La nostra recensione di Fabian – Going to the Dogs, pellicola impegnativa diretta da Dominik Graf: tratto dal romanzo di Erich Kästner, il film è stato presentato al 71º Festival di Berlino
Berlino, 1931
Durante il giorno Jakob Fabian (Tom Schilling) lavora nel dipartimento pubblicitario di una fabbrica di sigarette, mentre la notte passa il suo tempo tra locali, bordelli e atelier di artisti con il suo facoltoso amico Labude (Albrecht Schuch). Quando Fabian incontra Cornelia (Saskia Rosendahl), una donna incredibilmente sicura di sé, riesce per un momento a mettere da parte la sua visione pessimistica del mondo. S’innamora, ma purtroppo per lui la felicità non dura. L’uomo viene licenziato, mentre Cornelia riesce a sfondare come attrice ed è venerata da stuoli di ammiratori e dal suo stesso produttore (Aljoscha Stadelmann). Per Fabian la situazione diventa insopportabile. Intanto Berlino è tormentata dai fantasmi della Prima guerra mondiale, dalla recessione e dall’ascesa del nazionalsocialismo.
Dal libro di Erich Kästner
Fabian – Going to the Dogs, presentato in Concorso al 71º Festival di Berlino, è tratto dal romanzo del 1931 di Erich Kästner. Non che il percorso dell’opera letteraria sia stato lineare: messo al bando dalla Gestapo, il libro integrale ha dovuto attendere il 2012 per essere pubblicato nella sua interezza. La pellicola cerca di restituire la Berlino del Primo Dopoguerra, con tutte le sue difficoltà e contraddizioni. Per farlo racconta le vicende di un uomo che barcolla quotidianamente e che vive in stanze in affitto low budget, bordelli, atelier di artisti e trattorie dalla fama discutibile. Sempre sul confine tra precipizio e rinascita, Fabian diventa la lente attraverso la quale osservare la realtà del tempo.

Estetica retrò
L’estetica rappresenta l’elemento più interessante della pellicola diretta da Dominik Graf: tagli rapidi (che rispecchiano la stesura dell’opera letteraria dal quale è tratta la storia), movimenti di camera improvvisi, formato in 4:3, filmati d’archivio e una resa scenica retrò danno al film un suo carattere particolare. A ciò si aggiunge un voice over che arricchisce il racconto e che cerca di dare profondità agli stati d’animo del protagonista. Tutto ciò non è però supportato dalla necessaria concretezza narrativa né da una sceneggiatura sufficientemente ben scritta (opera dello stesso Graff a quattro mani con Constantin Lieb).
Troppi giri a vuoto
Quasi tre ore di pellicola diventano un macigno: troppi i giri a vuoto, troppe le ripetizioni. Il lato umano, che avrebbe potuto rappresentare la parte più interessante della storia, viene affondato dalla mole infinita di dettagli fini a se stessi. A volte sembra quasi che il film non sappia dove andare esattamente. Va bene descrivere il contesto storico-sociale, ma i personaggi non hanno la forza sufficiente per farlo e vengono abbandonati a se stessi prima di riuscire nell’impresa. La Repubblica di Weimar fa capolino nel racconto, ma la testimonianza che ne emerge resta debole. Si fermano alla sufficienza le interpretazioni di Tom Schilling, Saskia Rosendahl e Albrecht Schuch: buona la chimica ma nulla di più.
Fabian – Going to the Dogs, prodotto da Lupa Film, è stato presentato al 71º Festival di Berlino e in anteprima nazionale all’Ischia Global Fest. Il film arriva nelle sale italiane il 18 agosto distribuito da PFA Films e RS Productions. Diretto da Dominik Graf, il cast è composto da Tom Schilling, Saskia Rosendahl, Albrecht Schuch, Aljoscha Stadelmann, Michael Wittenborn, Petra Kalkutschke, Elmar Gutmann, Anne Bennent e Meret Becker.