Decibel, che hanno trattato oltretutto lo stesso argomento. Me’ nnamoravo di te vede un violino che ricorda un tango nelle strofe e un ritornello rock con la martellante e urlata ripetizione del titolo della canzone. Moro passa qui in rassegna la storia italiana dagli anni 70 con le radio libere e le stragi di stato, gli anni 80 con la vittoria dei Mondiali, gli anni 90 con il parallelismo tra la caduta del Muro di Berlino e Mani Pulite che hanno sancito rispettivamente la fine della bipartizione tedesca e europea di USA e URSS e la conclusione della Prima Repubblica, che ci ha lasciato solo il debito pubblico e concludendo a mo di megafono con il suo punto di vista sulla situazione attuale del nostro paese: «L’Italia s’è desta tra santi e assassini, appare cattiva, ladra e fallita ma è solo stuprata, confusa e impaurita».
Per me è un ritratto della vita di Moro, dall’adolescenza tormentata alla rivincita grazie alla musica e alla sua passione che è diventata il suo lavoro, di un esistenza spesa tra «Offese e complimenti, con la saliva contro il pregiudizio e la salute smarrita per colpa di un vizio». Fabrizio si mette completamente a nudo e l’assolo di tromba azzeccato quanto inaspettato sa di liberazione dai tormenti del passato. #A è la degna erede di Alessandra sarà sempre bella e siamo sicuri che farà scatenare il pubblico nei palasport. Una canzone allegra e spensierata che nella seconda strofa ha echi di Il cielo è sempre più blu, con le piccole gioie quotidiane che danno sollievo dalle preoccupazioni. Il disco si conclude con l’ultimo colpo al cuore. Quando ti stringo forte è una dedica nei confronti di un amore che rappresenta l’unica certezza ai cambiamenti costanti di questa società del progresso, con una linea melodica che ricorda Vent’anni e un testo semplice ma toccante: «Tu sei sempre qui a salvarmi da me stesso e mi sembra che la vita sia bellissima quando ti stringo forte».
Un disco variegato e coraggioso, che dimostra l’ottima penna di Fabrizio Moro e che può diventare un caposaldo della sua carriera. Ballate che toccano nel profondo, riflessioni esistenziali e sociali personali, il vissuto che emerge con rabbia e disincanto. Tutto questo è racchiuso in queste undici tracce.