Venezia 80, Ferrari, recensione: il leggendario Enzo di Michael Mann ha il volto di Adam Driver

Ferrari - Adam Driver (Foto di Eros Hoagland)
Ferrari - Adam Driver (Foto di Eros Hoagland)

Da Venezia 80 la nostra recensione di Ferrari, il nuovo film in concorso di Michael Mann con Adam Driver, Penelope Cruz, Patrick Dempsey e Shailene Woodley: un Mann così sentimentale non si era mai visto

Sono passati ben otto anni dall’incompreso ma folgorante Blackhat e finalmente abbiamo assistito, qui a Venezia 80, al ritorno del maestro Michael Mann con Ferrari. Un non biopic che racconta un anno della vita del visionario Enzo Ferrari, nipote dell’omonimo fondatore dello storico marchio automobilistico, qui portato in scena da Adam Driver assieme ad un cast che comprende Penelope Cruz, Patrick Dempsey, Shailene Woodley e Jack O’Connell. 

La Mille Miglia

Emilia Romagna, 1957. La Ferrari non naviga esattamente in buonissime acque, dopo che la produzione dei nuovi modelli è rimasta ferma e che la casa automobilistica non riesce più ad aggiudicarsi competizioni di spessore. Enzo Ferrari (Adam Driver) decide così di partecipare e vincere la Mille Miglia, con l’aiuto di una squadra di piloti capitanata da Piero Taruffi (Patrick Dempsey). Nel frattempo la pressione della moglie Laura (Penelope Cruz) sul loro matrimonio e sulla stessa azienda di cui lei è co-azionista continua a crescere, mentre la sua amante Lina (Shailene Woodley) è sempre più insoddisfatta di fare la bella ruota di scorta.

Ferrari - Penelope Cruz (Foto di Lorenzo Sisti )
Ferrari – Penelope Cruz (Foto di Lorenzo Sisti )

Un Michael Mann inedito

Non si può certo dire che i film di Michael Mann siano proprio calorosi: tra utilizzo del digitale, fotografia spesso satura ma dai colori freddi e, in generale, un’attenzione al lato emotivo dei personaggi non così manifesta (ma sempre comunque presente) era difficile aspettarsi che il regista si aprisse così tanto al sentimento come in questo film. Sarà l’aria italiana o sarà la necessità di provare a sperimentare qualcosa di nuovo anche in un genere, come il biopic (anche se lo stesso cineasta non lo considera giustamente tale), già affrontato in Alì ma con Ferrari si assiste ad un lato inedito del regista statunitense.

Qui i colori sono più caldi e tenui, il tappeto musicale più presente e quasi dolce, ma sotto sotto gli esseri umani di Mann rimangono gli stessi, schiavi di un impasse da cui tentano disperatamente di uscire. Il matrimonio di Enzo e Laura è infatti appeso ad un filo da anni ma nessuno dei due sembra avere il coraggio (o la volontà) di recidere quel filo, così come la relazione neanche tanto clandestina tra Enzo e Lina che si trascina nell’attesa di poter uscire finalmente fuori da quella gabbia di perbenismo e ipocrisia.

Ferrari - una scena del film (Foto di Eros Hoagland )
Ferrari – una scena del film (Foto di Eros Hoagland )

Una storia di fantasmi

Quella di Enzo Ferrari però non è una storia di rivalsa di un uomo e della propria famiglia attraverso l’esito di una corsa, e quindi di un movimento che va avanti verso il futuro, ma il modo in cui quest’uomo deve liberarsi dai fantasmi di un passato e (di nuovo) di una famiglia ingombrante, di una madre che lo detesta apertamente, di una moglie con il quale non esiste più alcun rapporto. Diviene perciò una pellicola dolente, Ferrari, un’opera che quel dolore lo lascia lì sottotraccia, lo fa percepire ma mai avvertire del tutto grazie anche all’interpretazione monolitica di Adam Driver, sul cui volto è impossibile lasciare alcun segno di un sentimento.

Sono proprio quei fantasmi che a Mann e al suo sceneggiatore Troy Kennedy Martin interessa raccontare perché non c’è un momento nel film in cui non si respiri l’odore  pungente di una morte, di una fine che apre ad un nuovo inizio; non è un caso, infatti, che Ferrari si chiuda proprio in un cimitero e che la sua sequenza emotivamente più devastante riguardi un gravissimo incidente, quello di Guidizzolo. Ma in questo biopic, che però si focalizza solo su un particolare anno della vita di Enzo Ferrari, i fantasmi sono soprattutto quelli dell’inadeguatezza e dell’infelicità che minacciano di distruggere una famiglia, una casa, una reputazione.

Ferrari - Gabriel Leone e Patrick Dempsey (foto di Lorenzo Sisti)
Ferrari – Gabriel Leone e Patrick Dempsey (foto di Lorenzo Sisti)

Una lunga corsa

Rombano le auto che vediamo sullo schermo, definendo gli anni ruggenti di un’Italia che si stava avviando verso un futuro speranzoso attraverso il boom economico, ma anche di un cambiamento che da epocale si fa privato perché anche tutti i personaggi di Ferrari vogliono o hanno bisogno, in qualche modo, di cambiare. E allora Mann utilizza la sua amata velocità e un po’ di quell’ipercineticità che lo contraddistingue per contaminare il proprio film, che da classico si fa moderno, che alle volte scappa via per poi tornare, che si prende più di un rischio non in tanto in cosa racconta ma in come lo racconta.

Ed è una lunga corsa, quella verso una nuova libertà, una corsa su una sterrata strada di campagna bagnata dal sole o di notte verso la prossima tappa delle Mille Miglia: c’è chi corre per scappare dal dolore, c’è chi corre verso una nuova realizzazione di sé e c’è chi corre perché non può semplicemente farne a meno e non importa cosa potrebbe succedere. L’importante è che, alla fine, con quel passato e con quei fantasmi (di nuovo) ci si confronti, che ci si decida a scegliere. Ferrari si apre e si chiude davanti ad una tomba, la stessa, ma è nel finale che capiamo il perché: per tornare a vivere bisogna sempre, in qualche modo, accettare la possibilità che si possa morire.

Ferrari. Regia di Michael Mann con Adam Driver, Penelope Cruz, Patrick Dempsey, Shailene Woodley, Gabriel Leone e Sarah Gadon, in uscita nelle sale il 30 novembre distribuito da 01 Distribution.

VOTO:

Tre stelle e mezzo

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